I LIBRI DEL 2016 / 1
Enrico Acciai, Antifascismo, volontariato e guerra civile in Spagna. La sezione italiana della Colonna Ascaso, Milano, Unicopli, 285 pp., € 18,00
Enrico Acciai è ricercatore all’Università di Leeds con un progetto sul volontariato internazionale dal 1861 al 1936, un vasto campo di studio che affronta anche in questo volume, rielaborazione della sua tesi di dottorato ed esito conclusivo di un’attività di ricerca decennale.
Il lavoro, come si evince già dal titolo, ricostruisce la vicenda della Sezione italiana della colonna anarchica Ascaso, composta prevalentemente da militanti anarchici e di Giustizia e Libertà e che ebbe tra i suoi organizzatori due figure di spicco dell’antifascismo come Carlo Rosselli e Camillo Berneri. La Sezione ebbe vita breve e turbolenta, minata dalle tensioni crescenti tra le sue diverse componenti e scioltasi in seguito alla riorganizzazione delle forze repubblicane portata avanti nel corso del 1937. Fu però uno dei primi gruppi di volontari stranieri presenti in Spagna, una sorta di avanguardia dell’interventismo, e la prima colonna italiana a conquistare una certa notorietà internazionale, in particolar modo dopo la battaglia di Monte Pelato che la vide protagonista. Una vicenda poco indagata dalla storiografia, soprattutto rispetto agli studi e alla memoria sulle Brigate Internazionali, ma non meno significativa per la comprensione del fenomeno del volontariato e per lo studio del complesso universo dell’antifascismo.
La prima parte del lavoro, infatti, analizza le vicende dell’antifascismo italiano partendo dalle biografie dei volontari, seguendone le storie personali in Italia e in esilio, cercando di ricostruire le ragioni delle loro scelte e del loro impegno in Spagna, che, come ci spiega l’a., non fu dovuto a un «improvviso colpo di testa ma fu condizionato più dalle proprie esperienze che non dalle posizioni ideologiche» (p. 148). L’a. segue queste traiettorie anche nella seconda parte del lavoro per ricostruire la vicenda della Sezione italiana nel corso del primo anno di guerra civile, il ruolo assunto in essa dai suoi principali organizzatori e la sua dissoluzione nel drammatico e convulso contesto della prima metà del 1937, fino al drammatico epilogo: da una parte la morte di Rosselli ormai in Francia, dall’altra l’assassinio di Berneri a Barcellona nel corso degli scontri del maggio 1937.
L’a. ha il merito di offrirci uno spaccato certamente variegato del volontarismo, facendo emergere i profili individuali con i loro affetti, i loro problemi familiari, le loro motivazioni, le loro speranze. Biografie e scelte personali accomunate, secondo Acciai, da un rifiuto del fascismo che, ancor più delle velleità rivoluzionarie, fu la vera, decisiva molla della partecipazione alla guerra civile spagnola. In definitiva, Acciai ci offre un libro ben scritto e una ricerca documentata.
Andrea Miccichè
Elena Aga Rossi, Cefalonia. La resistenza, l’eccidio, il mito, Bologna, il Mulino, 252 pp., € 22,00
Ha ragione l’a. a definire quella di Cefalonia come una «complessa vicenda» (p. 120), in questo volume che ha il pregio di essere – dopo alcuni collettanei e forse troppe opere di pubblicistica – il primo tentativo di studio complessivo firmato da uno storico di professione.
Purtroppo però il volume è assai breve. Parliamo di 120 pagine di documenti (in genere noti agli specialisti, per quanto non facilmente disponibili in estenso, e quindi qui utilmente raccolti) e 120 di testo così composte: una decina di pagine di introduzione, una dozzina sulla situazione dell’estate del 1943, finalmente una cinquantina di pagine sulle vicende vere e proprie (fra l’8 e il 24 settembre, eccidio compreso). Seguono una ventina di pagine su Cefalonia fra 1943 e 1945 e una trentina sulla «guerra della memoria», il capitolo forse meglio riuscito (per quanto passibile di discussione). Insomma, le tragiche vicende del settembre 1943 occupano qui uno spazio, e un interesse, uguale a quanto avvenne successivamente. La storia e il mito hanno lo stesso spazio, e peso.
In così poco spazio, poco per una vicenda così complessa, l’a. chiarisce sin dalle prime pagine quali sono i suoi interessi: il giudizio sul comandante della Divisione Acqui, il generale Antonio Gandin; quella che le pare una grave crisi disciplinare (il fatto che ufficiali inferiori e forse truppa forzarono la volontà di Gandin e spinsero la Divisione a un combattimento contro le truppe tedesche, inferiori di numero ma meglio armate, supportate dall’aeronautica, e più decise); e il comportamento del principale oppositore di Gandin, il tenente Renzo Apollonio che, con il capitano Amos Pampaloni, ebbe un ruolo di primo piano in quel convulso settembre. Se poco di nuovo si dice sul comportamento delle truppe tedesche, e sul sistema di ordini criminali che le guidò, chiara è sin dalle prime pagine l’intenzione di smitizzare l’interpretazione di Cefalonia, di ridimensionare (a partire da un più attento calcolo dei caduti italiani) il suo ruolo nella storia della Resistenza, e soprattutto di mettere in evidenza i limiti e le contraddizioni di chi, al tempo della guerra fredda, continuò a parlare di Cefalonia anche falsandone i contorni. Intanto però i governi – per ragioni di politica estera – cercavano di sopire il ricordo di una pagina di brutali crimini di guerra nazisti, al fine di non intralciare la ripresa di buone relazioni italo-tedesche, il riarmo della Germania e l’inserimento a pieno titolo di Berlino e di Roma nell’Alleanza atlantica.
Il volume si presenta come uno sviluppo delle pagine dedicate al tema in Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945 (con Maria Teresa Giusti, 2011). Sostiene necessario, per sottrarsi al «mito», «ripartire dalle fonti» (p. 11). Ma si basa su documentazione già nota e utilizzata dagli specialisti, cui aggiunge qualcosa (il diario Bronzini, la documentazione di don Formato, una lettera ai familiari di Gandin ecc.). Si segnala il fatto che non si faccia uso della documentazione tedesca. Si tratta insomma di una sintesi e di una re-interpretazione, peraltro nelle note assai avara di riconoscimenti verso la bibliografia precedente.
Nicola Labanca
Giulia Albanese, Dittature mediterranee. Sovversioni fasciste e colpi di Stato in Italia, Spagna e Portogallo, Roma-Bari, Laterza, 225 pp., € 25,00
Dopo una serie di studi centrati sul caso italiano, Giulia Albanese presenta qui un’attenta sintesi della storia politica italiana, spagnola e portoghese del secondo e del terzo decennio del ’900. Dittature mediterranee analizza infatti la crisi dello Stato liberale e il percorso verso la dittatura dei tre paesi dell’Europa meridionale, partendo dal nodo cruciale della Grande guerra e giungendo fino alla seconda metà degli anni ’20.
Diviso in quattro capitoli cronologici – la guerra, il dopoguerra, la conquista del potere, la stabilizzazione delle dittature –, il volume, che si avvale delle preziose fonti dell’Archivio segreto vaticano, prende in considerazione soprattutto l’evoluzione istituzionale dei tre paesi e il ruolo della violenza politica e dell’azione paramilitare. Secondo l’a., il peso della violenza, considerata il «motore della trasformazione politica e istituzionale» (p. XXI), e la brutalizzazione della politica sono fondamentali per comprendere la crisi delle democrazie liberali di Italia, Spagna e Portogallo, così come il ruolo giocato dalla guerra «nel definire le forme e i linguaggi dello scontro politico» (p. 19).
Nonostante riconosca le differenze esistenti nei tre contesti nazionali – dalla forma di governo alla partecipazione nel conflitto, alla composizione del gruppo dirigente nel golpe –, l’a. sottolinea anche le forti analogie presenti, come la riorganizzazione nel dopoguerra dell’area conservatrice non solo contro il movimento operaio, ma anche «contro lo Stato e le istituzioni liberali» (p. 106), o «la diffusa sfiducia nelle capacità di governo delle istituzioni liberali» (p. 173) nel momento della Marcia su Roma dell’ottobre 1922, del colpo di Stato di Primo de Rivera in Spagna nel settembre 1923 e del golpe militare in Portogallo nel maggio 1926.
Secondo l’a., le tre esperienze dittatoriali che ne scaturirono si presentarono, in modi e forme diverse, come progetti di «restaurazione dell’onore e della dignità della nazione» e della sua rigenerazione (p. 180), per quanto ebbero poi evoluzioni diverse. E sarebbero «una delle possibili vie [della] restaurazione del potere della borghesia europea» (p. 214) negli anni ’20, seguendo l’intuizione di Charles Maier. Ossia, un progetto di rifondazione borghese e di «stabilizzazione autoritaria» (p. XIII) dopo lo sconquasso della guerra.
L’a. rimarca poi l’interesse internazionale per l’esperienza fascista italiana e gli elementi di imitazione presenti fin da subito in Spagna e Portogallo, riconoscendo che l’ascesa al potere di Mussolini fu «un vero e proprio spartiacque» (p. XIII) nell’Europa degli anni ’20 e che il fascismo rappresentò «una spinta molto forte […] all’elaborazione di progetti eversivi di colpo di Stato» e un «modello completo» (p. 177) sia dal punto di vista delle tecniche che da quello dell’orizzonte ideologico.
Nel complesso, dunque, si tratta di un’opera estremamente utile, che permette di ripensare da una prospettiva comparata e transnazionale una congiuntura chiave del ’900.
Steven Forti
Manfredi Alberti, Senza lavoro. La disoccupazione in Italia dall’Unità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 226 pp., € 19,00
Questo bel volume prosegue la ricerca che l’a. ha iniziato col libro sulla «scoperta dei disoccupati» nell’Italia liberale dell’esperimento riformatore giolittiano e sulla fondazione, anche in Italia, di strumenti statistici moderni.
L’a. offre una sintesi intelligente di un duplice ordine di problemi. La costante della sottoccupazione in Italia, a lungo sfociata in emigrazione con l’eccezione del breve periodo di espansione degli anni ’60, che videro invece una migrazione interna. Le difficoltà dello Stato sociale ad affrontare tale problema sia con una politica attiva dell’occupazione sia con l’erogazione di reddito, nonostante il convegno del 1906 presso l’Umanitaria fosse stato pionieristico. Attraverso la questione della disoccupazione in età liberale, il libro ripercorre la difficile strada dell’Italia verso l’industrializzazione, l’affidamento (o l’abbandono) dei ceti popolari alla carità privata o al mutualismo notabilare, la privatizzazione accelerata delle terre al Sud e la formazione di un’eccedenza di popolazione che il decollo di inizio ’900 non riuscì a risolvere.
L’a. descrive con precisione la positiva rottura del biennio postbellico, quando la necessità prima di aumentare e razionalizzare l’uso della forza lavoro per la mobilitazione industriale, poi quella di risarcire i ceti popolari del contributo alla guerra e di rispondere a una vivace conflittualità imposero ai governi di progettare un welfare universalistico e un riconoscimento reciproco dei soggetti produttivi, che resteranno però in gran parte allo stadio di progetto. I termini della commissione Rava e i contenuti di tali tentativi «alla Rathenau» sono ricostruiti col giusto rilievo.
Il saggio tratta poi le politiche sociali del fascismo rilevando lo scarto fra propaganda e realtà dell’evoluzione dell’occupazione, soprattutto in agricoltura. «Sbracciantizzazione», ruralismo, sostegno al mondo contadino tradizionale nella propaganda, nella realtà lento e progressivo aumento dell’occupazione industriale e rapporti tradizionali in agricoltura come serbatoio di sottoccupazione, innanzitutto femminile.
Ampio spazio è dato alla ricostruzione delle vicende repubblicane in cui, nonostante le possibilità aperte dalle proposte della commissione d’Aragona, il Piano del Lavoro fu respinto nel clima di sempre più accentuata contrapposizione politica, chiudendo per decenni l’Italia a una politica attiva del lavoro e a un welfare universalistico sul modello inglese, secondo lo «spirito del ’45». L’a. accenna poi a problemi molto attuali. Il moltiplicarsi di forme contrattuali precarie rende più difficile trovare un accordo sui criteri statistici a proposito dell’occupazione. D’altra parte un sistema di welfare costruito essenzialmente come sostegno alla disoccupazione temporanea dei lavoratori coinvolti in crisi industriali non dispone finora di strumenti di sostegno alla continuità del reddito e, soprattutto, ai giovani alle soglie del merca...