Petrarca maestro
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Petrarca maestro

Linguaggio dei simboli e delle storie

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Petrarca maestro

Linguaggio dei simboli e delle storie

About this book

I saggi contenuti in questo volume presentano una forma inedita del petrarchismo umanistico e rinascimentale che affiora nel linguaggio simbolico degli emblemi, delle icone e nelle concordanze delle storie. È il petrarchismo tramandato da alcune strutture emblematiche distribuite nel Canzoniere e dai modelli del rapporto uno/molteplice che Petrarca traccia in alcune opere latine, nonchÊ da strutture che "concordano le storie" per ricavarne l'esemplarità. Queste concordanze sono i remoti modelli delle "officine rinascimentali", enormi depositi di storie concordate che alimentarono la inventio di innumerevoli scritture del Cinquecento.La novità di questo studio è chiara, ma è anche chiaro quanto sia rischioso seguire la presenza di modelli nascosti fra le strutture, specialmente quando queste subiscono un processo metamorfico nel passaggio da un sistema di comunicazione verbale a un sistema di comunicazione figurativa. Solo gli strumenti della filologia consentono di affrontare il rischio di seguirne le tracce e di assicurare che non si tratti di una mera suggestione. Si tratta di un petrarchismo diverso da quello lirico tradizionale, che ebbe i suoi potenti manifesti mentre il petrarchismo delle strutture è, al contrario, ancora tutto da dimostrare.Il lettore sarà persuaso della plausibilità della sfida? Ce lo auguriamo: seguendoci potrebbe rimanere sorpreso da una manifestazione nuova del magistero di Petrarca.

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1. Le visioni “emblematiche” nel Canzoniere

Non è normale prevenire il lettore annunciandogli un’anomalia in cui s’imbatterà nel leggere questo saggio che comincia dove dovrebbe finire e che finisce dove dovrebbe cominciare. Se però il lettore ha un po’ di pazienza, capirà che l’anomalia è nella storia che ricostruiamo, e ciò ha reso pressoché impossibile procedere nel modo lineare che sembrerebbe più logico, ossia partire dai segni per arrivare alle cose. Nel Canzoniere di Petrarca spuntano improvvise alcune visioni particolari che abbiamo deciso di chiamare “emblematiche”, e di fatto sono “emblematiche”, ma a modo loro e con molto anticipo rispetto al periodo in cui nacque il genere degli emblemi. L’anomalia, dunque, sarebbe costituita da questo fattore anacronistico e dall’uso di una nomenclatura non attestata ai giorni del nostro autore. Tuttavia sembra che Petrarca anticipi gli elementi che avrebbero reso possibile quel genere. Ovviamente non immaginò neppure di darne alcuna formulazione che ne favorisse la creazione, ma sembra chiaro che avvertisse esigenze espressive che richiedevano soluzioni analoghe a quelle teorizzate dagli emblematisti. Ed è proprio questo rapporto che ci ha portato ad adottare un termine tecnico estraneo alla cultura di Petrarca. Non sosteniamo che Petrarca sia un precorritore degli emblematisti, ma il modo in cui questi realizzarono un genere che combinava e integrava il linguaggio verbale con quello pittorico ci fornisce molti dati tecnici per chiarire il perché e il come Petrarca crei le frequenti visioni che analizzeremo. Da ciò il nostro procedere in un modo che ha l’apparenza di cominciare dove in realtà dovrebbe finire. Si sa: le storie aventi per tema qualche “precorrimento” devono, quasi a fortiori, disporre i materiali con un ordo artificilis che si configura come una vistosa figura di hysteron proteron. La nostra ricerca comincia presentando i dati che la fondano, e da questi arriva poi alla letteratura emblematica, la quale conferma retrospettivamente che Petrarca cercava qualcosa di simile a quello che gli emblematisti avrebbero trovato. Lo conferma indirettamente anche il fatto che Petrarca divenne uno dei poeti preferiti dagli emblematisti, che da lui ripresero un gran numero di immagini simboliche e di “motti”.
***
Per dare avvio al nostro discorso rileggiamo in tandem i due madrigali che nell’ordine del Canzoniere sono separati da una canzone del tutto estranea al loro argomento. Sono i madrigali 52 e 54:
Non al suo amante piĂš DĂŻana piacque,
quando per tal ventura tutta ignuda
la vide in mezzo de le gelide acque,
ch’a me la pastorella alpestra et cruda
posta a bagnar un leggiadretto velo,
ch’a l’aura il vago et biondo capel chiuda,
tal che mi fece, or quand’egli arde ’l cielo,
tutto tremar d’un amoroso gielo;1
e
Perch’al viso d’Amor portava insegna,
mosse una pellegrina il mio cor vano,
ch’ogni altra mi parea d’onor men degna.
Et lei seguendo su per l’erbe verdi,
udì’ dir alta voce di lontano:
Ahi, quanti passi per la selva perdi!
Allor mi strinsi a l’ombra d’un bel faggio,
tutto pensoso; et rimirando intorno,
vidi assai periglioso il mio viaggio;
et tornai indietro quasi a mezzo ’l giorno.
Sono due madrigali e quindi entrambi nati da occasioni “galanti”, e hanno per tema due visioni simili/diverse. La prima è mitologica, e pertanto reale nel senso che l’avvalla una “storia” e viene usata come esempio per illustrare un’impressione fugace ma indimenticabile: come Diana paralizzò le facoltà di Atteone quando questi la vide bagnarsi nuda, così l’autore del madrigale 52 rimane attonito quando vede una pastorella che lava il velo con il quale poi si coprirà i capelli. Il rigor che lo assale è una variante dell’adynaton del gelo infuocato o dell’icy-fiery ‒ Ovidio, Met. III, 161, parla di un «fons perlucidus», quindi di acque cristalline ma non gelide ‒, ed è studiata per dare grande efficacia all’«amoroso gielo», all’immobilità che si accompagna allo stupore. Per il momento ci interessa questo senso di sorpresa e di paralisi, che, a veder bene, sembra lievemente incongruo nel genere della “pastorella”, in cui la visione di solito è solo un preludio alla seduzione, ma è proprio tale diversità che isola ed evidenzia “la visione”. Naturalmente non si tratta di una pastorella convenzionale, e il senhal «l’aura» (v. 6) lascia pochi dubbi sulla sua identità. In ogni caso è una visione senza conseguenze: è semplicemente la registrazione di un evento. Ma ritroveremo altri episodi simili almeno per quanto riguarda gli elementi dell’imprevisto, della subitaneità e dello stupore.
Essi ritornano, infatti, nel secondo madrigale, dove però vengono accentuati fino a caricarsi di mistero. Qui la visione, nel duplice senso dell’oggetto visto e dell’atto del vedere, non costituisce un termine di paragone, ha per oggetto una persona e non una pastorella, e crea nel vedente una reazione che non è di stupore ma di perplessità. L’immagine viene osservata, anzi studiata, in quanto fin dall’inizio appare enigmatica, e il “perché” iniziale indica la consapevolezza di vedere un essere che, però, è forse solo nell’immaginazione. Presenta segni che richiedono una lettura, o quanto meno un’interpretazione cauta che produce il monito a cambiar strada. Il madrigale ha chiaramente elementi allegorici come dimostrano i caratteri della personificazione, e vi si sospetta la presenza di un messaggio che deve essere decodificato. Alla stranezza del tutto si aggiunge il particolare dell’ora meridiana carico di un significato “magico”. Non sorprende, allora, che vari lettori vi abbiano colto un’allusione ad una conversione, e vari altri un monito a non seguire l’amore; comunque, entrambe le letture intravedono un attimo di “ripensamento” da parte dell’autore sul corso della propria vicenda sentimentale. Sono tutti elementi di cui dobbiamo fare memoria, rinunciando ad interpretarli: per il momento ne sottolineiamo i tratti comuni perché torneranno in altre visioni.
Le due visioni hanno in comune un abrupte incohare, l’esordire con un’apparizione che irrompe o che emerge improvvisamente, quasi violentemente nel piano della realtà. Inoltre hanno in comune una componente che potremmo chiamare “magica”, contrassegnata dalla menzione del “mezzogiorno” che, comunque lo si voglia intendere (il mezzo della vita o il meridies), rappresenta un momento che propizia rivelazioni e presenze medianiche. Basterebbe da solo questo dato per farci capire o almeno intuire che si tratta di momenti di intellezione, agevolati da un’acutizzazione dei sensi tale da lasciare attonito chi esperimenta il fenomeno di intelligere con i sensi fisici e di sentire con l’intelletto. Tuttavia l’elemento che maggiormente accomuna i due madrigali è il fatto che spuntino improvvisi nel Canzoniere senza che un qualche segno li preannunzi; anzi sembrano interrompere volutamente una linea di racconto. Ma è proprio così? Il primo madrigale sembra realizzare una visione che “avrebbe potuto essere” nel sonetto precedente dove un’ipotetica visione avrebbe creato nell’amante una vera metamorfosi, suggerita dalla menzione di Atteone. Sembra che il madrigale, con l’immagine improvvisa di una pastorella e con una reazione di stupore, scarichi la tensione insostenibile del sonetto precedente in una visione più serena e meno impegnativa di quanto non sarebbe una metamorfosi; e anche se fosse una visione tutta mentale, l’effetto rasserenante non sarebbe minore. Intanto consente che la vita continui, e la levità del madrigale ne offre un indizio. Il madrigale 54 sembra anch’esso accamparsi nel vuoto, nonostante il fatto che la sua ovvia natura allegorica gli abbia assegnato svariati legami. Non saprei trovargli radice o motivazione alcuna: sembrerebbe un “improvviso”, se non fosse che il motivo della “illuminazione” intellettuale potrebbe collocarlo sull’onda della visione morale della canzone precedente, o anche sull’onda della parenesi con un trasferimento dalla meditazione politica alla considerazione sul proprio stato morale.
Il fenomeno delle visioni è ricorrente nel Canzoniere e quelle che abbiamo visto presentano alcune costanti. Fra queste è il loro sorgere ex abrupto, del tutto impreviste, benché non assolutamente prive di segni preannunciatori che a volte sono verbali, a volte tematici. Chiameremmo queste visioni “emblematiche”, perché instaurano un rapporto testo/rappresentazione, anche se nel caso degli emblemi è una figura vera e propria che illustra un testo, ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Indice
  6. Introduzione
  7. 1. Le visioni “emblematiche” nel Canzoniere
  8. 2. Il De remediis: l’uno e il molteplice o la sostanza e gli accidenti
  9. 3. Le “concordanze delle storie”: dai Rerum memorandarum libri alle officinae rinascimentali
  10. 4. Il sogno di un’operosa vita solitaria e di un intellettuale nuovo
  11. 5. La proba, amuleto antiveleno (De vita solitaria, I, ii, 13)
  12. 6. Sulle tracce di ÂŤRochusÂť (De remediis, II, Praefatio, 23)