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L'Inquisizione romana, i giudici e gli eretici
Studi in onore di John Tedeschi
- 249 pages
- English
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- Available on iOS & Android
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About this book
Sulla scia delle pionieristiche ricerche di John Tedeschi sulla storia istituzionale del Sant'Uffizio romano e delle sue indagini sull'emigrazione dei dissidenti, la censura libraria, la storia dell'eresia nel Cinquecento e la storia degli ebrei, alcuni tra i maggiori storici d'Italia, e non solo, affrontano temi importanti per la storia politica, culturale e religiosa della prima età moderna per offrire un piccolo omaggio a uno studioso italo-americano di grande sensibilità e apertura intellettuale.
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Information
Topic
HistoriaSubtopic
Historia moderna tempranaVincenzo Lavenia
«Che cos’è la verità». L’apocrifo della sentenza di Pilato e la sua storia*
1. «Quid est veritas?». Che cos’è la verità, chiede Pilato a Cristo dopo la consegna da parte del sinedrio e prima di proporre alla folla l’alternativa tra Gesù e Barabba (Gv 18,38). Convinto di avere davanti a sé un uomo privo di colpa, il procuratore romano rimette agli ebrei la sorte di un predicatore che gli è stato affidato solo perché le autorità religiose giudaiche affermano di non avere diritto a impartire la pena di morte in quella circostanza. Riluttante alla condanna, il magistrato compie allora una serie di passi (pochi) che l’hanno scolpito nella memoria come il comprimario di una storia sacra che egli non comprende. Ma la memoria, si sa, è costruita sul vero, sul falso e sul finto, ed è stato Marc Bloch, prima di Carlo Ginzburg,411 a farci avvertiti che il falso, per gli storici, è tanto importante quanto il vero, a patto che lo si sottoponga all’analisi critica. «Non basta constatare l’inganno. Occorre anche scoprirne i motivi», avverte l’autore dell’Apologie. Forse ci sono state epoche più inclini alla fabbrica di mitologie e di falsi; ma dietro a ogni impostura documentaria, osserva Bloch, ci sono sempre ragioni simboliche e di potere, il bisogno di fondare un diritto, la volontà di antichizzare (e dunque di valorizzare) un culto, una chiesa, un titolo.412 Il falso ci dice qualcosa di una società e dei suoi bisogni non meno di un documento certo.
Quella che segue è la storia preliminare di un piccolo apocrifo emerso nel 1580 all’Aquila: il testo della presunta vera sentenza con la quale Ponzio Pilato avrebbe chiuso il processo contro Gesù di Nazareth condannandolo per precisi capi di imputazione. Ma se l’apocrifo è minore (e, come vedremo, circolò quasi subito a stampa), il processo al quale pretende di riferirsi non lo è affatto e ha fatto scorrere fiumi di inchiostro intrecciandosi con la storia dell’antigiudaismo cristiano e con una serie di leggende fiorite dall’impulso di sapere chi mai fosse quel prefetto/procuratore romano davanti al quale Cristo avrebbe proclamato di essere il signore di un regno che non appartiene a questo mondo; dall’impulso di fornire significati metastorici alla figura storica di quell’ambiguo e riluttante magistrato non ebreo. Del resto, quel che sappiamo di Ponzio Pilato, sul piano documentario, è poca cosa: gli storici che hanno confrontato le testimonianze autentiche che sopravvivono su di lui hanno dovuto limitarsi al testo dei vangeli (che raccontano le fasi finali della vita di Gesù in modo difforme) e alle pagine di Tacito, di Filone e di Flavio Giuseppe (che ne mettono in luce i sentimenti antigiudaici), nonché a un’iscrizione del I sec.413 Eppure, già prima che entrasse nel testo del Simbolo di Costantinopoli (IV sec.), ovvero nella professione di ciò che è materia di fede per il cristiano ortodosso, Pilato aveva costituito il perno di un nucleo di documenti che oggi fanno parte dei vangeli detti apocrifi per distinguerli da quelli ufficiali. Apocrifo, è bene sottolinearlo, è un termine che rimanda alla differenza tra canonico e non canonico, e non tanto o non solo a vero e falso (o a pubblico e segreto). Apocrifo è ciò che l’autorità ecclesiastica ha definito per tale nel corso dei secoli in cui si è edificato il corpus di dottrine e documenti condiviso da larga parte del mondo cristiano a prescindere dalle sue divisioni storiche (ma la categoria, ovviamente, è estensibile alle altre religioni del libro).414 Poi è venuta la letteratura: il Pilato antisemita di Anatole France (Le procurateur de Judée, 1893), quello surreale e afflitto di Michail A. Bulgakov (Il maestro e Margherita, 1940-1941), quello sofisticato protagonista di un racconto di Friedrich Dürrenmatt (Pilatus, 1946).415 E non ultima la riflessione giuridico-filosofica, che negli ultimi due secoli ha annoverato, tra gli altri, gli scritti di Ernst Renan, Hans Kelsen e Giorgio Agamben, solo per citare alcuni autori.416
Il nodo che ha intrigato chiunque abbia incrociato la figura di Pilato è quello, gigantesco, della condanna di Gesù a una morte infamante: una condanna che è frutto di una serie di atti che sono stati qualificati spesso come “il processo di Cristo”: supremo momento di ingiustizia umana, che per converso ha esaltato il disegno di Dio sugli uomini, la sua giustizia sovratemporale. Ma – e la domanda, come vedremo, è antica – si è trattato proprio di un processo? E si è trattato di un solo processo, oppure le procedure contro Gesù sono state in realtà due, una davanti al sinedrio e una appunto in presenza di Pilato? E chi mise la parola fine all’esistenza terrena del profeta di Nazareth pronunciandone la condanna? Se si guarda ai quattro vangeli canonici, come è stato rilevato più volte, ci accorgiamo che il racconto scritto dopo la morte di Cristo illumina fino a un certo punto in virtù di notevoli discrepanze. Se l’appello alla folla di Gerusalemme perché salvi Gesù o Barabba appare un tentativo di differirne la morte escogitato da Pilato (che in Giovanni, il vangelo più dettagliato, fa frustare l’imputato e cerca di rimandare la condanna più che può), Luca (23, 7-12), che tace della flagellazione, è il solo a raccontarci di un passaggio dell’imputato davanti a Erode Antìpa, tetrarca di Galilea, mentre Matteo è l’unico a citare la moglie di Pilato (che nelle leggende successive avrà nome di Procla): la donna, concitata, riferisce al marito di un sogno che lo ammonisce dal compromettersi con la condanna di Gesù. In ogni modo, se Giovanni pone l’accento sulla paura di Pilato di essere accusato dagli ebrei di non saper garantire il rispetto dell’autorità imperiale (un’accusa che poteva giungere a Roma), è Matteo a porre per iscritto il passo che suggella la presunta colpa degli ebrei come responsabili della morte in croce. Pilato si lava le mani del sangue del condannato mentre il popolo di Gerusalemme ascrive a sé la decisione ultima di mandare a morte Cristo: «il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli» (Mt 27,25). La rivendicazione, terribile, è all’origine dell’accusa di deicidio e dunque della lunga storia dell’antigiudaismo cristiano.417
Il polemico distacco dei seguaci di Cristo dal solco dell’ebraismo e poi il loro riconoscimento da parte dell’Impero ebbero come effetto, sin dai primi secoli, la necessità di riabilitare Pilato, di non calcare troppo la mano sulle responsabilità romane nella morte del Messia e di addossare la colpa della crocifissione sul sinedrio, al punto che una serie di testi che oggi qualifichiamo come apocrifi ebbero al centro la figura di Pilato e la condanna di Cristo. Se Giustino, come poi Tertulliano, alluse a una relazione inviata a Roma da Pilato per giustificare la sua condotta e riferire dei fatti di Gerusalemme (un testo perduto che più tardi fu reinventato), coloro che elaborarono le prime leggende sulla controversa figura del praefectus ne descrissero il ruolo nella condanna di Gesù in modo ben più dettagliato dei quattro vangeli canonici, dove la sola sentenza a cui si accenna – e non in tutti – è quella pronunciata per bestemmia dai membri del sinedrio («tutti sentenziarono che era reo di morte», Mc 14,64). Nel cosiddetto Vangelo di Pietro, un testo di netta ispirazione antigiudaica, è addirittura Erode a condannare a morte, senza sentenza, un Cristo dileggiato dagli ebrei. Ma nel Vangelo di Nicodemo (o Atti di Pilato, IV o V sec.) compare una sentenza che è pronunciata da Pilato ed è stata tramandata in due versioni leggermente difformi:
Allora Pilato diede ordine che venisse tirata la tenda davanti al seggio su cui egli sedeva e disse a Gesù: – il tuo popolo ti ha condannato come re; perciò io ho decretato: prima di tutto che tu sia flagellato, secondo gli ordinamenti dei miei pii imperatori, poi che tu venga appeso in croce nell’orto in cui sei stato arrestato. Disma e Gesta, i due malfattori, saranno crocifissi con te (testo greco A).
Allora Pilato sedette sul proprio seggio per emettere la sentenza. Diede ordine, e Gesù venne al suo cospetto. Portarono una corona di spine e gliela posero sul capo, e una canna nella...
Table of contents
- Copertina
- Occhiello
- Frontespizio
- Colophon
- Indice
- Andrea Del Col, Introduzione
- Anne Jacobson Schutte, The Sage of Dog Hollow Farm
- Bibliografia di John Tedeschi
- Carlo Ginzburg, Text and Voice, Text vs Voice: On Dante’s De vulgari eloquentia II, 8, 3 ff.
- Tamar Herzig, The Prosecution of Jews and the Repression of Sodomy in Fifteenth-Century Italy*
- Adriano Prosperi, Il Lutero italiano
- Fabrizio Biferali e Massimo Firpo, Ancora su pittura ed eresia nel Cinquecento italiano. Un’ipotesi su Girolamo Siciolante da Sermoneta
- Pierroberto Scaramella e Giuseppe Fonseca, La difesa del matrimonio cristiano: decreti tridentini e interventi inquisitoriali
- Guido Dall’olio, Esorcistica e caccia alle streghe. Il Compendio dell’arte essorcistica e il Malleus Maleficarum
- Anne Jacobson Schutte, Index and Biography: The Case of Orsola Benincasa
- Marina Caffiero, Regiudaizzanti in fuga, ebrei complici. L’Inquisizione romana e i convertiti pentiti
- Vincenzo Lavenia, «Che cos’è la verità». L’apocrifo della sentenza di Pilato e la sua storia
- Andrea Del Col, Analisi cronologica dei delitti contro la fede perseguiti dall’Inquisizione di Aquileia e Concordia (1557-1800)