1. Un’anomalia in un mondo di uomini
I fautori dell’evoluzione hanno spesso un’opinione troppo bassa di ciò che sussiste. […] Il transitorio sembra loro meno brutto perché passa, ma anche il transitorio può uccidere. E che cosa c’è che trapassi senza che sia costretto a trapassare?
(B. Brecht, Me-ti)
1. Surplus woman
In Gran Bretagna tra il 1850 e il 1860 il numero delle donne non sposate e lavoratrici cresce al tal punto da classificarle come donne ridondanti o in surplus. Quella che a prima vista può apparire solo come una creativa variazione dei demografi di fronte a un’inaspettata anomalia è in realtà un fatto che nel giro di pochi decenni finisce per cambiare il volto della società vittoriana. A esso dobbiamo in primo luogo il movimento delle donne che, proprio a partire dal 1850, trasforma la sfera pubblica britannica, lottando per il suffragio e contro l’oppressione all’interno della famiglia. A quella pubblica ridondanza femminile dobbiamo anche l’opera di Beatrice Potter che, partendo dalla sua condizione di surplus woman, lavora per oltre quarant’anni a una nuova concezione della scienza e del suo rapporto con la società.
La società vittoriana si mostra da principio sensibile nei confronti della situazione legale e sociale delle donne e quindi riconosce, senza particolare sforzo, la necessità di riformare l’educazione, la regolazione giuridica della proprietà della donna sposata e il diritto di custodia. Queste misure non si basano però sull’idea di un’uguaglianza tra uomini e donne e lo stesso suffragio universale non è certo sostenuto in modo unanime, neppure da coloro, donne e uomini, che sono favorevoli alle riforme. La cosiddetta «questione delle donne» che emerge a metà del secolo si intreccia quindi immediatamente con un processo controverso di ridefinizione complessiva della società e della politica. In questo frangente di transizione, le surplus women sono in una posizione del tutto peculiare perché mentre godono di diritti e di libertà personali che sono invece negati alle mogli, vengono stigmatizzate o sono emarginate per via della loro dipendenza economica. Da questo punto di vista, Potter è un’anomalia nell’anomalia perché mette a valore il suo «surplus» anche attraverso il matrimonio e nonostante un rapporto contraddittorio con l’emergere del femminismo. Potter si serve dello spazio creato dall’irruzione delle donne nella scena pubblica per conquistare il suo posto nella scienza degli uomini e ambire a diventare la madrina della sociologia. Ciò che la convince a sposarsi, dopo aver considerato per anni il matrimonio «poco più che un’alternativa al suicidio», è infatti la convinzione che la sua unione con Sidney Webb possa rappresentare quella partnership intellettuale, come lei stessa la definisce nel titolo della sua ultima opera, di cui ha bisogno per dedicarsi liberamente alla sua professione. Un matrimonio, quindi, tra scienza e politica che combina «risorse materiali e morali, per servire insieme il “commonwealth”». La sua determinazione e i sacrifici per diventare una «scienziata sociale» in un mondo di ladies non corrispondono però, automaticamente, alla rivendicazione di un diverso ruolo delle donne o di una battaglia politica contro il loro destino domestico. Non solo Potter figura tra coloro che si oppongono al suffragio femminile, a maggior ragione perché rivendicato su base censitaria, ma giudica il movimento delle donne e le sue rivendicazioni sociali scollegati dalle questioni politiche più urgenti del suo tempo. Il “femminismo” vittoriano metterebbe in subordine le condizioni materiali per una battaglia di costume, senza vedere la profonda frattura politica che spacca la società vittoriana, rappresentata dalla divisione in classi. Si tratta però di una critica che parte anche da una visione funzionalistica: la divisione sessuale del lavoro dovrebbe essere resa funzionale tanto all’organizzazione familiare quanto al lavoro industriale. La sua concezione del ruolo della donna oscilla tra l’importanza sociale della maternità, della cura, della custodia dei valori e un orgoglio femminile che rivendica spazio nella sfera pubblica:
Il solo modo in cui possiamo convincere il mondo della nostra potenza è quello di mostrarla! A questo scopo sarebbe meglio per le donne di natura forte restare caste, in modo che quella speciale forza dell’essere donna, il sentimento materno, possa essere forzata nell’impegno pubblico.
Alla luce di questa oscillazione, Potter non può essere definita né un’anti-femminista né una femminista, se con femminismo intendiamo una politica delle donne. Lei rimane, piuttosto, dentro e fuori questa politica. Per una scienziata sociale che fa delle disuguaglianze economiche l’oggetto della propria ricerca scientifica e la questione centrale della nascente teoria sociale, la prospettiva del voto appare riduttiva, un mero orpello formale se confrontato con il problema delle madri sfruttate nelle fabbriche a domicilio, ancor più se il suffragio è rivendicato per le donne sole e proprietarie. Potter è consapevole della natura sociale delle condizioni vissute dalle donne e perciò non crede che la sola emancipazione giuridica possa risolvere il problema e colmare lo svantaggio. La subordinazione delle donne è il frutto di una precisa educazione sociale che le priva della responsabilità di coltivare il proprio «carattere». La sua critica alle donne di classe media, al loro disinteresse per il bene collettivo, mette in luce un’«inferiorità» che non è data dal loro status giuridico, ma dalla cieca accettazione del loro destino di ladies della Society londinese, “oggetti ornamentali” delle sue feste da ballo.
All’inizio del secolo il termine lady assume un significato peggiorativo che allude alla mancanza di professionalità e al dilettantismo in contrasto con la ricerca di autonomia della working woman, la cui indipendenza dalle aspettative familiari e sociali dipende interamente dalle possibilità di guadagno economico. La figura della new woman nasce prima di tutto come topos della letteratura sulla cosiddetta «questione femminile», ma la sua realtà sociale è assai più complessa di quanto evocato dalla caricatura dell’epoca: le donne di classe media potevano accedere alle nuove possibilità di emancipazione che si aprivano a condizione di guadagnare uno stipendio senza pagare un prezzo troppo alto in termini di status sociale. L’incolmabile distanza tra queste figure segna la nascita di un nuovo paradigma del femminile. Al contrario della lady, per cui il lavoro è un «tabù», la new woman si fa portavoce di un nuovo modello di vita sociale. La sua pretesa di emancipazione, l’ambizione a una professione che l’accesso all’istruzione superiore alimenta, è anche il terreno sul quale si sviluppa una nuova concezione sociale del lavoro. Queste donne, nonostante le difficoltà reali con cui devono confrontarsi per essere riconosciute come professioniste e poter lavorare, introducono un cambiamento decisivo tanto nella struttura patriarcale della società e della famiglia, quanto nella divisione sessuale del lavoro.
Qualche giorno prima del matrimonio di una delle sue sorelle, Potter scrive nel suo diario dopo una grande festa a Prince’s Gate:
Le “ladies” sono così prive di espressione. Si deve pensare che la superiorità mentale degli uomini sia massima nella nostra classe sociale. Potrebbe essere altrimenti vista la vita quotidiana delle ladies in società? Che cosa c’è di così attraente in quella vita? Come può una donna intelligente desiderare di sposarsi in un contesto in cui vige questo regime sociale?
C’è un regime sociale prima che giuridico che decide sulla vita delle donne. Pensare che per cambiare la condizione delle donne nella società sia sufficiente il riconoscimento dei loro diritti – civili, politici o sociali – sarebbe dunque ingenuo, perché i diritti finirebbero per riconfermare la loro posizione, assieme al potere che la determina. Si tratta piuttosto della conquista di un posto nel mondo dominato dagli uomini, dove le donne non devono imparare “a esser...