1. Una storia della feudalità pontificia*
Febbraio 1598, Ferrara:
Facendo pieno homaggio liggio et vassallaggio, […] promettemo et facemo professione che da questa hora inanzi saremo fedeli, devoti et obedienti al S.mo Signore Nostro Clemente papa VIII et suoi successori che intraranno canonicamente. Non saremo in consiglio, consentimento ò fatto, che perdino vita ò membro ò siano presi di mala cattura. Il consiglio secreto […].
Un senso di spaesamento: collocato in un paesaggio lontano e per lui esotico come l’età barocca, lo storico del papato medievale riconosce un oggetto familiare, intatto fin nei più piccoli particolari. Parola per parola, i rappresentanti del comune di Ferrara, allora devoluto alla Chiesa, ripropongono in traduzione italiana il giuramento di vassallaggio al papa attestato per la prima volta nel 1059, e poi in tante altre fonti pontificie. Ma cosa si cela dietro questa continuità di mezzo millennio e oltre? Per quali ragioni, e in base a quali antecedenti la Chiesa cercava una sanzione feudale al passaggio sotto la sua autorità temporale degli antichi dominii estensi? E perché pochi anni prima l’ambasciatore veneziano scriveva che «tutti i baroni romani, quanti castelli possedono, tutti li riconoscono sotto diversi titoli dalla Chiesa»? Il possesso di giurisdizioni signorili derivava dunque, immancabilmente, da un’investitura sovrana?
Per rispondere a queste domande prenderò una lunga rincorsa. Sarà l’occasione per ripercorrere, dalle loro prime attestazioni nel secolo XI fino all’età barocca, i rapporti feudali che coinvolsero direttamente i papi, e che furono utilizzati nel lungo processo di affermazione del loro potere temporale sulle regioni dello Stato della Chiesa. Ma non sarà un cammino agevole. Vassallaggi e benefici hanno ricoperto ruoli diversi, sempre molteplici e sempre cangianti. Non è possibile leggere, come pure è stato fatto, la loro vicenda in senso lineare, come l’ordinato succedersi di una fase di origine, una fase di crescita e poi altre di maturità e declino.
1. Concetti e ambiti
Prima di affrontare la trattazione, è bene fornire alcuni chiarimenti concettuali sui linguaggi e le terminologie feudali. Il chiarimento è tanto più necessario, in quanto la definizione dei rapporti feudali e dello stesso concetto di feudo, di per sé tutt’altro che univoca, è divenuta recentemente oggetto di ampia discussione.
Devo allora sottolineare che ho adottato in queste pagine una visione rigida, quasi nominalista. Mi sono cioè limitato a quei rapporti di dipendenza e alleanza sanzionati da giuramenti di fidelitas vassallatica, oppure da concessioni di beni e diritti tecnicamente definiti come beneficium e feudum, o con chiarezza ad essi assimilabili. Evitando di postulare l’esistenza di “strutture” o di organiche “istituzioni feudali”, ho innanzitutto indirizzato la mia attenzione verso il lessico dei rapporti di potere, verso la rappresentazione in forme feudali delle relazioni personali e delle concessioni fondiarie.
Accanto al feudo, ho preso in considerazione la fedeltà giurata in forme vassallatiche. Ho dato quindi spazio a nozioni, quelle di fedeltà e di vassallaggio, che sono state a ragione criticate per la loro genericità, ma che tuttavia restano a mio avviso utili qualora, beninteso, si indaghi la molteplicità di relazioni che potevano esprimere.
Una delimitazione così formalistica e al tempo stesso generica del “feudalesimo” presenta numerosi inconvenienti. Soprattutto, induce ad analizzare una parte soltanto, quella espressa appunto in forme feudali, di rapporti di solidarietà e dipendenza che conoscevano in realtà numerose altre forme di espressione e di sanzione. Intorno agli enti ecclesiastici, ad esempio, questi rapporti potevano di volta in volta fondarsi su ruoli di donatore e permutatore di terre, di enfiteuta o livellario dei beni ecclesiastici, di amministratore, di patronus, di famiglia vincolata alla sepoltura nella chiesa, o anche semplicemente di fidelis (in senso religioso) dalla particolare assiduità. Ancor più numerose, come vedremo, erano poi le forme in cui si esprimevano l’appoggio e la soggezione al potere papale, o il suo semplice riconoscimento.
La mia scelta, però, ha un indubbio pregio: aiuta a constatare come anche all’interno di un quadro feudale così rigidamente definito siano presenti relazioni sociali e politiche fra loro diversissime. Nel caso del papato, ci imbattiamo in almeno quattro diversi ordini di rapporto. Nella pratica appaiono talora confusi e sovrapposti, ma concettualmente è bene conservarli distinti.
a) Di maggiore evidenza è il più classico degli ambiti di applicazione del legame feudale: la fedeltà giurata e simbolicamente conclamata, e le corrispettive concessioni fondiarie, «come pegno di una solidarietà armata e politica agli alti livelli sociali», cioè come strumento di sistemazione, più o meno diffuso ed esclusivo, delle relazioni fra le élites (laiche ed ecclesiastiche) di un territorio. Nello Stato della Chiesa, questa funzione del nesso feudale si manifestò soprattutto nel rapporto fra il pontefice e le grandi stirpi aristocratiche, mentre appare solo marginalmente nelle relazioni interne alla nobiltà signorile. Non entro qui nel dettaglio, poiché sarà appunto in questo ambito di applicazione dei rapporti vassallatico-beneficiari che mi muoverò in prevalenza nel resto del capitolo.
b) Quando è riferito a soggetti di grandissimo spessore istituzionale e sociale, il linguaggio feudale può poi esprimere raccordi volti a sancire non un’alleanza militare o tentativi di inquadrare e disciplinare i poteri presenti su un territorio, ma relazioni di livello politico molto elevato e – si potrebbe dire in termini moderni – di “politica estera”.
Nel caso della Chiesa romana, questa forma di utilizzazione dello strumento feudale è stata precoce e intensa. A partire dal giuramento di fedeltà prestato nel 1059 da Roberto il Guiscardo, il papato ha ottenuto da principi e re di tutta la cristianità una vasta serie di fedeltà giurate, che, a detta di Walter Ullmann, «almeno in teoria lo hanno reso il principale monarca feudale d’Europa». All’impegno del Guiscardo sono seguiti quelli di Riccardo di Capua, del re di Navarra, del principe di Kiev, del re di Croazia e Dalmazia, del conte di Provenza, e poi dei sovrani di Polonia, Ungheria, Aragona, Inghilterra e numerosi altri regni. Questi patti di sottomissione ponevano il sovrano e i suoi successori sotto la protectio pontificia, che aveva un forte valore di legittimazione e di tutela. In contraccambio, i sovrani assumevano impegni di vario tipo, che in alcuni casi prevedevano, oltre al pagamento di un censo monetario, il giuramento di una vera e propria fedeltà vassallatica e il riconoscimento di possedere il proprio regno su concessione della Sede apostolica. A questi impegni, dalla metà del XII secolo si accompagnò spesso la prestazione del ligium homagium.
La reale natura di questi rapporti è molto dibattuta. Alcuni studiosi hanno proposto di distinguere fra regni-vassalli e regni posti soltanto sotto la protezione apostolica. Altri negano ogni contenuto feudale di simili patti. Questa contestazione ha riguardato anche il primo “vassallaggio sovrano”, quello di Roberto il Guiscardo del 1059, che secondo alcuni attesterebbe soltanto il riconoscimento da parte dei Normanni della superiore autorità spirituale della Chiesa romana. In questo come in altri casi, vengono sottolineate la scarsa o più spesso nulla autorità che il pontefice esercitava su quei regni, l’assenza di un concreto servitium, la mancanza di ogni trasferimento di poteri e territori causato dal raccordo vassallatico. Ma appunto: in questi studiosi opera una concezione molto restrittiva del nesso feudale, che viene negato ogni qualvolta il giuramento di fedeltà, l’omaggio e la definizione di un territorio come pertinente al senior non comportavano né una reale cessione di terre e giurisdizioni, né la prestazione di un definito servitium, soprattutto militare.
Una simile concezione non rende tuttavia giustizia alla duttilità del lessico feudale, alla sua capacità di coesistere e di assimilarsi ai più diversi tipi di relazione. Non vi sono dubbi che la cancelleria papale e gli stessi sovrani, da un punto di vista di cultura e di ideologia politica, riconducessero la relazione che andavano stabilendo non solo al tradizionale rapporto religioso di protezione e protettorato papale, ma anche all’ambito feudale. Nel loro articolato dettato, del resto, i giuramenti di fedeltà pronunciati dai re erano in tutto simili a quelli richiesti a qualsiasi altro vassallo pontificio, mentre inequivocabile doveva apparire il significato di cerimonie e gesti come l’omaggio. In questi casi la Chiesa portava in realtà al massimo sviluppo quella tendenza, operante anche presso altri potentati, ad utilizzare le forme feudali per sancire rapporti eminenti di alleanza politica e di generica superiorità. Nel papato agiva inoltre il desiderio ...