1. Il fulmine espiatorio
Nel 1952 Giovanni Mira e Luigi Salvatorelli pubblicarono una delle prime ricostruzioni storiche del fascismo. Erano trascorsi sette anni dalla sua sconfitta. Riguardo alla persecuzione antiebraica scrissero: «[la] introduzione brusca nell’ideologia e nella pratica fascista ufficiale del razzismo antisemitico nell’estate del 1938 […] ebbe l’effetto, nello stesso campo fascista, di un pugno nello stomaco per gli uni, di un colpo di fulmine per gli altri». La formula fu ripetuta senza variazioni nella nuova edizione del libro, pubblicata nel 1956.
Alcuni anni dopo, nel 1961, Renzo De Felice pubblicò il primo studio storico interamente dedicato agli ebrei nel periodo fascista. Esso conteneva la seguente affermazione sugli avvenimenti del 1938: «Il manifesto degli “scienziati” in luglio e i successivi primi provvedimenti governativi giunsero per moltissimi ebrei e per la stessa Unione [delle comunità israelitiche italiane] come altrettanti fulmini a ciel sereno».
Entrambe le opere ebbero numerose ristampe o riedizioni; tutte mantennero invariate le due frasi.
Il fulmine è un evento atmosferico rapido e intenso, che si palesa in modo subitaneo, ancor prima del tuono cui è connesso. Può incenerire ciò che tocca. In caso di cielo temporalesco, è ipotizzabile; ma suscita ugualmente sorpresa. In caso di cielo sereno, è non ipotizzabile. Pertanto, le suddette frasi classificavano quegli eventi l’una come improvvisi e alquanto sorprendenti, l’altra come imprevisti e imprevedibili.
Per Mira e Salvatorelli il fulmine colpì i fascisti e/o gli ebrei fascisti e/o tutti gli ebrei (a me pare che gli autori non chiariscano bene chi fossero gli “uni” e gli “altri”). Per De Felice il fulmine (a ciel sereno) colpì la stragrande maggioranza degli ebrei e l’intera loro dirigenza.
I tre autori non indicano fonti in nota. Prive di riferimenti bibliografici sono anche l’affermazione di Augusto Segre in un saggio del 1965 sul fatto che il 1938 e le leggi antiebraiche erano state per «quasi tutti gli ebrei» un «fulmine quasi a ciel sereno», e l’osservazione di Guido Fubini in uno studio del 1974 sull’esistenza, all’epoca in cui egli scriveva, di una «diffusa considerazione della legislazione “razziale” come d’un fulmine a ciel sereno», considerazione che peraltro egli contestava. Entrambi gli autori erano stati vittima dell’antisemitismo fascista.
Stante la possibilità che i volumi del 1952 e del 1961 si basassero su giudizi espressi da perseguitati, ho compulsato alcune decine di loro testimonianze edite. La prima menzione del fenomeno atmosferico (priva di dettagli sullo stato del cielo) che ho reperito compare in una memoria storica del già menzionato Augusto Segre, pubblicata nel 1979: «Siamo giunti alle leggi razziali. È un colpo di fulmine, per gli ebrei, e, a dire il vero anche per molti italiani, novelli ariani». È ovviamente possibile che mi siano sfuggiti precedenti testi memorialistici contenenti quella menzione, ma ritengo che essi siano numericamente esigui e meno numerosi di quelli privi di riferimenti a saette. Un esempio di questi ultimi, pubblicato nel 1972, è: «Le leggi razziali furono una mazzata sul capo degli stessi Ebrei, i quali non se le aspettavano, se pure si era diffuso un senso di inquietudine e di nervosismo». Reputo inoltre interessante l’assenza di menzione del fulmine nella storia generale degli ebrei italiani pubblicata nel 1963 da Attilio Milano: «Quando già le sue [del regime fascista] fortune erano sul declino, d’un tratto nel 1938 alcune fiammate si partirono da esso, investendo duramente gli ebrei italiani».
Per quanto riguarda la presenza del lampo in carteggi coevi, mi è occorso di riscontrarla solo una volta, in una lettera scritta il 9 settembre 1938 da uno studioso non ebreo: «I decreti del Consiglio dei ministri sono giunti per tutti come un fulmine».
Merita altresì notare che il volume di De Felice riportava che l’editoriale sul razzismo di una rivista fascista del dicembre 1938 iniziava con le parole: «È scoppiato all’improvviso come un fulmine a ciel sereno».
Tornando ai memoriali e alle testimonianze, tutte le altre menzioni del fenomeno atmosferico che ho potuto reperire sono contenute in testi pubblicati dopo gli anni Settanta. In essi vi è chi evidenzia l’assenza di nuvole e chi la tace; chi lo connette specificatamente ai primi decreti e chi anche alla propaganda; chi lo riferisce solo alla propria percezione e chi a quella della maggior parte degli ebrei.
Da tutto ciò mi pare legittimo dedurre che l’affermazione di Mira e Salvatorelli e soprattutto quella di De Felice costituiscano un giudizio storiografico e non una sintesi di fonti testimoniali.
Queste loro menzioni del fulmine (e del sereno), se pure concernono direttamente il momento specifico dell’introduzione della persecuzione, inducono altresì a ritenere possibile e probabile che anche la decisione di introdurla sia stata relativamente subitanea, e che gli stessi ebrei si siano accorti di quest’ultima solo quando essa venne materialmente messa in atto. Da ciò possono poi discendere complesse considerazioni sulla capacità generale di avvedutezza delle vittime in tale occasione, o anche in tutte le occasioni, e/o sul grado e sull’ampiezza della partecipazione di ciascuno al generale clima fascista nazionale, o ancora sul fatto che una svolta così repentina poteva aver avuto solo cause extra-nazionali, oppure infine – come ha asserito De Felice in una sorta di sintesi generale – che i «rapporti tra ebrei e fascismo», ovvero i «rapporti fra fascismo ed ebrei», erano stati buoni per gran parte del ventennio.
In queste ultime affermazioni sorprende notevolmente la parificazione dei due termini definitori “fascismo” ed “ebrei”, nonché l’interscambiabilità del loro ordine. Mentre il “fascismo” è un’ideologia, o un movimento, o un regime, il plurale “ebrei” indica un raggruppamento di individui singolarmente caratterizzantisi come fascisti, afascisti e antifascisti; pertanto sfugge il senso logico di tale affiancamento paritario.
Occorre inoltre rilevare che vi è chi è andato oltre esso, inserendo nella formula l’insieme al posto della somma degli individui e asserendo l’esistenza di un «rapporto tra ebraismo e fascismo» o di «rapporti tra fascismo ed ebraismo». Come se i due termini non appartenessero l’uno a un ambito religioso-comunitario-identitario e l’altro a un ambito ideologico-politico-governativo.
Tornando alle ricostruzioni storiche contenute o comunque sgorganti dai fulmini proposti da Mira e Salvatorelli e da De Felice, ritengo che esse non siano condivisibili, tanto al momento della loro formulazione, quanto oggi.
Con ciò non intendo, né comunque potrei, negare che per una parte imprecisata e imprecisabile dei destinatari gli avvenimenti dell’estate del 1938 ebbero un impatto simile a un colpo di fulmine, per di più a ciel sereno. Non essendo gli ebrei né geneticamente indifferenziati, né cloni, ciascuno di loro (tranne i più giovani, posti sotto l’azione protettiva-lenitiva dei genitori) si rapportò in modo differenziato a quell’unica pagina di storia. Vi fu chi si sorprese, chi ne possedeva un vago presentimento, chi da anni aveva percepito il lento e non lineare deterioramento della condizione degli ebrei in Italia.
Questi ultimi erano sovente persone con ruoli elevati nella società, nella politica, negli enti ebraici. Peraltro, avendo un grado di istruzione mediamente più elevato rispetto agli altri italiani, gli ebrei erano proporzionalmente più presenti...