Benedetta Baldi
Il “branco confuso” e la (post)verità di tutti
Il prodursi di verità non validabili, di realtà rappresentate e di interpretazioni sempre nuove di eventi e fatti è favorito dal potere dei media e dagli strumenti dei social che rimane nel pieno arbitrio del singolo o del gruppo e coinvolge lo status epistemologico di ciò che chiamiamo realtà. In molte prospettive religiose, ideologiche e filosofiche, questa è vista come un costrutto della nostra conoscenza o un prodotto della nostra attività e delle nostre credenze. Tutto sommato, relativizzarla va d’accordo con l’idea che la verità sia appannaggio di formulazioni linguistiche o di convinzioni, di universi simbolici, e che sia quindi indecidibile e, proprio per questo, necessariamente ancorata a fedi, ideologie e opinioni espresse come dogmi. L’analisi del discorso ha messo in evidenza il ruolo centrale della verità nell’argomentazione per il successo degli scambi comunicativi. D’Agostini sottolinea che «la nozione di verità costituisce un presupposto ineliminabile e un elemento costitutivo della pratica dell’argomentazione». La parola verità non è aggirabile in senso realistico. Emerge quindi una relazione generalmente assunta tra argomentazione, verità e realtà. Nel nostro caso quest’ultima coincide con la realtà dei fatti.
A questo proposito, Grice individua nel Principio di Cooperazione e nelle massime che lo specificano, la sua teoria del significato e della comunicazione nella quale un posto privilegiato è occupato dalle intenzioni dei parlanti e dal concetto di razionalità. Per il nostro discorso, hanno particolare rilievo la Massima della qualità (cerca di dare un contributo che sia vero; evita di dire il falso o ciò di cui non hai prove adeguate) e quella della modalità (sii conciso, ordinato; evita oscurità e ambiguità). Ci possiamo domandare fino a che punto questi requisiti, apparentemente necessari per qualsiasi scambio di informazioni, governano realmente i processi comunicativi. È su questo piano che si apre la dialettica della cosiddetta “posterità” intesa come l’impossibilità di raggiungere la verità nell’ambito massmediatico odierno nel quale i mezzi di comunicazione di massa non si limitano a riprodurre il mondo per quello che è ma contribuiscono a costruirne una rappresentazione. Questo effetto, valido per la comunicazione mediata in generale, risulta potenziato dai nuovi media all’interno dei quali si mescolano competenze diverse e, contemporaneamente, realtà e finzione.
1. I media e la costruzione della realtà
In Congetture e confutazioni, Popper nel 1963 scriveva che le persone hanno bisogno di leggere il mondo attraverso modelli semplici che consentano di immaginare realtà confortevoli e rassicuranti che la ragione e l’esperienza diretta potrebbero smentire. Il ragionamento paralogico per cui ‘tutto è finzione’ solleva dalla fatica di accettare che le cose possano essere differenti rispetto a come le pensiamo. La conoscenza è difficile da raggiungere e richiede studio e dedizione. Non a caso i populisti la vedono come un fenomeno elitario convenzionale e tradizionalista e alimentano rappresentazioni complottiste che gettano discredito sulle narrazioni collettive e sulla memoria condivisa propria delle attuali società democratiche. Pensare che una regia occulta indirizzi gli eventi è il totem implicito di ogni strategia narrativa a carattere identitario; in questo senso, il nesso con le procedure di delegittimazione è evidente. In entrambi i casi, infatti, quello che viene sfruttato è il richiamo identitario in grado di indebolire qualsiasi realtà fattuale. Questo rinvia a un problema più generale della rappresentazione mediatica della realtà che sfugge inesorabilmente al controllo del singolo, anche il più attento, aprendo la strada agli usi più immediati di costruzioni simboliche false. È, in questo senso, una questione attualissima e antica e copre un’area semantica molto estesa.
Chomsky attribuisce la costruzione del consenso alla classe degli intellettuali indottrinati all’ideologia degli interessi comuni, il cui compito è quello di guidare tramite i media e la scuola il branco confuso, al quale devono essere instillati i giusti valori. Questa situazione corrisponde ai meccanismi della comunicazione totalmente parcellizzata (Bauman), all’organizzazione della società fortemente “individualizzata” nel senso di Beck e alla concentrazione corporativa dei media. Elementi questi che sembrano caratterizzare nell’insieme il processo di comunicazione e specificamente l’informazione politica nei paesi occidentali.
Una limitazione più generale all’informazione nel mondo contemporaneo, denunciata da Stiglitz, è dovuta alla segretezza delle notizie attuata dai governi e dalle élites dei funzionari pubblici, che sminuisce o annulla la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e svuota la natura stessa della democrazia, basata essenzialmente sul diritto a “sapere”. In effetti, nei processi di comunicazione che le società occidentali hanno favorito, risultano preminenti il controllo dell’opinione pubblica, il ruolo degli intellettuali e degli apparati mediatico e scolastico e l’identificazione del pubblico indottrinato attraverso i media.
I media comunicano concentrando l’attenzione su alcuni argomenti a scapito di altri, influenzando e selezionando così, implicitamente, i criteri con i quali i destinatari giudicano i mittenti (Iyengar e Kinder). In questo senso, gli aspetti che le persone considerano come prioritari possono divenire il parametro con il quale misurare le posizioni e la credibilità dei politici e più in generale percepire il flusso dei fatti. A livello di comunicazione quotidiana non è sempre necessario produrre giustificazioni razionali per essere creduti (se si gode della fiducia dell’interlocutore) come, del resto, spesso non è sufficiente portare dati oggettivi per essere creduti. Ne discende la constatazione dell’esistenza di almeno due piani del “credere” e del “non credere” che risiedono nel credere o meno a ciò che si dice e nel credere o meno a colui che dice, con differenti implicazioni a vari livelli, incluso quello sociale.
Goffman chiama fabbricazioni gli inganni, gli scherzi, i complotti e tutte quelle interazioni che si caratterizzano per lo sforzo intenzionale di gestire l’azione in modo che ...