1. Infanzia di una principessa
Elisa Bonaparte Baciocchi, divenuta granduchessa di Toscana, arrivò a Firenze all’alba del 1 aprile 1809, quasi di nascosto, prendendo di contropiede la corte e il popolo che aspettavano con qualche diffidenza la nuova sovrana. La sera si presentò ai suoi sudditi al Teatro La Pergola, dove davano La Cleopatra; con sé nel palco reale aveva il marito, il principe Felice, e Napoleone Elisa, l’unica figlia rimasta dei tre che le erano nati. Il pubblico, dapprima incerto, applaudì invece con entusiasmo quando una dama di corte presentò loro la principessina, una bella bambina di neanche tre anni, che salutava con vivacità e che soprattutto – per quanto piccola – somigliava già in modo impressionante allo zio imperatore.
Napoleone Elisa (come scritto nell’atto di nascita conservato all’Archivio di Lucca) o Elisa Napoleone (come la chiamava l’atto di nascita francese, inserito nel 1810 nel grande registro di Stato civile della famiglia imperiale) era nata il 3 giugno 1806 a Lucca, dopo neanche un anno dalla solenne presa di possesso della città da parte dei genitori. Napoleone aveva nominato nel marzo 1805 Elisa e Felice prima principi di Piombino, poi nel giugno – dietro richiesta dei deputati della città, che volevano cattivarsi l’imperatore – principi di Lucca. Felice Baciocchi, di antica famiglia corsa legata da lontana parentela ai Bonaparte, fino ad allora non aveva mai avuto un grande ruolo né militare né politico, limitandosi a seguire fedelmente la carriera del cognato.
Il 14 luglio 1805 i due coniugi entrarono in Lucca con un magnifico corteo, preceduto da cento cavalieri della Guardia imperiale e dalla Guardia d’onore che aveva accompagnato il Sacre di Napoleone re d’Italia, in una lussuosa carrozza scortata da sei scudieri e seguita da altre occupate dalla corte, dai ministri e dai consiglieri di Stato. A Porta S. Maria, tra il tuonare delle artiglierie e il suono a festa delle campane, vennero loro consegnate le chiavi d’argento della città; poi, in cattedrale, li accolse l’arcivescovo per consegnare loro i simboli del potere, la mano d’argento, i due anelli simbolo della fedeltà e la spada della forza. A Palazzo Buonvisi (dove la coppia si era provvisoriamente installata) si diedero ricevimenti e balli per la buona società locale, mentre la borghesia e il popolo venivano rallegrati da rappresentazioni teatrali e corse di cavalli, si concedevano amnistie per i reati più lievi e venivano largite doti alle fanciulle povere. Nonostante tanta beneficenza e tanto sfarzo, tuttavia, la popolazione cittadina rimase abbastanza fredda, nostalgica dell’antica autonomia perduta e diffidente dei nuovi padroni.
Elisa non si fece scoraggiare, nominò sue dame di palazzo e suoi ciambellani i componenti delle più nobili famiglie lucchesi e poi, con la consueta energia e decisa ad esercitare un potere effettivo, si mise al lavoro. Sapeva bene di essere stata designata dal fratello perché il suo Stato rimanesse nell’orbita dell’Impero, ed era quindi tenuta a seguire le indicazioni che venivano dal governo francese, ma voleva anche – per quanto possibile – mantenere un suo spazio di manovra. Procedette con rapidità: soppresse e chiuse la maggior parte dei conventi, incamerò i beni ecclesiastici (suscitando grandi resistenze e risentimenti), ordinò di rifare il codice penale sull’esempio francese, introdusse il sistema metrico decimale e l’obbligo della vaccinazione antivaiolosa, rinnovò l’assistenza pubblica, e progettò di riordinare la facoltà di Medicina e le scuole elementari. Lei che aveva passato la sua adolescenza nel celebre educandato di Saint-Cyr, volle fondare un istituto per fanciulle nobili, con insegnanti francesi, uno più modesto per ragazze povere e un collegio maschile. Nel suo Zibaldone lucchese l’abate Chelini, un cronista dell’epoca, racconta che la principessa,
donna di un’attività indicibile tutto vuol sapere, e di tutto vuole essere informata. Ella si occupa molto negli affari politici, e specialmente negli economici. Si trattiene indefessamente per cinque o sei ore co’ suoi Segretari e Ministri in queste materie, e sbriga velocemente tutti li dispacci suoi particolari che due volte la settimana vengono da Parigi. In una parola ella è una donna instancabile.[1]
Alla fine del 1805 Elisa si accorse di essere incinta, ma non per questo si fermò, continuando per tutta la gravidanza a viaggiare nei suoi Stati; sperava di avere un bambino, perché secondo il decreto imperiale del 27 ventoso anno XIII (18 marzo 1805), che assegnava il principato ai Baciocchi, il governo doveva essere trasmesso al loro figlio maschio primogenito. Avrebbe poi voluto che il bambino nascesse nell’ambito della famiglia imperiale, per dargli una più forte legittimazione e per proporlo, così come facevano i suoi fratelli e sorelle, alla successione di Napoleone ancora senza eredi. Spedì perciò dall’imperatore il suo grande scudiero, Bartolomeo Cenami, per chiedergli il permesso di andare a partorire a Parigi; ma il fratello non le diede ascolto, limitandosi a inviarle per assisterla Jean-Noël Hallé, il suo medico personale.
Napoleone Elisa, o madame Napoléon come veniva chiamata a corte, o Napoleona come la chiamarono poi in Italia, nacque a Palazzo Ducale, dove i suoi genitori si erano trasferiti e che stavano facendo restaurare. La sua nascita venne annunziata dal suono delle campane e non dagli spari d’artiglieria, trattandosi di una femmina, ma venne celebrata con tutti gli onori dovuti a una principessa di casa regnante; al suo battesimo erano presenti tutte le cariche di corte, e in cattedrale si cantò un Te Deum, davanti alle dame, ai ciambellani, agli scudieri e ai senatori. Fu però scarsa la partecipazione popolare, perché la gente di Lucca «mormorava altamente», racconta il Chelini, contro la soppressione dei conventi, e criticava «l’alienazione, che mostrava la corte alla religione».[2]L’imperatore mandò a Felice le sue congratulazioni per la nascita della figlia, ma aggiunse alla fine, con la consueta brutalità: «la prossima volta, fate in modo di darmi un nipote maschio».[3]
Più dolcemente con Elisa si congratulò Louis de Fontanes, allora presidente del Corps législatif francese e suo antico amante e consigliere, scrivendole di dispiacersi soltanto che vigesse a Lucca la legge salica, perché«Una principessa cui voi trasmetterete la vostra anima e il vostro carattere non sarà mai inferiore a qualunque principe, per quanto grande, e peraltro sarà molto più amabile».[4]
Nonostante la delusione, qualche tempo dopo l’imperatore volle provvedere a dare un rango e un patrimonio convenienti alla nipote; nel 1808 la nominò principessa di Piombino, assegnandole un appannaggio di 150.000 franchi sui beni ecclesiastici e demaniali negli Stati di Parma e Piacenza, appena riuniti all’Impero francese sotto il nome di Dipartimento del Taro. Trentamila franchi dovevano essere destinati al suo mantenimento, e il resto doveva essere inserito con gli interessi sul Grand Livre de France, e andare a formarle la dote. Alla fine dello stesso anno la madre le costituì una Maison, composta da una dama di compagnia attachée à l’intérieur, Rose de Blair, e da due sottogovernanti, Marie-Felicité de Villemagne, che aveva insegnato musica presso la famosa scuola di Madame Campan, e Zoé Guilbauld de la Mégerie, di antica famiglia bretone e fresca sposa di Giusfredo Cenami fratello di Bartolomeo, il grande scudiero e favorito in carica di Elisa. La principessina si trovò così circondata da personale francese, e sottoposta a un cerimoniale preciso, che la madre (ben conscia del valore e dell’effetto dei gesti formali) amava fosse meticolosamente seguito.
Già da molto piccola, Napoleona partecipava alla vita mondana lucchese: il suo primo compleanno venne festeggiato con un gran ricevimento e un concerto eseguito nella cappella di corte, e molto successo riscosse l’apparizione dell’«Augusta Principessina, la quale alla singolare bellezza unisce una felicissima costituzione di temperamento e fa travedere già fin d’ora quella forza di spirito che forma il carattere ereditario della Famiglia Imperiale».[5]Venne organizzata anche una festa per i bambini del popolo, con fuochi d’artificio e distribuzioni di dolci e giocattoli, ma quando fu dato l’ordine di prendere nelle chiese soppresse i cestini da riempire di fiori per gettarli al passaggio della principessina, i genitori rifiutarono con orrore sucreries e balocchi. Nel dicembre 1807 Napoleona sostituì la madre (andata a Venezia a incontrare l’imperatore) nelle feste per l’anniversario del Sacre di Napoleone, e «con la più tenera commozione» i suoi sudditi poterono ammirarla «tra le braccia dell’augusto suo genitore fare i primi onori della danza compensando colla sua festosa ed amabile presenza la breve privazione dell’amatissima sovrana».[6] Elisa nel frattempo, oltre ad occuparsi con passione dell’amministrazione di Lucca, stava cercando in tutti i modi di ottenere dal fratello di allargare il proprio dominio all’intera Toscana, dal 1801 creata Regno d’Etruria da Napoleone e affidata alla reggenza di Maria Luisa di Borbone. All’inizio del 1808 la Toscana venne effettivamente tolta a Maria Luisa e integrata nel Regno d’Italia, ma sotto il governo del rozzo e screditato generale Jacques Menou, che però Napoleone amava molto perché era stato con lui dieci anni prima nell’avventurosa spedizione in Egitto. Finalmente, un decreto di Napoleone del 3 marzo 1809 assegnò ad Elisa la guida dei dipartimenti toscani, con il lo di granduchessa; era per lei più un’apparenza che una realtà di governo, e a Firenze avrebbe dovuto soprattutto rappresentare la volontà dell’imperatore, ma era anche una grande soddisfazione di amor proprio, e una rivincita nei confronti dei fratelli, divenuti sovrani di Stati molto più importanti della minuscola Lucca. Ancora meno peso di Elisa aveva il suo bonario marito, che preferiva fare con molta discrezione il principe consorte, e intanto rendersi la vita più piacevole possibile.
La granduchessa, prima di partire per la nuova capitale, vi spedì in avanscoperta il suo grande scudiero e il marchese Girolamo Lucchesini, suo maestro di cerimonie; seppe così che – nonostante gli ordini di imbandierare le strade e di costruire archi monumentali – l’aspettava un’accoglienza tiepida da parte della popolazione e gelida da parte della nobiltà. Decise allora di partire di notte e di andare direttamente a Palazzo Pitti; ventuno colpi di cannone annunciarono a sorpresa ai suoi sudditi che la nuova sovrana era fra loro. Le dame e i signori delle migliori famiglie fiorentine inizialmente rifiutarono con disdegno di entrare nella sua corte, ma presto si ricredettero e fecero a gara a chiedere posti e prebende.
Dopo la serata alla Pergola, Elisa andò a fare un giro in provincia, dove fu invece accolta in ben altro modo; a Pontedera l’aspettava un arco trionfale sormontato dal Genio della città che scriveva su una tavola di bronzo «Ecco Elisa aspettata e sospirata»; a Pisa il popolo staccò i cavalli dalla sua carrozza e la trascinò a braccia fino al suo palazzo; a Livorno, a Volterra e a Siena venne acclamata e festeggiata. Di ritorno a Firenze, riprese i tentativi di conquistarsi il popolo minuto, visitando e aiutando opere di assistenza pubblica, facendo pagare di tasca propria molti pegni al Monte di Pietà e recandosi l’11 maggio, per l’Ascensione, alla festa tradizionale del «grillo canterino» alle Cascine, dove i fiorentini vanno a cercare il grillo portafortuna per le loro case; aveva con sé la figlia e vi si trattenne a lungo, lei di solito così riservata e altera, conversando familiarmente con la gente e annunciando, tra il tripudio popolare, che quella bella passeggiata sarebbe stata da allora in poi aperta a tutti. Il 26 maggio, a cavallo – era un’amazzone appassionata – con Felice al fianco e Napoleona appollaiata sulla sella, passò solennemente in rivista le sue truppe.
La piccola era con lei anche il 3 ottobre, alla distribuzione dei premi ai giovani artisti vincitori del concorso triennale all’Accademia di Belle Arti. Già dai tempi parigini, Elisa aveva sinceramente amato le arti e la letteratura (il teatro, in particolare) e aveva, con qualche ostentazione, protetto intellettuali e artisti. A Lucca, oltre a riorganizzare l’istruzione pubblica, aveva fondato un’Accademia Napoleone, nominato Niccolò Paganini “virtuoso di Camera” della corte, e messo il pittore Andrea Tofanelli a capo della scuola di Belle Arti; soprattutto, aveva fatto riaprire e rimettere in sesto le cave di marmo di Carrara, dando lavoro a molti giovani scultori. Dalle loro mani uscirono, per essere venduti in tanti esemplari (Elisa era anche un’abile donna d’affari), le riproduzioni dei volti dell’imperatore e dei Napoleonidi. Appena a Firenze Elisa fece fare da Lorenzo Bartolini il busto della figlia, e lo spedì come regalo di compleanno a Napoleone; la bambina, scrisse all’imperatore, «già comincia ad associarsi con i suoi teneri voti all’amore e alla riconoscenza della madre».[7]Nel busto (la prima immagine che abbiamo di lei) la principessina ha un piccolo volto fermo e concentrato, effettivamente molto somigliante nel mento e nello sguardo allo zio.
Un ritratto di Pietro Benvenuti dello stesso anno, destinato alla galleria di famiglia di Napoleone, rappresenta, sullo sfondo del Duomo di Firenze, la granduchessa in abito di corte che tiene per mano Napoleona vestita da principe francese; Elisa indica un busto dell’imperatore coronato di alloro, come per mostrare da chi dipendeva e a chi si riferiva il suo potere, e la piccola indossa un abito di solito riservato ai maschi, a ricordare che era lei l’erede. In effetti, nei molti ritratti e busti che le vennero fatti in quegli anni, Napoleona è raffigurata in vesti e con oggetti (tunichette “romane”, simboli militari, immagini dell’imperatore) che riaffermavano come – nonostante la legge salica e in assenza di altri eredi – il potere della madre sarebbe passato nelle sue mani.
Nelle occasioni ufficiali, Elisa portava spesso con sé la graziosa ed esuberante bambina, e teneva molto al ruolo che la piccola sosteneva; l’amava anche teneramente, e si compiaceva e si rassicurava (lei che aveva perduto altri due figli appena nati) della sua salute e della sua bellezza. Al fratello prediletto Luciano scris...