1.
Un modello ideal–tipico di “liberale”
«Per “liberale” non intendo una persona che simpatizzi per un qualche partito politico, ma semplicemente un uomo che dà importanza alla libertà individuale ed è consapevole dei pericoli inerenti a tutte le forme di potere e di autorità».
Karl R. Popper
1. La fallibilità della conoscenza umana
Politici ed intellettuali, al giorno d’oggi, si dichiarano tutti o quasi tutti “liberali”: a destra, al centro, a sinistra. Di conseguenza, le tradizionali posizioni politiche – e soprattutto la distinzione tra “destra” e “sinistra” – paiono scomparire nei gorghi di un indifferenziato “liberalismo” cui aderiscono neofiti provenienti dalle più disparate “confessioni”. È urgente, allora, tentare di delineare, alla luce dei risultati della discussione teorica contemporanea, i tratti di una consistente dottrina del liberalismo.
«Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste nessuna autorità umana; e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dèi»1. È questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein; lo stesso di quello di Karl Popper: «Tutta la conoscenza scientifica è ipotetica o congetturale»2, «la scienza è fallibile perché la scienza è umana»3. E ancora: evitare l’errore – ammonisce Popper – è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili, è facile che sbaglieremo; l’importante – e la cosa più tipicamente umana – è apprendere dai nostri errori4. L’errore individuato ed eliminato costituisce il debole segnale rosso che ci permette di venire fuori dalla caverna della nostra ignoranza. È evidente che il fallibilismo epistemologico – vale a dire la consapevolezza che le nostre conoscenze sono e restano smentibili – è il primo fondamentale presupposto del pensiero liberale.
L’atteggiamento del liberale – scrive Popper – è quello di chi è disposto ad ammettere: «Io posso avere torto e tu puoi avere ragione, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità»5. Ed ecco Luigi Einaudi: «Il totalitarismo vive col monopolio; la libertà vive perché vuole la discussione fra la verità e l’errore [...] Trial and error; possibilità di tentare e sbagliare; libertà di critica e di opposizione; ecco le caratteristiche dei regimi liberi»6. Razionale non è il medico che, per salvare la diagnosi, uccide il paziente; razionale è il medico che, per salvare il paziente, uccide – cioè falsifica –, elimina le diagnosi una dopo l’altra, finché arriva – se ci riesce – a quella giusta.
2. La dispersione delle “conoscenze all’istante”
Il liberale è consapevole della propria e dell’altrui fallibilità. Sa anche che le conoscenze, specie le conoscenze di situazioni particolari di tempo e di luogo, le conoscenze «all’istante», sono disperse, diffuse tra milioni e milioni di uomini – e questo –, mentre impone di decentrare le decisioni7, rende impraticabile la pianificazione economica centralizzata, la quale dovrà condurre necessariamente al disastro economico e all’oppressione politica non potendo, per altro verso, utilizzare il «calcolo economico»8 funzionante in un’economia libera con i prezzi di mercato quale sistema ottimo di raccolta delle informazioni9.
3. Il mondo dei valori è un mondo politeista
Consapevole della propria e dell’altrui fallibilità e della propria e dell’altrui ignoranza, il liberale sa che il mondo dei valori – per usare un’espressione di Max Weber – è un mondo politeista10; sa che le visioni del mondo filosofiche o religiose possono venir proposte e testimoniate, e mai imposte. Da qui – anche da qui – la società aperta, la quale è aperta a più visioni del mondo religiose o filosofiche, a più valori, a più proposte di soluzione dei problemi concreti, alla maggior quantità di critica. La società aperta è aperta dalla nostra fallibilità e dalla nostra ignoranza. La società aperta è chiusa solo agli intolleranti.
All’inizio de La crisi delle scienze europee Edmund Husserl scriveva che «nella miseria della nostra vita [...] questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso o del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso»11. La scienza esclude di principio i problemi che per noi contano di più: i problemi etici e religiosi. I valori – i valori ultimi – non poggiano sulla scienza: questa, tutta la scienza, ci dice – parzialmente e fallibilmente – come stanno e come vanno le cose; l’etica, invece, prescrive come esse debbono andare. I valori si fondano sulle nostre scelte, restano aperti e appesi al nostro coraggio o alla nostra vigliaccheria. Per ognuno di noi esistono valori ultimi: sono quelli per i quali ognuno è disposto a vivere o a morire. Solo che questi valori ultimi (ultimi dalla prospettiva esistenziale) non sono valori assoluti dalla prospettiva razionale: non trovano un fondamento razionale nella scienza, e tantomeno un fondamento assoluto, valido per tutti, ab-solutus, slegato dalle nostre scelte.
4. Gesù davanti a Pilato
Hans Kelsen: «Nel XVIII capitolo del Vangelo di San Giovanni viene descritto il processo di Gesù. La semplice storia nella sua ingenua esposizione è un brano sublime della letteratura e, senza volerlo, assurge a tragico simbolo dell’antagonismo tra assolutismo e relativismo. Erano i giorni della Pasqua ebraica quando Gesù, accusato di pretendere di essere il Figlio di Dio e il re dei Giudei, venne portato davanti a Pilato, procuratore romano. E Pilato ironicamente chiese a Gesù che agli occhi del Romano non era altro che un povero pazzo: “Sei tu, così, il re dei Giudei?”. Ma Gesù prese la questione molto seriamente e, tutto penetrato dalla fiamma della sua missione divina, rispose:
“Tu lo dici che io sono re. Per questo io sono nato e per questo io sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Allora Pilato domandò: “Che cos’è la verità?”. E poiché egli, lo scettico relativista, non sapeva cosa fosse la verità, l’assoluta verità in cui questo uomo credeva, si affidò in perfetta coerenza alla procedura democratica rimettendo la decisione del caso al voto popolare. Egli andò incontro ai Giudei, riporta il Vangelo, e disse loro: “Io non trovo in lui nessuna colpa. Ma voi avete l’usanza che io vi rilasci uno in occasione della Pasqua. Volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?”. Allora tutti gridarono dicendo: “Non costui, ma Barabba”. Il Vangelo aggiunge: “Barabba poi era un ladro”»12. Ed ecco il commento di Kelsen: «Per quelli che credono nel Figlio di Dio e nel re dei Giudei quale testimone dell’assoluta verità, questo plebiscito è certo un forte argomento contro la democrazia. Ma soltanto a una condizione: di essere così sicuri della nostra verità politica da imporla, se necessario, con sangue e con le lacrime, di essere così sicuri della nostra verità, come lo era della sua il Figlio di Dio»13.
5. La democrazia è figlia del fallibilismo gnoseologico e del relativismo etico
La democrazia è figlia del fallibilismo gnoseologico e del relativismo etico. «La causa della democrazia – è ancora Kelsen a parlare – risulta disperata se si parte dall’idea che sia possibile la conoscenza della verità assoluta, la comprensione di valori assoluti. Infatti, di fronte all’autorità del bene assoluto che tutto domina, a coloro cui questo bene porta la salvezza non resta che l’ubbidienza, l’ubbidienza incondizionata e grata a colui che, in possesso del bene assoluto, conosce e vuole tale bene»14. Di conseguenza, la grande questione riguarda l’esistenza o meno di una conoscenza della verità assoluta, l’esistenza o meno di una comprensione dei valori assoluti. «Questa è la principale antitesi fra le filosofie del mondo e quelle della vita in cui si inserisce l’antitesi fra autocrazia e democrazia»15. In breve: chi si crede padrone della verità assoluta e portavoce di valori assoluti sarà divorato dallo zelo nell’imporre, ad ogni costo, il “Vero” e il “Bene” assoluti di cui pensa di essere il possessore, l’interprete e l’esecutore. Per altro verso, chi «ritiene inaccessibili alla conoscenza umana la verità assoluta e i valori assoluti, non deve considerare come possibile soltanto la propria opinione, ma anche l’opinione altrui. Perciò il relativismo è quella concezione del mondo che l’idea democratica suppone» 16.
6. Vigilare contro la tirannia della maggioranza
«Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe assolutamente» – è questo l’ammonimento di Lord Acton. E il liberale, reso edotto dall’esperienza, sa, appunto, che del potere presto o tardi si abusa. Di conseguenza, il liberale non si chiede chi deve comandare?, quanto piuttosto come controllare chi comanda?17 – questo vogliono sapere uomini fallibili che costruiscono, perfezionano e proteggono le istituzioni democratiche, pensate per poter convivere (nella continua proposta di alternative, nella critica e nel dissenso) con altri uomini fallibili portatori di ideali diversi e magari contrastanti.
Ma non dobbiamo dimenticare che le istituzioni sono come le fortezze: resistono se è buona la guarnigione. E, poiché non esistono metodi infallibili per evitare la tirannide, il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza. Vigilanza da esercitare in primo luogo su quei Parlamenti «democratici» che, avendo abolito la distinzione tra legge e legislazione18 – a tutto favore della legislazione –, si credono slegati da ogni vincolo: la tirannia della maggioranza è tirannia – e tirannia pericolosa perché subdola, meno visibile.
7. Esistono solo individui
Il liberale rifiuta l’idea liberticida stando alla quale sopra all’individuo ci sarebbe qualche altra entità come, per esempio, lo Stato, il partito o la classe, una qualche altra entità autonoma e indipendente dagli individui. Dare sostanza ai concetti collettivi, reificarli – farli diventare cose – è una tentazione a cui è facile cedere. I concetti collettivi sono «uno spettro sempre in agguato» – questo pensava Max Weber19; e a Weber fa eco K.R. Popper: «Parlare di società è estremamente fuorviante. Naturalmente si può...