L'impero dell'algoritmo
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L'impero dell'algoritmo

L'intelligenza delle macchine e la forma del futuro

Domenico Talia

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L'intelligenza delle macchine e la forma del futuro

Domenico Talia

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Questo saggio esamina e discute i concetti che stanno alla base degli algoritmi e analizza l'impatto sulle persone dei loro tantissimi utilizzi tramite una descrizione accurata ma accessibile a tutti. Vengono affrontati i temi più innovativi del mondo digitale, dall'apprendimento automatico ai sistemi software che governano i social media, dall'intelligenza artificiale alla robotica collaborativa. Gli argomenti discussi sono presentati con l'obiettivo di chiarire i concetti scientifici necessari a comprendere i principi e le manifestazioni dell'universo digitale e anche a ragionare sull'impatto sociale degli algoritmi. Concetti, analisi e ragionamenti utili per essere cittadini informati in un mondo dominato dalle tecnologie informatiche. Per diventare utenti consapevoli dei benefici che l'informatica può offrire a chi vive in questo nuovo millennio e, allo stesso tempo, per comprendere le minacce ai singoli e alle comunità che l'uso delle tecnologie digitali a fini di profitto e di dominio ha generato fino a oggi e che potrà ancora generare in futuro.

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Information

Year
2021
ISBN
9788849867961

1.
Parole, numeri e algoritmi

Alle origini della specie umana, dopo i cinque sensi, il linguaggio è stato il primo e per molto tempo unico mediatore del rapporto degli uomini primitivi con i loro simili e con il mondo arcaico e difficile nel quale dovevano procurarsi il necessario per sopravvivere. Senza il linguaggio l’uomo era solo davanti al mondo. Quello che poteva conoscere era legato a ciò che egli vedeva, a quello che gli accadeva e ai gesti che gli altri uomini potevano comunicargli. Nessun concetto astratto poteva essergli fornito. Nel tempo, grazie allo sviluppo dell’oralità, gli esseri umani hanno potuto condividere e trasferire da un individuo all’altro concetti, esperienze e conoscenze, ricevendone enormi benefici. Hanno potuto apprendere non soltanto dalla loro esperienza, ma anche dalle esperienze dei loro simili con i quali vivevano o venivano in contatto. Il linguaggio per primo ha permesso non soltanto la condivisione del sapere tra contemporanei, ma anche la sua trasmissione nel tempo. La lingua parlata ha esteso i modi di pensare e la realtà di ogni essere umano che grazie a essa “apprendeva il mondo” anche tramite quello che gli veniva descritto e raccontato. La comunicazione orale è stata un fenomenale mezzo di comunicazione, ma anche un prezioso filo di trasmissione del sapere umano tramite le parole dette e ascoltate. In seguito, i segni e la scrittura hanno ulteriormente modificato il rapporto tra gli individui e il mondo. Grazie a essi, gli uomini sono usciti dalla preistoria per entrare pienamente nella storia. Hanno costruito il logos, fatto di parole e di pensiero. Circa cinquemila anni fa, i geroglifici egizi e la scrittura cuneiforme in Babilonia hanno fornito a quelle civiltà la possibilità di fermare su supporti permanenti le esperienze, l’elaborazione del pensiero, le operazioni matematiche e le forme artistiche. Tutti elementi espressi tramite la stesura di segni testuali complessi che, rispettando sintassi condivise e divulgabili, hanno permesso lo sviluppo e l’accumulo della conoscenza. I sistemi di scrittura sono andati molto oltre quello che permetteva il racconto orale e la memoria di un essere umano, permettendo la conservazione, la condivisione e la diffusione in forme originali e persistenti nello spazio e nel tempo. La scrittura ha quindi rappresentato un enorme salto in avanti nella vita degli umani e nella loro cultura, permettendo di costruire il rapporto tra l’uomo e la realtà anche sulla base di tutto quello che egli era capace di esprimere, scrivendolo e leggendolo tramite sistemi formali complessi di rappresentazione simbolica.
Gli uomini certamente hanno avuto bisogno di fare dei calcoli fin da quando hanno posseduto la capacità di pensare. Probabilmente prima dell’invenzione della scrittura gli uomini primitivi avevano già sviluppato l’idea dei numeri come elemento importante nell’uso e nella ripartizione delle poche risorse allora disponibili, prima di tutte le altre il cibo. Non si hanno date certe sull’invenzione dei numeri e dell’aritmetica, ma si tende a ritenere che le prime tracce risalgano a circa trentamila anni fa. Alcuni studiosi ritengono che nelle prime forme rudimentali di numerazione l’uomo distinguesse tre grandezze: uno, due e molti. Una testimonianza tra le più antiche dell’uso di una forma di numerazione risale a trentacinquemila anni prima di Cristo. Nelle montagne dello Swaziland nell’Africa meridionale è stato ritrovato un osso di babbuino che ha incise ventinove tacche che qualche studioso ha ipotizzato indichino un numero di animali, forse le prede uccise da un cacciatore. Altre tracce risalenti a quel periodo sono state ritrovate in Europa. Queste sono servite a dimostrare l’esigenza e la capacità di contare (calcolare) che l’uomo ha avuto anche in epoche molto remote. Da queste prime forme di calcolo si sono sviluppati i sistemi astratti di numerazione decimale (facilitate dall’uso delle dita per contare) e binaria (basata su due cifre soltanto, 0 e 1). Esistono testimonianze certe che l’uomo del Paleolitico possedeva il concetto di numero e questa astrazione gli ha permesso di fare un balzo in avanti nella soluzione di molti problemi pratici legati alla sua vita quotidiana, come nel caso della gestione del bestiame o dell’uso delle risorse vitali. L’evoluzione ha portato dopo diversi millenni ai sistemi di numerazione complessi sviluppati nell’antica Cina, in India, nella Mesopotamia e in Egitto. In particolare, di queste due ultime civiltà sono rimaste testimonianze molto importanti, incise su tavolette di argilla o scritte sui papiri, di procedure di calcolo molto complesse che dimostrano come la matematica a quel tempo, qualche millennio prima della nascita di Cristo, fosse già molto avanzata e avesse contribuito al successivo sviluppo dell’aritmetica e della geometria nell’antica Grecia.
In maniera sorprendente si è scoperto che in alcune tavolette di argilla dell’antica Mesopotamia sono stati impressi i primi algoritmi conosciuti che risolvevano brillantemente problemi pratici come il calcolo di un’area o la soluzione di un’equazione. Dalle tavolette di argilla al papiro, alla pergamena e quindi al libro, i diversi supporti e le diverse forme di scrittura e di calcolo hanno regolato le vite dei popoli e delle Nazioni. L’invenzione del concetto di numero e, per il suo tramite, delle operazioni aritmetiche, hanno permesso agli uomini di alcune decine di migliaia di anni fa di risolvere problemi concreti e di gestire risorse e commerci come prima non poteva essere fatto. Nei secoli più recenti la stampa di Gutenberg e successivamente le varie forme moderne dei mezzi di comunicazione, di produzione e diffusione del sapere e delle opere d’arte, hanno modificato sempre più l’esperienza degli individui e regolato il loro rapporto con il mondo. Giornali, TV, cinema, le tante forme artistiche tradizionali e postmoderne hanno definito lo spazio di azione e di pensiero degli umani, guidando e definendo i loro modi di vivere da singoli e in comunità, i loro modi di relazionarsi con la realtà. Al di là delle complessità di queste forme di astrazione e di rappresentazione della conoscenza, ognuna di esse non ha potuto fare a meno dell’uso dei simboli logico-matematici che hanno permesso di astrarre il concetto di quantità (elemento centrale nello sviluppo delle scienze moderne) e di elaborarlo tramite operazioni sempre più complesse che permettono di ottenere risultati numerici e logici ormai vitali per l’organizzazione e il funzionamento delle nostre società.
Come altre forme di calcolo e di ragionamento, anche gli algoritmi che oggi in moltissimi casi rappresentano gli elementi più sofisticati nella gestione dei processi industriali, scientifici e organizzativi, hanno una storia lunga alcuni millenni. Da molto tempo il termine “algoritmo” indica una procedura da definire e da usare per la soluzione di un problema o per il calcolo di un risultato tramite una sequenza di passi operativi elementari1. Secondo questa definizione generale, ognuno di noi tutti i giorni esegue algoritmi. Lo facciamo quando prepariamo il caffè a casa usando la caffettiera, quando cuociamo gli spaghetti, quando guidiamo la nostra auto o mentre facciamo la spesa in un negozio. Dunque, gli algoritmi sono processi operativi che l’uomo ha sempre concepito e svolto per poter vivere. Tuttavia, la parola “algoritmo” è legata al nome del matematico arabo Al-Khwārizmī, vissuto intorno all’800 d.C., il quale nell’anno 825 scrisse un libro, successivamente tradotto in latino con il titolo Algoritmi de Numero Indorum. Questo testo è considerato il più importante trattato antico sul sistema numerale indiano e ha permesso la diffusione del sistema dei numeri indo-arabi in Europa. Il volume di Al-Khwārizmī, del quale si conosce soltanto la traduzione in latino, contiene numerose procedure di calcolo espresse come sequenze di operazioni matematiche, algoritmi appunto. Nel Basso Medioevo la pronuncia latina, algorismus, usata in Europa dal nome di Al-Khwārizmī, serviva a indicare il sistema numerico decimale. Un ruolo importante in tutto questo lo ebbe il matematico toscano Leonardo Pisano, più noto con il nome di Fibonacci. Usando anche materiale contenuto nel libro di Al-Khwārizmī, Fibonacci nel 1202 scrisse in latino il suo Liber Abaci che è uno dei più poderosi e dettagliati trattati matematici scritti in Europa dopo quelli degli antichi greci, i quali comunque non avevano avuto la diffusione che ha registrato l’opera di Fibonacci. Il Liber Abaci è un grande libro di calcolo e contiene numerosissimi algoritmi che ancora oggi si usano frequentemente. Molti di essi sono stati implementati in tanti programmi software che vengono eseguiti oggi dai nostri calcolatori.
Nonostante l’importanza del matematico, geografo e astronomo arabo Abū Ja’far Muammad ibn Mūsā Al-Khwārizmī, l’idea di esprimere calcoli matematici come sequenze di istruzioni da ripetere fino a raggiungere il risultato cercato è molto più antica del suo testo arabo e di quello di Fibonacci. Le tracce conservate in diversi musei, ad esempio al Louvre e al Museo di Berlino, dimostrano che già intorno al 1800 a.C., cioè circa quattromila anni fa, i babilonesi definivano e usavano algoritmi per risolvere problemi di calcolo di grandezze fisiche o per realizzare procedimenti risolutivi che usavano quantità numeriche. Quasi sicuramente queste conoscenze i babilonesi le avevano ereditate o condivise con altri popoli antichi come gli indiani e i cinesi. Le tavolette di argilla2 che provengono dalla Mesopotamia mostrano come i babilonesi usassero algoritmi per calcolare l’ampiezza di un’area agricola, il volume di una vasca da scavare, la soluzione di espressioni matematiche complesse o la serie delle potenze successive di 2. Da allora molte cose sono accadute, anche se per alcuni millenni gli algoritmi (come procedure di risoluzione di problemi tramite l’esecuzione di una sequenza di passi operativi) sono stati usati soltanto da un ristretto numero di matematici, ingegneri e scienziati. Successivamente l’invenzione del calcolatore elettronico, avvenuta poco prima della metà del Novecento, e la sua larghissima diffusione a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, ha portato allo sviluppo, alla produzione e all’uso di un numero enorme di algoritmi. Ormai essi non sono soltanto usati come metodi di risoluzione di calcoli matematici, ma governano tutti i computer del mondo e contribuiscono alla automatizzazione di una grande parte de...

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