Capitolo 1
Raccontare, con metodo, le imprese
Cosa c’è di speciale nelle storie
Il 16 novembre 2015 pubblicai una foto su Facebook: un berretto da neonato, color celeste, con orecchie, occhi e muso da orsetto. Aggiunsi poche parole: “Ve l’ho detto che alle 15.56 è arrivato Gregorio Julita?”.
Due righe di testo e un’immagine – scattata pochi giorni prima – per raccontare uno sconvolgimento nella mia vita. Diventavo papà.
Quel post ottenne circa duecento commenti e oltre quattrocento like.
Vorrei portare la tua attenzione non sui numeri ma sulla dinamica dei fatti: come possono una manciata di parole e una foto fatta con un cellulare generare la reazione di quattrocento persone? Se ti sembrano poche, pensale assiepate in un salone, tutte a fare la stessa cosa: dedicarti un attimo di attenzione.
Siamo assuefatti dai grappoli di like che ci appaiono scorrendo i social tanto da perdere il senso del gesto e soprattutto la causa scatenante.
Che cosa avevano visto quelle persone? Frammenti di una storia adagiati in un contesto, pronti a ricomporsi nella loro mente. La visione tenera di un bimbo appena nato, un papà con le lacrime agli occhi, una famiglia stretta attorno alla creatura, il finale gioioso del viaggio sfibrante di una mamma.
Era il film di uno spicchio di vita a prendere forma, uno spettacolo i cui protagonisti erano volti noti per gli spettatori e quindi ancor più attraenti. No, non celebrità, ma persone che facevano parte della loro rete di relazioni, fosse anche solo virtuale, su un social network. Un requisito sufficiente per rappresentare un interesse in più.
La narrazione ha accompagnato l’uomo in tutte le epoche della sua evoluzione, assumendo via via forme espressive differenti.
Anche in tempi recenti. Negli ultimi due decenni abbiamo assistito a cambiamenti inimmaginabili, mutamenti ed evoluzioni epocali hanno riguardato il campo dei media e quindi anche quello delle strategie di marketing.
Stiamo vivendo una rivoluzione. Ogni giorno appaiono tecnologie nuove, iniziamo a usarle senza interrogarci più di tanto: possediamo dispositivi che ci permettono accesso continuo, illimitato a Internet e alle informazioni.
Non solo. Da spettatori siamo diventati attori, da fruitori ora siamo produttori di contenuti.
Durante i miei corsi ho mostrato spesso due immagini straordinarie nel descrivere il cambiamento. Le pubblicò, affiancandole, il “Corriere della Sera”: due foto di piazza San Pietro in occasione dell’annuncio del nuovo papa. La prima era del 2005, Ratzinger, e l’altra del 2013, Bergoglio. Erano passati solo otto anni dai due scatti ma il comportamento delle persone fissato dalle fotografie era totalmente diverso. Nella prima c’era una folla con il naso all’insù. Nella seconda i presenti – potevano essere le stesse persone – guardavano ognuno nel proprio smartphone, puntato verso la finestra più famosa di Piazza San Pietro.
La differenza? Nella prima foto tutti osservavano e vivevano un momento e lo avrebbero raccontato ad amici e parenti una volta tornati nelle proprie case. Nella seconda gli astanti erano pronti a immortalare quell’attimo, documentarlo con le immagini, e un istante dopo diffondere in Rete il racconto di cui erano testimoni.
Siamo diventati motori di comunicazione, senza saperlo. Ci siamo trovati tra le mani gli strumenti per farlo e sono cambiate le nostre abitudini. Siamo cambiati noi. Di conseguenza la comunicazione si è evoluta in qualcosa di nuovo. La Rete e i social hanno stravolto i vecchi schemi di promozione commerciale su cui si concentravano tante risorse.
Nell’era social l’attenzione si è spostata sul cliente e sul suo coinvolgimento.
Il dialogo è tra produttore e acquirente, tra professionista e pubblico ed è una conversazione senza più orari e spazi fisici. Si può comunicare in ogni momento e luogo; si raggiunge in modo diretto e immediato il proprio destinatario senza intermediari.
Il cambiamento ha generato comportamenti e regole nuove nella comunicazione d’impresa: è questa la rivoluzione in cui siamo immersi, da consumatori e da venditori.
Conoscere i meccanismi ci rende consapevoli e quindi competenti, qualunque sia la nostra posizione. Il mio compito, in questo libro, è aiutarti affinché le nuove conoscenze siano per te redditizie e gratificanti.
Ho conosciuto tante realtà eccellenti nel fare, ma deboli nel far sapere.
Sottovalutano la fase della comunicazione al cliente, non sono abituate a trasmettere quanto abbiano lavorato bene, quanto sia elevato il livello raggiunto dal loro operato e dal loro prodotto. Fanno uno sforzo enorme – per produrre – e poi stanno ad aspettare qualcuno che si accorga di loro. Ignorano l’importanza del raccontarsi.
Eppure, l’essere umano è un animale narrante. Lo è da sempre, fin da quando, con la pittura, rappresentava episodi di caccia sulle pareti di una grotta. Ha esplorato varie forme di espressione nei secoli: quella orale prima, e poi quella scritta. L’ha fatto con il teatro, la canzone, la danza. E con quante tecnologie si è misurato? La stampa tipografica, la fotografia, il cinematografo, la radio, la televisione.
In questo nostro percorso ti porterò a comprendere il valore strategico delle storie che ruotano attorno al mondo dell’impresa.
La narrazione d’impresa arriva dove la pubblicità non può arrivare: comunica con discrezione, non interrompe il destinatario dell’informazione, non lo costringe a distogliere lo sguardo da ciò che sta facendo. Non è fatta di banner chiassosi, fastidiose finestre pop-up, messaggi indesiderati nei momenti meno opportuni.
Le storie non disturbano.
Le incontri sulla bacheca di un social network o ci arrivi passando dai risultati di Google. Se vuoi le scansi, altrimenti le lasci raccontare, permetti che ti emozionino, informino e sbroglino i concetti più complicati, rendendoli semplici. Per questo piacciono.
E fanno vendere. Imparerai a riconoscerle nella tua attività quotidiana, organizzarle e dar loro forma, un passo alla volta, se avrai la pazienza di seguirmi. Le storie hanno un potere incredibile. Si portano appresso l’attitudine a rendere semplice quello che pare complicato o inspiegabile. E modellano la nostra vita, il nostro comportamento.
Pensiamo alla Bibbia. Rappresenta la più significativa raccolta di storie di sempre. Tutti ne riconosciamo la forza nell’ispirare i popoli e guidare i fedeli. Ancora oggi, chiunque riceva un’educazione cristiana ne assimila i fondamenti da bambino attraverso le parabole dei Vangeli.
Il tuo cervello trascorre una buona parte del tempo lontano dalla vita reale, senza che tu ne sia consapevole. Conosci l’espressione “sognare a occhi aperti”? Noi lo facciamo almeno un migliaio di volte al giorno, anche solo per pochi secondi, trasportati in un contesto e una sequenza di fatti differenti da quelli che vediamo, una rappresentazione di altre realtà. Ecco perché troviamo nelle storie qualcosa di familiare.
Le stiamo ad ascoltare e ci aspettiamo qualcosa: una risposta a un problema, un’emozione, l’appagamento di un interesse.
Non solo. Le storie ci affascinano perché in esse ci specchiamo. Ci riconosciamo a volte nelle scelte dei protagonisti, oppure le avversiamo perché così diverse dalle nostre. Il confronto è utile, appaga e ci restituisce in maniera più netta la nostra identità: definisce il posto che occupiamo nel mondo.
Nelle storie c’è l’oggetto della narrazione collocato in un contesto, in un palcoscenico, fatto di luoghi, personaggi, situazioni, tempo e azioni.
C’è l’identità di chi racconta.
Quando Barack Obama si candidò alla presidenza degli Stati Uniti infiammò le folle con la storia di un giovane, di umili origini, capace di arrivare tanto lontano. Il suo slogan “Yes we can” entrò nel linguaggio comune: ce l’ho fatta io, possiamo farcela tutti, un messaggio carico di ottimismo.
Nei racconti autentici della giovinezza del futuro presidente emergeva la personalità di un narratore avvincente, l’eroe in cui identificarsi per valori, delusioni e sogni propri.
Nella narrazione del primo presidente di origini afroamericane degli USA, Aristotele avrebbe riconosciuto i tre fattori chiave: ethos, logos e pathos, ovvero credibilità, logica ed emozione.
L’emozionante forza evocativa delle parole, la credibilità provata dai fatti e la logica a unire gli elementi: un chiaro esempio del rapporto empatico generato dallo storytelling, quello di Barack Obama, affidato ai comizi e ai social network.
A volte mi domandano: “A chi potrà interessare la mia storia? Perché a qualcuno dovrebbero importare le mie storie?”.
Domande legittime. Non tutto quello che racconti è interessante, per prestarti...