Capitolo VII
Lâordine regnava a Parigi!
Cavaignac aveva promesso il perdono e poi massacrĂČ. Thiers aveva promesso il massacro e ne satollĂČ lâesercito.
Non vi fu piĂč a Parigi che un solo governo, lâesercito che aveva massacrato Parigi.
«Soldati e marinai, â disse Mac-Mahon â il pubblico applaude al successo dei vostri sforzi patriottici».
La cittĂ fu divisa in quattro grandi comandi agli ordini dei quattro generali Vinoy, Ladmirault, Cissey, Douay, e assoggettata al terribile regime dello stato dâassedio. Tutti i poteri devoluti allâautoritĂ civile furono trasferiti nelle mani dellâautoritĂ militare. Tutti i luoghi pubblici dovevano essere evacuati alle undici di sera. I teatri furono chiusi; lâaffissione fu sottoposta al comandante in capo. I giornali dovettero ottenere lâautorizzazione per la pubblicazione; fu proibito lo strillonaggio. Manifesti affissi su tutti i muri annunciavano che ogni cittadino in possesso di qualsiasi arma sarebbe stato immediatamente arrestato e tradotto davanti a un Consiglio di guerra; che ogni casa dalla quale si fosse sparato sarebbe stata oggetto di unâesecuzione sommaria, vale a dire di un massacro. Parigi fu sorvegliata come una cittadella. In tutte le strade, in tutte le piazze, in tutti i crocicchi, i soldati erano accampati e le sentinelle vegliavano giorno e notte. Soltanto gli ufficiali dellâesercito, in uniforme, potevano circolare liberamente. Nessun lasciapassare fu concesso ai civili. La guardia nazionale fu disarmata e sciolta. Lâentrata nella cittĂ divenne difficile e lâuscita impossibile. PoichĂ© gli ortolani non potevano circolare liberamente, i viveri cominciarono a mancare.
Chiuso in tal modo questo immenso cerchio, lâesercito, aiutato dalla polizia, spingeva la selvaggina ai mattatoi. Quale altro nome si puĂČ dare a quelle corti marziali che spacciarono immediatamente, senza controllo, migliaia di esseri umani, senza nemmeno degnarsi di constatare la loro identitĂ ? Noi prendiamo, del resto, lâimpegno di riportare solo i fatti dei quali siamo stati testimoni, o quelli che ci provengono da testimoni oculari, o quelli che sono stati riportati dai giornali dellâordine, gli unici autorizzati a Parigi. PoichĂ© le crudeltĂ dei Versagliesi sono state raccontate dai loro amici, siamo ben costretti a credervi.
Ecco, per nostro conto, quello che abbiamo visto.
La domenica mattina 28, alla barricata della piazza Voltaire, una cinquantina di guardie fatte prigioniere furono immediatamente fucilate. Spinti non da unâindegna curiositĂ , ma dallâaspro bisogno di vedere la veritĂ , andammo vicino ai cadaveri stesi sul marciapiede del municipio, col rischio di essere veduti. I soldati, per disonorare le loro vittime, avevano messo sui loro petti delle scritte dove si leggeva: Assassini, Ladri. Una donna giaceva lĂ quasi nuda. Dal suo ventre, aperto da unâorrenda ferita, le budella uscivano e si riversavano sul marciapiede. Un fuciliere di marina si divertiva a dividere queste interiora con la punta della baionetta e a vuotare cosĂŹ, fra le risa dei suoi camerati, il ventre di quella disgraziata. Nella bocca di qualche cadavere i salvatori di Parigi avevano ficcato dei colli di bottiglia e sul loro petto avevano scritto: Ubriaco.
Circa tremila federati catturati la notte precedente ai PĂšre-Lachaise erano stati condotti alla prigione della Roquette. Nessuno di essi ne uscĂŹ. Dal mattino fino alle quattro di sera, fuori della prigione si continuarono a udire le esplosioni. Per piĂč di unâora noi le ascoltammo davanti alla porta confusi nella folla. Il suono non era sempre quello della fucileria; si distingueva nettamente il tambureggiamento delle mitragliatrici. Alcuni artiglieri uscendo ci confermarono lâorribile veritĂ . I prigionieri venivano liquidati a gruppi di cinquanta e di cento uomini.
PoichĂ© i plotoni dâesecuzione erano spossati dalla stanchezza e miravano male, gli ufficiali avevano fatto avanzare le mitragliatrici, per umanitĂ , come dicevano. Lâinterrogatorio si riduceva a una sfilata davanti alla corte; infatti tutti i prigionieri catturati al cimitero erano destinati alla morte e rinchiusi separatamente come delle greggi. Gli artiglieri che parlarono davanti a noi, scuotevano sul marciapiede le scarpe gocciolanti di sangue; parecchie donne persero i sensi. Il sangue colava a fiotti nei ruscelli interni della prigione. Un ufficiale uscĂŹ vacillando e con gli occhi stravolti; la strage gli aveva dato le vertigini. Dai corpi ammonticchiati venivano dei rantoli, poichĂ© non tutti erano stati uccisi al primo colpo e non câera tempo per dar loro il colpo di grazia. Si sparĂČ ancora qualche caricatore di pallottole su questi mucchi sanguinolenti, ma, malgrado tutto, i soldati udirono per tutta la notte i lamenti disperati degli agonizzanti.
Quale storico potrĂ ancora parlare dei massacri di settembre come di un primato di orrore? Soltanto le grandi stragi della Bibbia, le orge di sangue del re del Dahomey possono dare unâidea di questi massacri di proletari. La notte di San Bartolomeo che uccise 2000 protestanti, il 2 dicembre, in cui circa millecinquecento persone furono stese a terra, lo stesso giugno del â48 potrebbero costituire appena dei particolari di questo quadro gigantesco. Infatti la prigione della Roquette non era che un episodio del dramma che si compiva in quel momento in tutta la cittĂ di Parigi.
Tentammo di uscire dal faubourg Saint-Antoine, ma non potemmo, perchĂ© esso era sbarrato. Da venerdĂŹ sera i soldati vi facevano perquisizioni di uomini e di armi. La bandiera tricolore, la bandiera del massacro, penzolava da quasi tutte le finestre di tutte le case; il cuore si gonfiava di disgusto; si sarebbe detto di essere a una festa nazionale. I Prussiani potevano essere ben contenti, dato che venivano annientati coloro che erano stati gli unici loro nemici risoluti durante lâassedio12. In via della Roquette, allâentrata del faubourg e in tutte le vie adiacenti le case forate e bruciacchiate crollavano sul selciato. Alcune di esse, di cui non restavano che pezzi di muro, assomigliavano a scheletri giganteschi che guardassero i cadaveri stesi ai loro piedi. Di questi ve nâerano in tutte le strade, in tutti gli angoli. Li si tirava fuori da tutti i magazzini, giĂč dalle barricate, dove qualche ferito si era arrampicato cercando un angolo oscuro per morire. In via Basfroid i cadaveri ingombravano la strada, stesi lâuno di fianco allâaltro, rigidi, con le loro facce bianche rivolte in alto, e guardavano i passanti con i loro occhi morti aperti. Il loro numero era cosĂŹ considerevole che, in certi quartieri, le strade sembravano coperte di neve. Parecchi erano lĂ da due giorni. Era stato proibito di toglierli. Col rischio di infettare i quartieri, Thiers aveva voluto produrre negli animi un salutare terrore con questo spettacolo. In tutti i ruscelli, a tutti gli angoli delle strade, i fucili, le giberne, le uniformi si ammonticchiavano, buttati dalle finestre o portati dagli abitanti atterriti. Sulle porte le donne sedute, immobili, con la testa fra le mani, guardavano davanti a se stesse senza vedere. Quante di esse attendevano in tal modo il ritorno del marito o del figlio, che in quel momento veniva tradotto davanti alla Corte marziale!
Alla caserma Lobau, alla Scuola militare, al Luxembourg, alla prigione di Saint-Lazare e in venti altre localitĂ , il fuoco di fucileria continuava senza sosta.
Abbiamo detto che le corti marziali si erano installate in tutti i quartieri, man mano che questi venivano occupati. Esse erano presiedute da un ufficiale superiore. La storia ha conservato i processi verbali del famigerato tribunale installato nel â92 in via lâAbbaye. Si sa che il presidente Maillard interrogĂČ ogni prigioniero, benchĂ© fossero tutti perfettamente conosciuti. Si sa che vi furono delle specie di arringhe, delle spiegazioni molto lunghe, in seguito alle quali parecchi furono rilasciati. I difensori dellâordine nel 1871 non fecero tante cerimonie e procedettero al loro feroce bisogno da veri macellai. Non vi furono nĂ© registri nĂ© processi verbali. Gli accusati sfilavano ordinatamente davanti alla corte, un gruppo di quattro o cinque ufficiali eccitati e ubriachi, con le mani contratte, i gomiti sulla tavola e talvolta col sigaro fra i denti. Si cominciava dal primo della fila; lâinterrogatorio durava in media un quarto di minuto. «Avete preso le armi? Avete servito la Comune? Mostrate le mani». Alla minima esitazione, o se lâandatura dellâaccusato tradiva il combattente, o se la sua faccia era antipatica agli onorevoli magistrati, o anche se si difendeva con troppa energia, lo si dichiarava classificato, senza altra spiegazione, senza domandargli nĂ© lâetĂ , nĂ© la professione e nemmeno il nome. «Voi?» si diceva al vicino; e cosĂŹ di seguito fino alla fine della fila, talvolta senza lasciare a quei disgraziati nemmeno il tempo di rispondere. Quando, supponendo lâimpossibile, lâinnocenza di un prigioniero fosse apparsa clamorosamente evidente o si fosse voluto lasciarlo parlare, egli veniva dichiarato ordinario, vale a dire mandato a Versailles. Nessuno veniva liberato.
I classificati venivano consegnati ai soldati, i quali li portavano nelle vicinanze. Dal ChĂątelet, per esempio, erano condotti alla caserma Lobau. LĂ , appena erano entrati nella corte e le porte erano state chiuse, sparavano loro addosso senza nemmeno sprecare il tempo di allinearli davanti a un plotone dâesecuzione. Alcuni di quegli infelici scappavano, correvano lungo i muri come belve che girassero torno torno la loro gabbia; i soldati davano loro la caccia e li fucilavano dalle finestre a rischio di ferirsi fra di loro.
Il contegno dei federati era ovunque ammirevole. Nessuno chiedeva grazia. Molti incrociavano le braccia, comandavano il fuoco, benchĂ© i soldati sparassero senza comando appena i prigionieri si trovavano alla portata dei loro fucili. Su una barricata del faubourg du Tempie un bambino di dieci anni si era segnalato fra i difensori piĂč accaniti. Quando la barricata fu presa tutti i sopravvissuti furono fucilati. Quando venne il turno del bambino, egli chiese allâufficiale una dilazione di tre minuti.
Sua madre abitava lĂ di faccia. Egli voleva portarle il suo orologio dâargento «perchĂ© almeno ella non perdesse tutto». Lâufficiale, involontariamente commosso, lo lasciĂČ andare, pensando di non rivederlo piĂč. Lo si vide ritornare due minuti dopo. AttraversĂČ correndo la strada gridando: «Eccomi!». SaltĂČ sul marciapiede e andĂČ in fretta ad addossarsi al muro, davanti ai fucili dei soldati stupefatti.
Un giornale belga, lâ«Ătoile», che non aveva mai cessato di coprire di ingiurie la Comune e i suoi difensori, non potĂ© tuttavia fare a meno di riconoscere lâeroismo di quei briganti, di fronte alla morte.
«Quello che non ho ancora visto segnalare, â diceva il suo corrispondente â Ăš un fenomeno morale che si Ăš rivelato dopo la disfatta dellâinsurrezione. Mi riferisco al fatalismo e alla rassegnazione alla morte, da cui sono posseduti gli insorti combattenti. Senza dubbio vi sono stati quelli che allâultimo momento hanno avuto paura e hanno fatto tutto quello che hanno potuto per scampare alla morte; ma la maggioranza di coloro che si sono battuti con accanimento e che sono stati catturati con le armi in mano sapevano bene quale sorte li aspettasse. Sembra che una logica inesorabile li spingesse. Essi avevano ucciso, per vincere una partita; la partita era perduta ed essi sentivano di dover essere uccisi a loro volta. La maggior parte hanno affrontato la morte, come gli Arabi dopo le battaglie, con indifferenza, con disprezzo, senza odio, senza collera, senza ingiuria per i loro esecutori.
Tutti i soldati che hanno preso parte a queste esecuzioni, che io ho intervistato, sono stati unanimi nei loro racconti. Uno di essi mi diceva: âAbbiamo fucilato a Passy una quarantina di quelle canaglie. Sono morti tutti da soldati. Gli uni incrociavano le braccia e tenevano la testa alta. Gli altri aprivano le giubbe e ci gridavano: Fate fuoco! Non abbiamo paura della morteâ.
Un soldato di marina, un buon militare, molto coraggioso e molto umano, mi raccontĂČ la faticosa e sanguinosa peregrinazione che aveva fatto attraverso tutto il faubourg Saint-Germain, il PanthĂ©on, il ponte dâAusterlitz e il quartiere Saint-Antoine. âNoi abbiamo un colonnello â mi diceva â che Ăš un uomo eccellente e che non ama il sangue. Abbiamo ucciso soltanto quelli che avevano voluto ucciderci. Gli altri li abbiamo fatti prigionieri. Neanche uno di quelli che abbiamo fucilato ha mosso ciglio. Mi ricordo soprattutto di un artigliere il quale, da solo, ci ha fatto piĂč male di un battaglione. Egli serviva da solo un pezzo dâartiglieria. Per tre quarti dâora egli ci sparĂČ a mitraglia uccidendo e ferendo non pochi dei miei camerati. Infine fu sopraffatto e noi discendemmo dallâaltra parte della barricata. Lo vedo ancora. Era un uomo massiccio e grondava di sudore per il servizio che aveva fatto per una mezzâora. âĂ il vostro turno â ci disse â. Io merito di essere fucilato, ma morirĂČ coraggiosamenteââ.
Un altro soldato del corpo del generale Clinchant mi raccontava come la sua compagnia aveva portato sui bastioni ottantaquattro insorti presi con le armi in mano. âEssi si sono messi tutti in fila â mi diceva â come se andassero a un esercizio. Neanche uno si scompose. Uno di loro che aveva un bel volto, che portava un paio di pantaloni di stoffa fine infilati negli stivaletti e una cintura da zuavo alla vita ci disse tranquillamente: âCercare di mirare al petto e risparmiatemi la testaâ. Noi abbiamo sparato tutti, ma lâinfelice ha avuto la testa portata via a metĂ â.
Un funzionario di Versailles mi fece il racconto seguente: âNella giornata di domenica ho ratto una escursione a Parigi. Mi dirigevo vicino al teatro del ChĂątelet verso il mucchio di rovine fumanti dellâHĂŽtel de Ville, allorquando fui circondato e trascinato da un torrente di folla che seguiva un convoglio di prigionieri. Li ho contati, erano in numero di ventotto. Ho ritrovato in essi gli stessi uomini che avevo visto nei battaglioni dellâassedio di Parigi. Quasi tutti mi sono parsi essere operai. I loro visi non tradivano nĂ© disperazione, nĂ© abbattimento, nĂ© emozione. Essi marciavano in avanti con passo fermo, risoluto e mi apparivano tanto indifferenti alla loro sorte, che pensai che fossero stati catturati in una retata e si aspettassero di essere rilasciati. Mi ingannavo completamente. Quegli uomini erano stati catturati al mattino a MĂ©nilmontant e sapevano dove venivano condotti. Arrivati alla caserma Lobau, i cavalieri che precedevano la scorta fecero fare un semicerchio e impedirono ai curiosi di avanzare. Le porte della caserma si aprirono completamente per lasciar passare i prigionieri e si richiusero subito. Non era passato un minuto e io non avevo ancora fatto quattro passi, che un terribile fuoco di plotone rimbombĂČ al mio orecchio. Si fucilavano i ventotto insorti. Sorpreso da quella orribile detonazione provai una commozione che mi diede le vertigini. Ma ciĂČ che aumentĂČ il mio orrore dopo il fuoco del plotone, fu il rumore successivo del colpi isolati che dovevano finire le vittime. Fuggii spaventato. Intorno a me la folla mi sembrava impassibile. Da due mesi era abituata a quelle scene orribiliâ».
Al Luxembourg, alla Scuola politecnica, alla Scuola militare, al parco Monceau, a Belleville, a Montmartre, nei dintorni di Parigi, a Montreuil, a Neuilly, a BicĂȘtre, eccetera, insomma ovunque le corti marziali furono installate, il massacro continuĂČ e si compĂŹ, addirittura fino ai primi giorni di giugno, in massa in nome della societĂ , nei particolari a profitto di certe vendette private. Nel campo dei Navets dâIvry, ottocento prigionieri, condannati dalla corte che aveva sede al forte di BicĂȘtre, furono uccisi a colpi di mitragliatrice. A Neully la Comune aveva fatto arrestare, su istanza di parecchi abitanti, un agente chiamato Marie, che si era fatto odiare per le sue vessazioni. Liberato dai Versagliesi Marie fece fucilare tutti quelli che avevano chiesto il suo arresto. Lâoccasione dâaltronde era buona per disfarsi di ogni avversario politico, e i giudici non se lo dissimulavano. Quasi tutti erano bonapartisti e saziavano il loro odio contro i vecchi nemici repubblicani. Il dottor Tony Moilin, che era rimasto estraneo agli atti della Comune, ma era stato implicato in parecchi processi dellâimpero, fu giudicato e condannato a morte in pochi minuti «non perchĂ© avesse commesso alcun atto che la meritasse â gli dissero i suoi giudici â ma perchĂ© era uno dei capi del partito socialista, pericoloso per il suo talento, il suo carattere e la sua influenza sulle masse, uno di quegli uomini, insomma, dei quali un governo prudente e saggio deve sbarazzarsi, quando trova la legittima occasione per farlo14».
Pur tuttavia anche i processi per direttissima delle corti marziali mettevano a dura prova la pazienza di certi generali. Il marchese di Gallifet, colpito da una specie di isterismo sanguinario, faceva fermare di tanto in tanto le colonne di prigionieri che conduceva a Versailles per ripulirle. AllâArco di Trionfo ne fucilĂČ dapprima ottantadue, poi venti pompieri, poi una dozzina di donne. La domenica 28 mattina a Passy fece fermare una colonna di duemila federati e gridĂČ:
«Quelli che hanno i capelli bianchi escano dalle file». Centoundici federati uscirono dai ranghi e furono immediatamente fucilati nei fossati. Per essi la circostanza aggravante era quella di essere stati adulti nel giugno del â48.
Non soltanto il fatto di aver preso le armi per la Comune era sufficiente a dare la morte; veniva considerato come crimine capitale anche lâaver partecipato a un qualsiasi servizio della sua amministrazione. Sulla piazza della Concordia fu fucilato un impiegato colpevole di aver telegrafato per la Comune. Si sarebbe potuto andar lontano per questa strada e fucilare per la stessa ragione tutti quelli che avevano fatto le scarpe, infornato il pane, eccetera per i Comunardi. Lâesercito, dispostissimo a mettere in pratica questa logica, sembrava temere che Versailles manifestasse qualche debolezza. «Non mandate X a Versailles, â diceva un ufficiale superiore a un altro â regolategli il conto a Parigi, perchĂ© a Versailles non lo fucileranno».
Come giustificare questo furore? Tutti i giornali versagliesi hanno detto che le perdite delle truppe erano state estr...