Altreconomia 238 - Giugno 2021
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Acqua, i conti non tornano?

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Acqua, i conti non tornano?

About this book

In copertina BENI COMUNI
Tariffa dell’acqua: dieci anni dopo il referendum i conti non tornano? Primo tempo APPROFONDIMENTO
L’Agenda 2030 è stata scossa nel profondo dall’emergenza Covid-19 REPORTAGE
Non c’è pace per la Colombia. E i leader sociali restano nel mirino AMBIENTE
Ponte sullo Stretto, il ritorno. Perché è un incubo da abbandonare DIRITTI
Rimpatri e accordi informali: il “laboratorio” Tunisia visto da vicino ATTUALITÀ
La pandemia ha colpito la salute mentale di medici e infermieri INTERVISTA
Piero Cipriano. Il benessere che abbiamo trascurato SALUTE COSTITUZIONALE
La salute universale passa dalla conoscenza di territori “reali” Secondo tempo AMBIENTE
L’impegno dei produttori del Roero contro i diserbanti chimici in vigna ALTRE ECONOMIE
Coltivare la buona terra per rigenerare i territori ENERGIA
Le rinnovabili possono innescare la terza transizione energetica DIRITTI
Il ruolo delle donne nella lotta al cambiamento climatico Terzo tempo SOCIETÀ
Nadeesha Uyangoda. L’unica persona nera nella stanza CRIMINALITÀ
Andrea Di Nicola. La lezione americana sulle mafie TERRITORIO
Bertram Niessen. La cultura cresce in nuovi spazi I NOSTRI LIBRI
La transizione non è un pranzo di gala ma un cambiamento integrale Rubriche Editoriale di Duccio Facchini Obiettivo Monitor La salute al caleidoscopiodiNicoletta Dentico Il clima è (già) cambiatodiStefano Caserini Il diritto di migrarediGianfranco Schiavone Semi in viaggiodiRiccardo Bocci Distratti dalla libertà di Lorenzo Guadagnucci Il dizionario economico dell’ignotodiAlessandro Volpi Piano TerradiPaolo Pileri Osservatorio sulla coesione di Paolo Graziano Avviso PubblicodiPierpaolo Romani Un volto che ci somigliadiTomaso Montanari La pagina dei libraidiLibreria Zabarella Una finestra sul commercio equodiGaga Pignatelli Le idee eretiche di Roberto Mancini

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Information

Publisher
Altreconomia
Year
2021
eBook ISBN
9788865164235

Nadeesha Uyangoda. L’unica persona nera nella stanza

Partendo dal racconto del proprio vissuto, la giornalista di origine srilankese Nadeesha Uyangoda disvela le dinamiche razziste ancora presenti nella società italiana

di Alessandro Pirovano

" L'unica persona nera nella stanza ” (66thand2nd Editore) non è solo il titolo del primo libro della giornalista ventottenne Nadeesha Uyangoda ma rappresenta nella sua concretezza anche il senso di isolamento vissuto da tanti italiani di seconda generazione, nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri. Un destino condiviso dalla stessa autrice che, nata in Sri Lanka, all’età di sei anni viene messa in aereo per raggiungere i genitori, già emigrati nella Penisola. Proprio da questo episodio prende il via il libro, in cui il racconto di alcuni episodi significativi della sua vita offre lo spunto all’autrice per analizzare la società italiana, disvelando le dinamiche razziste che ancora la caratterizzano sotto molti aspetti. E che, se all’apparenza percepite come innocue dalla maggioranza bianca della popolazione, sono vissute dai figli di immigrati e immigrate in Italia come offensive e avvisaglie di un diffuso sentire comune xenofobo.

“Nel mio passaporto che sembrava non superare mai i controlli d’ingresso in aeroporto, nelle ispezioni ‘casuali’ oltre le casse automatiche del supermercato, nel ‘tu’ dell’impiegato di banca che ritornava al lei col cliente successivo”. In questi momenti, come in tanti altri episodi narrati nel corso del libro, le sue origini srilankesi e la sua pelle nera sono diventate un aspetto determinante, anzi discriminante, nella sua vita. Come e quando ha preso coscienza di questa linea del colore che attraversa la società italiana? C’è un momento particolare?
NU Penso che l’episodio che più mi ha segnato, da questo punto di vista, sia stato quello dell’autista del pullman. Come racconto anche nel libro, alla mia vista si è lasciato andare in una serie di insulti che volevano rimarcare una distanza abissale tra lui e me. Tra un “noi”, in cui io, con la mia pelle e con le mie origini, non avrei mai potuto rientrare, e un “loro”. In quel momento mi sono vista con gli occhi della componente dominante nella società, quella degli italiani bianchi, e mi sono resa conto che il colore nero della mia pelle e i miei tratti somatici, diversi, per loro avevano una rilevanza a me sconosciuta.

Possiamo definire il suo una sorta di romanzo di formazione, in cui lei progressivamente prende coscienza del background migratorio della sua famiglia e mostra al lettore come episodi, apparentemente banali o questioni a prima vista meramente linguistiche, siano vissute come ferite da una persona di origine straniera. Questa presa di coscienza è un processo naturale, comune alle seconde generazioni?
NU Non penso e non voglio pensare che sia un processo che accomuni tutti, perché la verà libertà è non pensare alla propria identità: si dovrebbe solo essere sé stessi. Non a caso le persone di pelle bianca, soprattutto se uomini eterosessuali, non hanno e non sentono il bisogno di pensare a che cosa sono, perché la loro identità è lo standard, la normalità. Invece le persone che rientrano in gruppi marginalizzati per il sesso, il genere, l’etnia sono spesso costrette a riflettere sulla propria identità perché non hanno così facilmente la libertà di essere sé stesse.

“Le persone di pelle bianca, soprattutto se uomini eterosessuali, non hanno e non sentono il bisogno di pensare a che cosa sono, perché la loro identità è lo standard, la normalità”
Per lei questa presa di coscienza della sua identità, come è avvenuta?
NU È stato l’esito di una serie di fattori: da un lato, è stato un processo naturale di autoriflessione; dall’altro, il risultato delle percezioni di altri nei miei confronti. Un peso lo ha avuto anche la frequentazione della comunità srilankese. Mi ha aiutato a riflettere sul background migratorio mio e della mia famiglia e sulla mia identità. Tanto italiana quanto srilankese.

A chi si trova dall’altro versante, quello bianco, diciamo per sintetizzare, cosa consiglia sul come approcciarsi alle minoranze, senza far pesare la sua condizione intrinseca di privilegio?
NU La risposta è ascoltare. Spesso si ha voglia di fare domande a persone di minoranza etnica che possono essere percepite, quando scadono nella morbosità, come microaggressioni. Per evitarle bisogna capire la condizione di chi appartiene a una minoranza, ascoltarne le storie e le esperienze e capirne così il punto di vista. Solo dando spazio e ascoltando, si può fare buon uso del privilegio che qualcuno di noi ha.

Lei è cresciuta in una piccola cittadina, ma ha studiato a Milano. Un giovane di origine straniera sente molto la differenza tra città e provincia?
NU Sia quando ero piccola sia oggi, solitamente, la differenza tra il vivere in città e in periferia per uno straniero è il tendenziale isolamento “estetico” con cui ci si trova a convivere. In un paese ci si sente spesso “l’unica persona nera nella stanza”, mentre in città la presenza di grosse comunità straniere permette alle persone con origini non italiane di non essere soli.

Nel libro, data anche la sua giovane età, la scuola torna spesso. A volte sotto una luce positiva, a volte sotto una negativa come i suoi due compagni di banco sfacciatamente razzisti o il professore che ripete con insistenza la “parola con la n” durante le sue lezioni. Secondo la sua esperienza la scuola italiana riesce a trasmettere l’idea di una società inclusiva oppure rischia solo di esacerbare i pregiudizi etnici?
NU La scuola ha delle difficoltà a creare ambienti effettivamente multiculturali e inclusivi. Questo a causa anche di una narrazione mediatica che, troppo spesso, individua nella ricchezza culturale e linguistica un ostacolo, quasi insuperabile, alla didattica. Pensiamo ai titoli allarmistici dei giornali sulla composizione delle classi all’inizio di ogni anno. E poi il grado di inclusione dipende spesso anche dal tipo di scuola di cui parliamo: ci sono licei in cui la presenza dei neri, di persone appartenenti a minoranze etniche, è disincentivata solo per motivi economici o di prestigio.

“Una legge sulla cittadinanza ancora imperniata sullo Ius sanguinis non fa che peggiorare la situazione, avvallando l’idea che non ci possano essere neri italiani”
Tra i temi che emergono con più forza nel libro c’è quello della cittadinanza. Per ottenerla, scrive, gli stranieri se la devono “meritare”, devono “essere perfetti”. Per lei avere o non avere la cittadinanza ha mai fatto la differenza? È urgente una riforma della legge sulla cittadinanza?
NU Una buona proposta di legge è quella del 2017, in cui la cittadinanza la si può ottenere “con un atto di volontà” o se si è nati qui oppure se si ha frequentato la scuola. Ora, invece, un bambino, non avendo la cittadinanza, rischia di crescere con la percezione di non essere italiano. Con un conflitto identitario tra ciò che si percepisce di essere e ciò che si è. E una legge sulla cittadinanza ancora imperniata sullo Ius sanguinis non fa che peggiorare la situazione, avvallando l’idea che non ci possano essere neri italiani perché con la cittadinanza si trasmettono anche tratti somatici. E non è una cosa banale perché il mancato riconoscimento della cittadinanza può avere effetti molto concreti come le difficoltà burocratiche, fino al diniego della possibilità di imbarcarsi su un aereo, a cui una persona senza passaporto italiano, come me quando ero a scuola, può andare incontro in aeroporto.

Intersezionalità è un termine che ricorre nel suo libro. Essere donna è già motivo di discriminazione, essere donna e straniera lo è ancora di più. In che senso?
NU Ricordo un episodio avvenuto proprio poco tempo fa intorno a Lecco, dove tre ragazze sono state aggredite mentre passeggiavano. È stato raccontato solo come aggressione razzista ma quello che è successo è anche una violenza contro le donne. I due piani si intersecano spesso quando si parla di aggressioni e molestie nei confronti di donne di origine straniera. E questo fatto non riesce a trovare lo spazio sufficiente nel movimento femminista italiano che, per quanto impegnato a ribadire alcune delle storiche rivendicazioni delle femministe, ha una certa reticenza a farsi carico di istanze nuove, espressioni di una società in cambiamento.
Il suo libro, la serie tv “Zero”, il podcast “Sulla razza”, la blackface esclusa dalle programmazioni Rai: possiamo considerarle avvisaglie di un’attitudine che cambia in Italia nei confronti delle seconde generazioni e in generale delle questioni razziali?
NU È una tendenza che si è accentuata con l’uccisione in diretta di George Floyd. Spero proprio che questo risveglio della sensibilità verso le minoranze non sia solo un riflesso di quanto succede negli Stati Uniti ma sia da sprone a indagare il passato italiano e a ritrovare le tracce più o meno visibili che anche l’esperienza coloniale ha lasciato in questo Paese.

© riproduzione riservata

Livatino e Condorelli, valori coerenti con i comportamenti praticati

Dalla Sicilia di ieri e di oggi arrivano due storie esemplari, di cui il nostro tempo avverte un forte bisogno. Il commento di Pierpaolo Romani di Avviso Pubblico

di Pierpaolo Romani

Viviamo tempi non facili. Tempi in cui la paura, l’incertezza e la precarietà rischiano di spingerci a disinteressarci della vita pubblica, del futuro del nostro Pianeta e di quello dei nostri figli, a pensare esclusivamente a noi stessi, ai nostri interessi particolari, a salvare il nostro salvabile. Sono tempi in cui si avverte la stanchezza di tante parole e il loro distacco da comportamenti che da più parti si invocano a gran voce -uno per tutti: vivere rispettando le regole- ma di cui in molti faticano a vedere la traduzione in concreto. Forte è la tentazione di abbandonarsi alla polemica o allo scoramento, al cinismo o alla rassegnazione. Che fare?

Per nostra fortuna, nelle ultime settimane, da una terra bellissima e disgraziata, com’è la Sicilia definita da Paolo Borsellino, sono giunti degli esempi che ci fanno capire quanto valga la pena di vivere una vita fondata sull’impegno, sulla voglia di cambiamento e di riscatto, sul mettere in gioco noi stessi, innanzitutto, senza chiedere sempre agli altri di fare il primo passo. Ci riferiamo alle storie di vita del giudice Rosario Livatino e dell’imprenditore Giuseppe Condorelli.

Il primo, magistrato integerrimo che tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso ha operato contro la mafia presso il tribunale di Agrigento, con competenza e riservatezza, è stato proclamato beato della chiesa cattolica il 9 maggio. Livatino è stato ucciso da un gruppo di sicari della stidda siciliana il 21 settembre 1990 mentre si recava al lavoro con la sua auto, senza alcuna forma di protezione. I responsabili di questo efferato omicidio sono stati individuati grazie alla testimonianza di Pietro Nava, un rappresentante settentrionale di porte blindate che, come testimone diretto, denunciò immediatamente quanto aveva visto alle autorità competenti.

Alla domanda “Lo rifarebbe?”, Nava ha sempre risposto convintamente in modo affermativo, anche se la sua vita e quella della sua famiglia sono completamente cambiate, tanto da dover assumere una nuova identità e dover andare a vivere all’estero per ragioni di sicurezza. Livatino e Nava, pur con vite e destini diversi, hanno dimostrato entrambi, senza nessun eroismo, quella coerenza tra i valori in cui essi credevano e i comportamenti praticati, di cui il nostro tempo avverte un forte bisogno.

Il secondo esempio che vogliamo ricordare è quello dell’imprenditore Giuseppe Condorelli, titolare di un’azienda dolciaria diventata famosa per i torroncini pubblicizzati in un noto spot televisivo dall’attore Leo Gullotta. Alcun mesi fa, davanti alla sede aziendale, a Belpasso, è stato messo un biglietto sul quale è stata scritta questa frase: “Mettiti a posto ho (sic) ti facciamo saltare in aria. Cercati un amico”. Condorelli ha denunciato il tentativo di estorsione ai carabinieri permettendo alla Direzione distrettuale antimafia di Catania di avviare un’indagine e di arrestare gli estorsori.

2.032. Le posizioni esaminate nel 2020 dal Comitato di solidarietà attivo presso il Commissario del governo per il coordinamento delle attività antiracket e antiusura che ha deliberato la concessione di oltre 23 milioni di euro tra elargizioni per denunce relative al racket e mutui per denunce relative all’usura
Trent’anni fa Libero Grassi, un altro imprenditore siciliano, disse pubblicamente e in completa solitudine che non avrebbe mai pagato il “pizzo” ai mafiosi, li denunciò e rivendicò con fermezza la sua libertà di uomo, di cittadino, di operatore economico. Pagò con la vita questa sua scelta, ma grazie a Libero Grassi è nato un movimento associativo antiracket e sono state varate apposite leggi a difesa degli imprenditori onesti che si oppongono all’arroganza mafiosa. Alla domanda “perché ha denunciato?”, Condorelli ha risposto: “È per i miei figli e per la Sicilia”. Sono i fatti che contano. Grazie Livatino, Nava, Grassi e Condorelli.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “ Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie

© riproduzione riservata

Andrea Di Nicola. La lezione americana sulle mafie

Negli Usa ci hanno messo 70 anni a capire quanto fosse pericolosa Cosa Nostra. Per contrastare le mafie straniere in Italia dobbiamo fare tesoro di quella esperienza

di Ilaria Sesana

Per comprendere meglio le mafie straniere in Italia bisogna fare un salto indietro nel tempo e attraversare l’Atlantico. Tornare nell’aula del tribunale di New York dove, il 24 ottobre 1985, il pubblico ministero Robert Stewart ha pronunciato la requisitoria finale del processo “Pizza Connection”. Punto d’arrivo di un’inchiesta che ha svelato il ruolo di Cosa Nostra nel traffico di stupefacenti negli Stati Uniti tra il 1975 e il 1984, oltre che i legami tra i capi locali e quelli rimasti in Sicilia, terra d’origine di molti degli imputati alla sbarr...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Altreconomia 238 - Giugno 2021
  3. Indice dei contenuti
  4. Le imprese coinvolte nell'occupazione della Palestina e la ricerca che fa paura
  5. Monitor, osservatorio sul mondo (giugno 2021)
  6. Tariffa dell’acqua: dieci anni dopo il referendum i conti non tornano?
  7. L’Agenda 2030 è stata scossa nel profondo dall’emergenza Covid-19
  8. Non c’è pace per la Colombia. E i leader sociali restano nel mirino
  9. Covid-19: una Chernobyl sanitaria che si doveva evitare
  10. Ponte sullo Stretto, il ritorno. Perché è un incubo da abbandonare
  11. Gli obiettivi climatici e quell'enfasi sull'idrogeno
  12. Rimpatri e accordi informali: il “laboratorio” Tunisia visto da vicino
  13. La finta riforma del sistema europeo di asilo
  14. La pandemia ha colpito la salute mentale di medici e infermieri
  15. Piero Cipriano. Il benessere che abbiamo trascurato
  16. Le affascinanti sfide che attendono l’agricoltura
  17. La salute universale passa dalla conoscenza di territori “reali”
  18. Porsi il problema del linguaggio che usiamo
  19. Il Pnrr non riforma la tassazione, ma non è una sorpresa
  20. L’impegno dei produttori del Roero contro i diserbanti chimici in vigna
  21. Cara Repubblica, ti stanno togliendo la terra da sotto i piedi
  22. Coltivare la buona terra per rigenerare i territori
  23. Le “tre Italie” del mancato progresso sociale
  24. Le rinnovabili possono innescare la terza transizione energetica
  25. Il ruolo delle donne nella lotta al cambiamento climatico
  26. Nadeesha Uyangoda. L’unica persona nera nella stanza
  27. Livatino e Condorelli, valori coerenti con i comportamenti praticati
  28. Andrea Di Nicola. La lezione americana sulle mafie
  29. Giovanni Passannante da Salvia di Lucania, precursore dell’avvenire
  30. Bertram Niessen. La cultura cresce in nuovi spazi
  31. La transizione non è un pranzo di gala ma un cambiamento integrale
  32. La pagina dei librai (da Altreconomia 238)
  33. I big player guardano ai consumatori critici. Che fare?
  34. La fede autentica che apre gli occhi di chi la vive, quella nel bene comune