Strategia Lean Lifestyle
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Strategia Lean Lifestyle

Lavorare e fare impresa con più risultati, agilità e benessere

Luciano Attolico

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Strategia Lean Lifestyle

Lavorare e fare impresa con più risultati, agilità e benessere

Luciano Attolico

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In un mondo caratterizzato da variabilità e complessità crescenti, le aziende sembrano ostinarsi a usare modelli organizzativi e modalità di lavoro obsoleti e inadeguati. A dispetto delle tecnologie a disposizione e delle più innovative tecniche di time management lavoriamo sempre di più, con meno risultati e maggiore stress. Strategia Lean Lifestyle affronta il problema chiave di ogni professionista, manager e imprenditore alla guida di aziende di ogni dimensione: come coniugare l'esigenza di produrre sempre più risultati, in sempre meno tempo, lavorando meglio e conducendo, allo stesso tempo, uno stile di vita che generi prosperità e benessere. Sono maturi i tempi perché il lavoro snello diventi una strategia per raggiungere un vero work-life balance ed esprimere il meglio delle persone in azienda senza dover scegliere tra l'efficienza operativa o la realizzazione personale. In questo libro, oltre a numerosi esempi, strumenti e metodologie step-by-step, utili per cominciare ad applicare in autonomia i principi della strategia Lean Lifestyle, troverete raccolte le testimonianze di imprenditori e manager che svelano il "dietro le quinte" di casi di successo in questa nuova direzione, tra cui Campari, Cromology, Elettronica, Ferretti Group, Labomar, Lucchini RS, Marcegaglia, Orogel, Poste Italiane, Sammontana, Siemens Italia, Stanley Black &

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CAPITOLO 1

IN VIAGGIO VERSO IL MIO LEAN LIFESTYLE

Quando pensi di aver toccato il fondo

Aprile 2020. La pandemia da COVID-19 è scoppiata in tutto il mondo. Paure mai provate prima. Disorientamento. Impossibilità di decifrare il presente e il futuro. Quando torneremo a vivere e lavorare nella piena normalità? Quando potremo stringerci le mani e abbracciarci senza timore di essere infettati? Quando torneremo a viaggiare serenamente? La nostra salute, la nostra stessa vita sono a rischio? Queste e altre mille domande in quei giorni occupavano la nostra mente e ancora oggi, febbraio 2021, ci assalgono senza avere risposte definitive. Per evitare che i pensieri negativi prendessero il sopravvento cercavo di restare lucido, di essere vicino ai miei cari e di gestire la situazione aziendale tutt’altro che rosea: dovevo proteggere tutti i colleghi di Lenovys e le loro famiglie dal contagio, gestire le conseguenze del drastico calo di lavoro, trovare con difficoltà forme alternative di redditività e assumere la dolorosa scelta di ridurci tutti lo stipendio. E poi c’era comunque da portare avanti l’assistenza ai clienti e le attività su quei pochi progetti che non erano stati interrotti dalla chiusura repentina delle aziende.
Cercavo di focalizzare le mie energie su ciò che potevo controllare o modificare, senza farmi devastare mentalmente da ciò che era fuori della mia area di controllo. Ma, quando pensavo che il peggio fosse stato già raggiunto, ho capito che tutto è sempre maledettamente relativo. Il 5 maggio 2020 mi sono ritrovato, incredulo, in una gelida sala operatoria, senza più il controllo di niente. Le attenzioni premurose delle infermiere che mi preparavano all’intervento, le pratiche per l’anestesia, le spiegazioni di rito e poi il ricordo che l’unica cosa che potevo e che dovevo fare era rimanere tranquillo e immobile, respirare o trattenere il respiro quando il chirurgo vascolare me lo avesse chiesto. Mentre guardavo le luci del soffitto, quasi ipnotizzato, il chirurgo condusse un lungo esame diagnostico chiamato “coronarografia” per quantificare posizione e caratteristiche dei danni subiti, e poi realizzò un delicato intervento di angioplastica coronarica.
Avevo avuto un infarto. Una parte del mio cuore era ormai andata in stato di grave necrosi perché non più irrorata di sangue dall’arteria che si era completamente ostruita. Qualche ora in più, qualche giorno in più, e avrei salutato questa esperienza terrestre per sempre. L’intervento è stato complicato dal fatto che, in realtà, avevo avuto l’infarto qualche giorno prima, il 30 aprile, al termine di un allenamento. Avevo scambiato i sintomi con un particolare stato di stanchezza provocato dalla pesante sessione svolta. Stavo preparando una gara di crossfit, lo sport che ho praticato intensamente e con grande passione nei cinque anni precedenti all’infarto. Forte dolore al petto, stanchezza profonda, sudorazione fredda, dolori alla mandibola, nausea. L’ultima cosa che avrei potuto lontanamente immaginare era che io potessi avere un infarto. È stato un fulmine a ciel sereno. Nessun segnale premonitore precedente, esami del sangue quasi sempre nella norma, niente fumo, niente ipertensione, attività sportiva regolare, peso forma, attenzione all’alimentazione; soprattutto, ero forte del certificato per la pratica dello sport agonistico che ogni anno avevo ottenuto senza problemi (incluso quello di qualche mese prima dell’infarto!). L’unico indizio che avrebbe potuto farmi riflettere era il fattore della familiarità per infarti e ictus da parte di mio padre: anche nel suo caso un grave evento inaspettato si era materializzato quand’era poco più che cinquantenne.
Forse a causa della situazione COVID e della paura di entrare in un pronto soccorso ospedaliero, il mio medico di famiglia, contattato due volte in seguito ai sintomi che ti ho descritto, aveva purtroppo confermato la mia tesi (gravemente errata): postumi di un allenamento troppo pesante. La cura di quel pomeriggio, che non dimenticherò mai più, fu un antinfiammatorio e due ore di sonno sotto le coperte. Avrei potuto non alzarmi più. Due ore dopo, invece, mi sono svegliato e ho ripreso le mie attività; un po’ stordito, ma tutto sommato contento di non avere più nausea e di avere di nuovo appetito. Ho cenato e ripreso a lavorare. Purtroppo, quello che era successo è che il mio cuore aveva cessato di chiedere aiuto, smettendo anche di comunicarmi a gran voce quei sintomi. Era partito il processo di morte del tessuto cardiaco in seguito all’ischemia subita. Se si interviene con la dovuta urgenza a seguito di un infarto, accadono due cose: innanzitutto è molto probabile che hai salva la vita e, subito dopo, si può ripristinare la situazione di quella parte del muscolo cardiaco non più irrorato di sangue e ossigeno, perché l’intervento tempestivo porta il sangue a circolare di nuovo nei vasi che si sono ostruiti. Io, invece, inconsapevolmente ho cominciato a giocare alla roulette russa con la mia vita per ogni minuto in più che trascorrevo fuori da un ospedale in quelle condizioni. E di minuti ne sono passati tanti, da quel 30 aprile sino al pomeriggio del 4 maggio. In mezzo ci sono state diverse corse con mio figlio Amedeo e anche un allenamento, meno pesante del solito, ma sempre ad altissimo rischio. Il 4 maggio, spinto da mia moglie e dai miei colleghi, Tommaso in primis che mi ha dato il prezioso contatto, ho telefonato, senza nemmeno esserne tanto convinto, a un cardiologo di Pisa, il dottor Maurizio Cecchini, a cui ho descritto i sintomi avuti. Mi ordinò di raggiungerlo per una visita di controllo.
Avresti dovuto vedere il suo volto alla vista dell’elettrocardiogramma prima e dell’ecocardiografia dopo. “Sei-ancora-vivo-per-miracolo”, scandì guardandomi negli occhi. Poi chiese il numero di telefono di mia moglie e la chiamò all’istante per spiegarle la gravità della situazione.
Gli devo la vita. Non perse un minuto di tempo in più e mi spedì subito al pronto soccorso.
Da quel momento è iniziata la mia avventura in ospedale, dimentico della paura del contagio COVID di fronte a un rischio ancora più alto e imminente. Dopo aver messo piede nel pronto soccorso, constatata la criticità della situazione, non mi è stato più concesso di scendere dalla barella o dal letto, nemmeno per andare in bagno. Contenimento del pericolo, preparazione ed esecuzione dell’intervento. Poi la permanenza in terapia intensiva coronarica per diversi giorni, sino alla scomparsa del rischio di morte. Al momento delle dimissioni dall’ospedale mi hanno rassicurato sul mio essere fuori pericolo, ma allo stesso tempo mi hanno comunicato che da quel momento dovevo convivere con un’importante riduzione della funzionalità cardiaca. Dopo qualche giorno ho cominciato progressivamente la pratica del mio nuovo sport: lunghe, tranquille e salutari passeggiate sul mare.
Non ti nascondo che nelle interminabili ore trascorse in solitudine in ospedale migliaia di pensieri hanno cominciato ad affollare la mia mente. “E ora che faccio? Cosa cambia nella mia vita? Chi sono io ora? Non sono più il padre e il marito di prima? Improvvisamente non sono più l’atleta e sportivo incallito, l’imprenditore visionario, il consulente, il formatore appassionato di qualche giorno fa?” Inizialmente ho vissuto in termini del tutto negativi tutto ciò che mi era successo. Vedevo limitazioni e tristezza dovunque. Ma poi mi sono reso conto di vivere una fantastica opportunità, una sorta di punto di non ritorno. Per lunghi anni avevo lavorato verso la costruzione di un modello di azienda basata sui principi del Lean Lifestyle, che trasformasse il Lean Thinking – più valore e meno sprechi – in uno stile di vita dentro e fuori l’azienda per ottenere benessere profondo e allo stesso tempo più risultati, attraverso nuove modalità di lavoro e di impostazione organizzativa. Ma in quei momenti ho cominciato a capire, con la pancia e con l’anima, l’impatto su me stesso di ciò che prima decodificavo più a livello intellettuale. Ho cominciato a vedere tutto ciò che mi circondava con occhi diversi. Ho provato felicità e gratitudine per il solo fatto di essere ancora vivo e, in fondo, senza particolari restrizioni invalidanti. Ero “solo” obbligato a cambiare stile di vita ancora una volta, andando ancora più a fondo di quanto avessi già fatto negli anni. Ho cominciato a vedere cosa avrei potuto fare di nuovo e di diverso rispetto a prima. Abbracciare mia moglie Francesca e mio figlio Amedeo aveva improvvisamente un sapore diverso. Stava prendendo piede una nuova consapevolezza: quella dell’importanza di vivere con intensità ogni istante della vita come se fosse l’ultimo. Perché nessuno di noi, purtroppo o per fortuna, sa quando sarà effettivamente l’ultimo. Un tipo di intensità, tuttavia, diversa rispetto a quella precedente, perché l’attenzione si stava spostando dal fare continuamente ciò che serve per raggiungere obiettivi professionali e personali al sentire sempre più me stesso prima di tuffarmi nell’azione. Ho capito ancora di più il significato di presenza per sé e gli altri. Ho compreso con il cuore, e non più solo con la testa, cosa significa essere vicini a un’altra persona, cosa significa essere in empatia con l’altro, comprenderne le emozioni e il sentire. Non è che prima non fossi empatico e presente. Ho impiegato una vita di lavoro su me stesso per esserlo sempre di più, ma la cosa più importante che ho capito è che se non sei abituato a essere davvero vicino, attento, premuroso e compassionevole con te stesso è molto più difficile essere davvero accanto agli altri. Ho cominciato a farmi le stesse domande di sempre con un nuovo spirito e ho trovato risposte diverse rispetto a prima. Cosa significa davvero benessere? Cosa significa davvero risultato? Cos’è, davvero, il successo per una persona? Come tutto questo trova spazio e significato in ambito organizzativo, nella vita di uomini e donne che ogni giorno lavorano e guidano le aziende?

Avere successo

Il mondo delle aziende è il mondo del fare e dei risultati per antonomasia. Obiettivi e azioni di ogni tipo per raggiungerli, in un modo o nell’altro. Sono partito dalla riflessione sulla mia azienda, Lenovys, e ho voluto allargare le mie considerazioni a tutta la mia squadra. Qual era il nostro senso? Come potevamo far incontrare le missioni individuali con quelle aziendali? Ci siamo resi conto che le difficoltà del periodo COVID ci avevano paradossalmente unito ancora di più e rafforzato come gruppo. Il primo grande desiderio che ho provato e che ho condiviso con i miei colleghi è che Lenovys, dopo anni di lavoro sul Lean Lifestyle, riuscisse a trasformarlo in un vero e proprio modello aziendale e che ne diventasse essa stessa un esempio e una cassa di risonanza.
Prima dovevamo agire sulla nostra pelle e poi rivolgere il focus verso i nostri clienti. Abbiamo così avviato, in anticipo, il percorso che ha dato vita al nuovo piano strategico per il periodo 2021-2025. Non era la prima volta che elaboravamo il piano strategico pluriennale. Dal 2009 è un appuntamento annuale che non abbiamo mai saltato, ma è stata la prima volta che la strategia aziendale diventava così coerente con la mia strategia personale e con quella dei miei colleghi più vicini. Era la prima volta che mettevamo a punto un piano strategico focalizzato su poche, ma vitali direzioni guida per noi e per il mercato.
Se volevo far evolvere il mio stile di vita a livello personale dovevo far evolvere anche il modello di gestione di Lenovys. Ottenere più risultati e più benessere, da me stesso e dall’azienda che ho l’onore di guidare, ha significato ridurre le fonti di stress inutili derivanti tra troppi fronti aperti e puntare su pochi elementi ritenuti chiave. Ha significato plasmare un’organizzazione più agile e più flessibile, con spazi ancora più ampi di delega e autonomia, in cui le persone valorizzano i propri punti di forza e le proprie passioni con grande senso di responsabilità. Ha significato consolidare le cadenze organizzative per l’intero anno nuovo attraverso cui allinearci e trovare le contromisure alle deviazioni all’unico piano strategico dell’intera azienda. In questo modo ho potuto trovare tempo ed energia per completare il libro che stai leggendo e allo stesso tempo dedicare il giusto tempo alle altre responsabilità aziendali e familiari.
Portando lo sguardo dall’interno verso l’esterno, la prima nuova direttrice strategica è stata quella di elaborare un manifesto per la Lean Lifestyle Company, rendendolo riferimento e ispirazione per il nostro lavoro presso i clienti, per la nostra comunicazione, per i nostri comportamenti, per le nostre scelte professionali e per chiunque vorrà liberamente aderirvi e usarlo. Lo troverai nell’ultimo capitolo di questo libro.
Con questo processo personale e aziendale ho potuto dare una risposta alla domanda: cosa significa avere successo?
La forma di successo che auguro a me stesso e agli altri è darsi innanzitutto il permesso di sognare e poi avere la forza di realizzare i propri sogni, facendo del lavoro e dell’impresa non un fine in sé, ma uno strumento formidabile per concretizzare desideri che vanno oltre la sfera personale.
Il mio sogno è trasformare più aziende possibili in generatori di prosperità e benessere, in luoghi in cui vale la pena andare ogni giorno, dove i sogni di imprenditori, manager e lavoratori sono creati e realizzati con passione e leggerezza, dove si sviluppa il talento delle persone, preparandole non solo all’eccellenza professionale, ma anche all’eccellenza nella vita.
Ho passato tanti anni a cercare di ottenere qualcosa e a lottare per arrivarci, ma ora è questo tipo di successo che mi riempie di gioia. Compio un passo in questa direzione quotidianamente, e non devo più aspettare di raggiungere chissà cosa per fermarmi e godere del frutto dei miei sforzi. Il viaggio stesso, in questo modo, è fonte di piacere e benessere, con tante piccole soste per riflettere ed essere contento della strada che sto percorrendo. Una, due, tre, quattro, dieci, cento, mille, non importa quante saranno le aziende a essere ispirate e orientate al Lean Lifestyle. E non importa in quale misura. Nessuno misurerà la dimensione del sogno di ogni azienda e di ogni imprenditore. Contano la direzione data alla propria impresa e il processo che si mette in piedi per camminare in quella direzione, senza mai perdere di vista il senso dell’esistenza dell’azienda stessa.
Penso alla mia vita attuale con più spazio per me, per la mia famiglia, per prendermi cura del mio corpo e della mia mente. Penso a questo libro che sta finalmente prendendo forma, ai miei sogni e inevitabilmente la mente va alla mia azienda. Guardo negli occhi uno a uno i miei colleghi, gli amici che insieme a me hanno costruito Lenovys e tutti gli altri che si sono uniti nel tempo. In ognuno...

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