Capitolo VI
Un po’ di cronaca
Liggio, Riina, Provenzano e Bagarella, detti “i corleonesi”
Luciano Liggio, detto “Lucianeddu”, nato a Corleone 6 gennaio 1925, fu il primo capo della mafia moderna del dopoguerra, quella mafia cioè che aveva abbandonato i vecchi principi degli “uomini d’onore”, che operavano prevalentemente nelle campagne, per dedicarsi esclusivamente ai più lucrosi sporchi affari del traffico di droga, dell’ingerenza negli appalti pubblici e del taglieggiamento di imprenditori, commercianti e professionisti.
Fu detto anche “La primula rossa di Corleone”.
A vent’anni aveva già ucciso un campiere di cui poi prese il posto.
Nel 1948 si macchiò dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto, ucciso su ordine di Michele Navarra, capomafia di Corleone, di cui Liggio era uno dei più feroci killer.
Negli anni Cinquanta, insieme ai compari Totò Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, macellava clandestinamente la carne di bestiame rubato.
Nel 1958 assassinò il potente capomafia Michele Navarra e divenne il capo del clan dei corleonesi.
Michele Navarra, un medico che aveva intrecciato i primi contatti con la politica determinando la confluenza di voti verso i candidati prescelti, aveva già tentato di far uccidere Liggio, in quanto questi, divenuto molto potente, gli insidiava il posto.
Con Michele Navarra finì un’epoca, quella della mafia degli uomini di rispetto con precise regole d’onore, seppure violenta
e criminale. Liggio, infatti, impersonava la nuova mafia aggressiva e sanguinaria.
Andò subito all’assalto di Palermo dove, in aperto contrasto con le altre famiglie mafiose, conquistò i mercati illegali. Fece fortuna con l’abusivismo edilizio (grazie alla copertura istituzionale che gli assicurava il politico Vito Ciancimino) e non esitò ad ordinare l’omicidio di chi tentava di fermarlo.
Il 14 maggio 1964 fu arrestato a Corleone, in un’operazione congiunta, dai militari dell’Arma al comando del tenente colonnello Ignazio Milillo e da personale della pubblica sicurezza diretto dal commissario Angelo Mangano.
Nel processo di Catanzaro nel 1968 ed in quello di Bari nel 1969 venne assolto per insufficienza di prove; si sospettò che i giudici fossero stati fortemente minacciati.
Il 19 novembre 1969 riuscì a fuggire da una clinica di Roma, dove era ricoverato, mezz’ora prima dell’arrivo dei carabinieri che avevano un mandato di arresto per lui.
Nel 1971, d’accordo con Riina, fece assassinare il procuratore Pietro Scaglione, che aveva tentato di far luce sulle sue attività.
Dopo un lungo periodo di latitanza al nord, ed in particolare in Lombardia (dove si arricchì con i sequestri di persona), il 16 maggio 1974 fu arrestato una seconda volta dagli uomini della guardia di finanza del colonnello Giovanni Vissicchio in una casa di via Ripamonti a Milano, mentre era insieme alla sua ennesima compagna Lucia Parenzan e al figlio che era nato dalla loro relazione.
Processato dal giudice Cesare Terranova, fu condannato all’ergastolo per l’assassinio del boss mafioso Michele Navarra.
Venne inoltre processato al maxiprocesso di Palermo del 1986-1987 e non tornò mai più in libertà.
Morì di infarto in un carcere della Sardegna nel 1993.
Salvatore Riina, meglio conosciuto come Totò Riina e soprannominato “Totò ’u curtu” per via della sua bassa statura, nacque a Corleone il 16 novembre 1930 e fu lo spietato successore di Luciano Liggio quale capo clan della mafia corleonese.
A soli diciannove anni uccise un coetaneo in una rissa.
Dopo aver scontato sei anni di carcere, ritornò al paese, diventando il luogotenente della banda di Liggio, impegnata ad eliminare il predominio di Michele Navarra sulla cosca della zona.
Fu arrestato nel dicembre del 1963 e, dopo alcuni anni di reclusione trascorsi all’Ucciardone di Palermo, fu assolto prima a Catanzaro nel processo dei 114 e poi, nel giugno 1969, nel processo di Bari.
Inviato al soggiorno obbligato, si diede alla latitanza e diresse le operazioni della strage di viale Lazio che avvenne a Palermo il 10 dicembre 1969, uno degli episodi più cruenti della cosiddetta prima guerra di mafia, che si scatenò durante gli anni Sessanta e che vide il prevalere dei corleonesi con Liggio, Riina e Provenzano contro le famiglie palermitane di Michele Cavataio, di Michele Greco detto “il papa” e successivamente di Bontade ed Inzerillo.
Totò Riina, preso il posto di Liggio ormai definitivamente in carcere dal 1974, condusse i corleonesi negli anni Ottanta e Novanta alla realizzazione di immensi profitti, prima con il contrabbando e poi con la droga e gli appalti pubblici.
Oltre a conquistare il predominio all’interno di Cosa Nostra, sterminando il superboss Stefano Bontade e i suoi fedelissimi, Riina lanciò una pesante sfida allo Stato, facendo uccidere numerosi rappresentanti delle istituzioni e della magistratura e valenti uomini delle forze dell’ordine.
Trascorse ventitré anni di latitanza, in assoluta libertà e per lo più a Palermo, nonostante le tracce lasciate dal matrimonio nell’...