Né con le buone né con le cattive
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Né con le buone né con le cattive

Bambini e disciplina

Thomas Gordon, EMANUELA FABRETTI

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Né con le buone né con le cattive

Bambini e disciplina

Thomas Gordon, EMANUELA FABRETTI

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Le cronache, purtroppo diffuse, di comportamenti distruttivi e violenti nei giovani si traduce regolarmente nella richiesta di un inasprimento delle regole e delle sanzioni. Eppure non è difficile dimostrare che l'imposizione della disciplina, col vecchio criterio fondato sulla punizione, spesso è causa piuttosto che rimedio di questi comportamenti indesiderati. Non è affatto casuale, infatti, che tutte le strategie solitamente impiegate per fronteggiare questi problemi si accaniscano sui ragazzi, ignorando che la radice del problema è nei modelli educativi interpretati dagli adulti. E i modelli di riferimento più diffusi tra gli adulti o si ispirano all'imposizione autoritaria oppure all'indifferenza lassista. Anche in questo nuovo libro - fondamentale come un classico ma agile come un manuale - l'autore di Genitori efficaci non si limita a mettere meticolosamente a nudo le contraddizioni delle più radicate convinzioni educative ma descrive, con slancio, una diversa concezione: bisogna aiutare gli adulti che sono in contatto con i bambini ad apprendere un nuovo modo, più condiviso e meno dispotico, di gestire le famiglie, le scuole, le associazioni giovanili. Apprendere, rispetto alla disciplina punitiva, efficaci alternative slegate dal potere significa far crescere il senso di auto-disciplina e di auto-controllo dei bambini, la capacità di concorrere alla definizione condivisa delle regole e di ricercare positivamente nei conflitti soluzioni cooperative e senza perdenti. Significa, in fondo, fornire un insostituibile contributo alla costruzione di una società autenticamente democratica.

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Information

Year
2020
ISBN
9788861537774

PARTE SECONDA

Alternative all’uso della disciplina con i bambini

Metodi efficaci per modificare il comportamento dei bambini

Perché il modello di disciplina basato sul controllo che utilizziamo con i bambini è persistito per secoli con solo modificazioni minime? Perché sia i genitori che gli insegnanti continuano a usare il potere punitivo quando ci sono così poche prove che esso modifichi il comportamento dei bambini? Perché gli adulti continuano a pensare di poter disporre solo della disciplina basata sul potere quando devono certamente riconoscere che la gran parte dei bambini vi si oppone o se ne sottrae mettendo in atto tutti i meccanismi di coping che riesce a radunare? E perché genitori e insegnanti continuano a cercare di controllare e coercizzare i giovani adolescenti se, arrivati a quel punto, non hanno più potere?
Tre decenni di esperienza professionale con genitori e insegnanti mi hanno fornito alcune risposte a questi quesiti. Una risposta semplice è che le persone continuano a svolgere il ruolo di disciplinatori perché ritengono che la sola alternativa sia l’essere permissivi, e a nessuno piace quel ruolo nel rapporto con i bambini o, se è per questo, in nessun tipo di rapporto. Tra le due possibilità, la gran parte degli adulti preferisce essere autoritaria rispetto all’essere permissiva; preferisce avere e usare il potere rispetto a lasciare il potere nelle mani dei bambini; e tenere sotto controllo i bambini sembra preferibile al caos che secondo loro risulterebbe dal cedere il controllo.
Sono d’accordo con coloro i quali vedono con sospetto il permissivismo, poiché ho visto che cosa succede quando genitori e insegnanti lasciano che i bambini facciano ciò che vogliono senza regole o limiti. Il permissivismo rende miserevole la vita degli adulti e produce bambini irrispettosi, irriflessivi, egoisti, ingestibili e antipatici.
È veramente un peccato che così pochi genitori e insegnanti capiscano che ci sono molte alternative al controllo per mezzo della disciplina, molti metodi che sono efficaci nell’influenzare i bambini in modo da modificare il comportamento inaccettabile; metodi che permettono a entrambe le parti coinvolte nel rapporto di soddisfare i propri bisogni.
Ideare, sviluppare e insegnare queste modalità di influenzare gli altri, modalità non basate sul potere, è il mio lavoro – anzi, una sorta di missione professionale – dal 1950. Quello fu l’anno in cui progettai e sperimentai un breve programma di formazione per leader in ambito educativo e religioso all’Università di Chicago, dove facevo parte del corpo insegnante.
Per quel seminario ho attinto considerevolmente alla mia passata esperienza di consulente e terapeuta, convinto che le competenze comunicative da me apprese nei miei studi per diventare counselor fossero quelle stesse competenze che erano necessarie ai leader (manager, amministratori, supervisori) per creare dei gruppi produttivi formati da persone motivate e soddisfatte. Per me, quello segnò l’inizio di un decennio di lavoro di consulenza presso organizzazioni commerciali, industriali e governative dove mi dedicavo principalmente di formazione alla leadership mettendo in risalto i metodi che influenzavano i lavoratori invece di cercare di tenerli sotto controllo con ricompense e punizioni.
Nel 1962, dopo aver compreso che la relazione genitore-figlio era molto simile alla relazione dirigente-sottoposto, progettai un corso di formazione alla leadership per genitori. Il corso ottenne un successo immediato e attrasse genitori prima da tutta la contea di Los Angeles poi dall’area della baia di San Francisco e dalla contea di San Diego. Il corso, chiamato Parent Effectiveness Training (P.E.T.), attrasse poi anche persone che volevano diventare formatori P.E.T. La formazione e l’abilitazione di molte centinaia di persone accelerò la rapida diffusione del P.E.T. in molti altri Stati nell’arco di cinque anni.
Ora oltre un milione di genitori ha completato questo corso in lezioni tenute da diverse migliaia di istruttori abilitati. Il nostro organico di istruttori include persone di ogni Stato americano e di venticinque Paesi stranieri. Il 1987 segnò il venticinquesimo anniversario del corso P.E.T.: un quarto di secolo in cui si sono fornite istruzione e formazione ai genitori. Questa esperienza mi ha dato la prova più forte che la gran parte dei genitori può imparare, e più tardi applicare nella propria famiglia, nuovi metodi e nuove competenze che trasformeranno in maniera radicale il compito di essere genitori, miglioreranno la qualità della vita familiare e produrranno giovani dotati di autodisciplina.
Diversi anni dopo l’introduzione del corso P.E.T., alcuni dirigenti scolastici mi chiesero di insegnare ai loro docenti le stesse competenze che insegnavamo ai genitori. Questo mi incoraggiò a ideare il Teacher Effectiveness Training (T.E.T.) Da allora, i nostri istruttori T.E.T. hanno formato oltre 100.000 partecipanti (tra cui dirigenti scolastici, consulenti e psicologi scolastici, oltreché insegnanti) in tutti gli Stati Uniti e in una dozzina di Paesi stranieri. Il T.E.T. ha dimostrato che la gran parte degli insegnanti può apprendere queste nuove alternative ai loro metodi tradizionali di imporre disciplina in classe e che queste competenze e procedimenti non basati sul potere riducono i comportamenti di disturbo in classe, così come migliorano il rendimento scolastico e la salute emotiva degli allievi.
In questo capitolo presenterò questi metodi e competenze alternative, a partire da quelle che sono appropriate nei primi anni di vita del bambino, prima che si siano pienamente sviluppate le capacità di linguaggio e comunicazione. Di seguito presenterò metodi e procedimenti ulteriori che richiedono una comunicazione verbale nei due sensi.
Ma prima sono necessarie alcune spiegazioni sui corsi P.E.T. e T.E.T. Fino a poco tempo fa pensavo a questi programmi di formazione solo come a programmi che aumentavano l’efficacia delle persone, fornivano loro nuove capacità interpersonali, nuove competenze comunicative, nuovi procedimenti per la soluzione dei problemi. Ho poi iniziato a considerare inadeguate e in qualche modo fuorvianti queste definizioni, poiché fanno apparire tale formazione meccanicistica e orientata verso la tecnica; inoltre non rappresentano pienamente ciò che questa formazione produce nei genitori e negli insegnanti e, naturalmente, nei bambini.
Più che fornire formazione relativamente a competenze e strumenti specifici, i corsi P.E.T. e T.E.T. offrono ai partecipanti un modello completamente diverso, un diverso ruolo, un diverso stile di leadership, un diverso modo di essere nei rapporti con i bambini e i giovani.
Una trasformazione così completa, come molti dei nostri corsisti hanno sperimentato, può richiedere ad alcuni un cambiamento profondo nei loro atteggiamenti e nel loro modo di porsi nei confronti della disciplina, del potere e dell’autorità. Dopo aver seguito il corso, le persone si ritrovano a parlare un nuovo linguaggio non basato sul potere, a scartare il linguaggio tradizionale basato sul potere universalmente utilizzato nella relazione adulto-bambino. Mi riferisco a termini quali autorità, obbedire, esigere, permettere, concedere, fissare limiti, privazioni, disciplina, limitare, punire, proibire, imporre regole, rispetto per l’autorità. Le persone che completano il corso assumono un ruolo di genitore o insegnante completamente diverso, un ruolo non basato sul potere che può essere descritto con termini quali facilitatore, consulente, amico, persona che ascolta, che risolve problemi, partecipante, negoziatore, assistente, persona ricca di risorse.
Questa trasformazione è evidente nella seguente esperienza personale descritta da un’insegnante elementare che ha recentemente partecipato al T.E.T.:
Ero solita cercare di tenere sotto controllo gli alunni rivolgendo loro domande in maniera tale che i bambini fossero costretti a fornire risposte rituali che volevo io. Per esempio: “Staremo buoni mentre andiamo in biblioteca, bambini?” Allora gli alunni rispondevano come bravi bambini e brave bambine: “Sì”. “Ci metteremo a correre?” E loro rispondevano: “No, non corriamo”. Era un’abitudine per me utilizzare questa modalità prima di andare in gita, o quando vi erano esercitazioni antincendio o quando avevamo degli ospiti. Beh, i bambini erano sempre d’accordo con me: “No, non corriamo mai” ma poi correvano sempre, e spingevano, e urlavano. Quando si ritornava in classe rivolgevo loro una domanda diversa: “Manteniamo le nostre promesse, bambini?” e la risposta solita era: “Sì, manteniamo le nostre promesse”.
Quando il formatore T.E.T. ha messo una cassetta in classe e ho sentito quanto stupida sembrasse quell’insegnante e quanto io sembrassi quell’insegnante, ho deciso di provare qualcosa di diverso. Ho deciso di provare il Metodo 3 (il problem solving) con un problema per cui avevo fatto la ramanzina alla classe per settimane: rientrare in orario dopo la ricreazione. In passato l’avevo gestito nel mio solito modo: erano sempre in ritardo quando dovevano mettersi in fila e dovevo uscir fuori e gridar loro che si mettessero in fila. Quando erano tutti pronti e si mettevano in fila e arrivavano fino in aula avevamo ormai perso almeno dieci minuti. Quando eravamo in classe dicevo: “Quando la campanella suona, si continua a giocare, bambini?” e loro dicevano: “No”. Poi dicevo: “Cosa si fa quando suona la campanella, bambini?” e loro in coro: “Ci si mette in fila”. Poi dicevo: “Da ora in poi non dovrò più urlarvi di mettervi in fila, vero?” e loro dicevano: “Vero”. E il giorno dopo eccomi di nuovo a gridare che si mettano in fila.
Ci credete? Beh, questa settimana ho usato un messaggio in prima persona invece di porre le mie solite domande. Ho detto loro quanto stanca sono di gridare che si mettano in fila e quanta paura ho che il direttore mi dia una valutazione bassa a causa di tutto il tempo che perdiamo. Poi li ho ascoltati. Non potevo credere alle mie orecchie. Mi hanno detto che erano stufi di stare là in piedi sotto il sole ad aspettarmi e mi hanno chiesto perché si devono mettere in fila. Non riuscivano a capire perché non potevano venire in aula quando suona la campanella. Ho detto che ci siamo sempre messi in fila e loro mi hanno chiesto: “Perché?” Ci ho pensato per un po’ e poi ho detto che non mi veniva in mente nessun motivo per cui gli alunni dovessero mettersi in fila eccetto il fatto che le cose si erano sempre fatte in quel modo.
Beh, non ci stavano. Abbiamo deciso allora di definire i nostri bisogni. Il mio era che dal cortile arrivassero in aula in maniera ordinata e disciplinata nel più breve tempo possibile. Il loro era di evitare di stare in fila per cinque minuti o più sotto il sole ad aspettare che arrivassi io per accompagnarli in classe, e poi dover marciare come soldati. Ci siamo accordati su una soluzione suggerita da uno dei bambini, e cioè che quando fosse suonata la campanella loro dal cortile avrebbero camminato fino all’aula. Io sarei arrivata dalla sala insegnanti e saremmo entrati.
È da tre giorni che proviamo questa soluzione, e funziona a meraviglia. Risparmiamo dieci minuti al giorno nel radunarci nonché il bel po’ di tempo che ero solita perdere a far loro la ramanzina sul mettersi in fila e camminare in silenzio. E non devo più uscire in cortile. Ma la più grande differenza è come ci sentiamo l’una nei confronti degli altri quando arriviamo in classe. Quando ci mettevamo in fila e camminavamo in silenzio fino in aula eravamo ormai tutti isterici. Ora entriamo in classe sentendoci bene, o almeno non siamo isterici l’uno con l’altro. Talvolta questo ha un impatto positivo sull’intero pomeriggio. La parte più difficile di questo problema è stata per i bambini convincermi che non c’era bisogno che loro si mettessero in fila, che il mettersi in fila era solo la mia soluzione a un mio bisogno e, in questo caso, era una pessima soluzione.

Non è vero che i bambini si comportano male

I corsi P.E.T e T.E.T. portano a una trasformazione radicale nel modo in cui genitori e insegnanti vedono il comportamento dei bambini. Molti genitori e insegnanti pensano che i bambini “si comportino bene” o che “si comportino male”. Questo etichettare il comportamento come buono o cattivo ha inizio quando il bambino è molto piccolo. Nei nostri programmi di formazione cerchiamo di aiutare i genitori a capire che non è vero che i bambini si comportano male.
È interessante notare che il termine viene applicato quasi esclusivamente ai bambini, raramente agli adulti. Non sentiamo mai nessuno dire:
Ieri mio marito si è comportato male.
Uno dei nostri ospiti si è comportato male alla festa ieri sera.
Mi sono arrabbiato quando il mio amico si è comportato male durante il pranzo.
Ultimamente i miei dipendenti si stanno comportando male.
Apparentemente solo i bambini si comportano male, nessun altro. Il cattivo comportamento fa parte esclusivamente del linguaggio di genitori e insegnanti, legato in qualche modo a come gli adulti vedono tradizionalmente i bambini. È anche usato in quasi tutti i libri per genitori che ho letto, e ne ho letti parecchi.
Secondo me gli adulti dicono che un bambino si comporta male ogni qualvolta una azione specifica è giudicata contraria al modo in cui l’adulto ritiene che il bambino debba comportarsi. Il verdetto di cattivo comportamento, allora, è chiaramente un giudizio di valore...

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