Il Regno di Dio è qui. Ora!
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Angelo Roncari

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Il Regno di Dio è qui. Ora!

Angelo Roncari

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Che cosa intendeva Gesù con "la buona notizia del Regno di Dio"? La metafora del Regno usata da Gesù per condensare il suo messaggio, più che la descrizione di un evento futuro, comunicava una visione, una logica, una denuncia, un'utopia. Oggi diremmo: "I have a dream": io ho un sogno. Una visione. Il messaggio evangelico è arrivato fino a noi filtrato da millenni di tradizione teologica che hanno solidamente fondato la "religione cristiana" sulla salvezza, meglio sulla paura di Dio. La salvezza promette di evitare la pena eterna dell'inferno, grazie al sacrificio di Gesù Cristo, morto in croce per i nostri peccati e salito in cielo dove "siede alla destra di Dio Padre onnipotente". È questo il messaggio di Gesù di Nazareth? Queste pagine prendono le mosse dal bisogno di ricercare, nel testo evangelico, le tracce di un diverso messaggio di salvezza. Basta sostituire "Vangelo" con la traduzione letterale del greco eu angelion: buona notizia, annuncio di una gioiosa novità. Infatti, Gesù ha dedicato gli anni della sua vita pubblica a proclamare la sua buona notizia. La visione di Gesù rivela una nuova comprensione del mondo di Dio e del mondo degli uomini. Ma la condivisione di questo sogno si è scontrata con le categorie mentali e culturali del tempo, con i modelli martellati per secoli dalla casta sacerdotale. E forse, siamo ancora qui.

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Information

Year
2016
ISBN
9788861533981

La buona notizia del Regno di Dio in cielo

“Che devo fare per ereditare la vita eterna?”
Gesù credeva in un “regno di Dio in cielo” distinto dal regno di Dio in terra34? Gesù aveva promesso ai suoi discepoli una vita eterna? Che senso aveva l’espressione “vita eterna” ai tempi di Gesù? Il Regno di Dio “in cielo” comporta una prospettiva di vita eterna anche per i peccatori e per i non credenti?
Dal lavoro di ricostruzione sviluppato nei capitoli precedenti, emerge la prospettiva di una visione che molto probabilmente35 risale a Gesù di Nazareth e che prefigura per il mondo degli uomini un futuro di tolleranza, di solidarietà, di abolizione della violenza, di valorizzazione degli ultimi della terra. Questa prospettiva è affascinante ma rimane limitata nell’orizzonte di una vita terrena: per Gesù, la fede nella buona notizia del Regno, insistentemente richiesta ai discepoli, si esauriva dunque in una speranza di pace e di riuscita della vicenda umana sul pianeta terra?
Il nostro percorso di riflessione deve quindi affrontare ancora alcuni nodi problematici rimasti sullo sfondo ed esplicitati nelle domande di ricerca che introducono questo capitolo.
Affrontiamo questi ultimi nodi collegati all’annuncio della buona notizia, ben sapendo che non ci sono risposte definitive, ma solo tentativi di ricerca per non soccombere a una crisi di fede che si sta allargando silenziosamente ma inesorabilmente a gran parte di credenti critici, soprattutto ai giovani, tanto che si parla ormai di uno scisma silenzioso e strisciante, che si consuma nell’indifferenza e nell’afasia della gerarchia romana, solo preoccupata di rinforzare gli steccati, di chiudere le porte dell’ovile quando le pecore se ne sono andate, di cercare un colpevole nel mondo esterno e di attribuire la “colpa” di questo esodo al materialismo imperante o al relativismo scientifico dell’epoca postmoderna.
La vita eterna nei Vangeli
Mentre per la dimensione terrena del Regno abbiamo potuto contare su abbondanti “reperti storici” sui quali appoggiare la nostra ricostruzione, le allusioni alla vita eterna raccolte nei primi decenni dopo la morte di Gesù sono molto scarse (nove citazioni, di cui due parallele nei tre sinottici). Aumentano, invece, tanto più quanto più ci si allontana nel tempo dalla morte di Gesù: negli Atti degli Apostoli (17 citazioni) e nel Vangelo di Giovanni (altre 20 citazioni).
Dobbiamo innanzitutto ammettere che i quattro vangeli non dicono quasi nulla sul come e sul quando del Regno di Dio “in cielo”, che rimane quindi un mistero. Quando è stato direttamente interpellato su questo argomento, Gesù si è difeso dalla curiosità dei discepoli, rimandando alla imperscrutabile volontà del Padre una rivelazione che lui stesso dichiarava di non conoscere:
Il Padre con la sua autorità ha stabilito tempi e momenti che non spetta a voi conoscere (At 1,7);
Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre (Mt 24,36).
Per capire la delusione che il ricordo di queste affermazioni deve aver prodotto nei discepoli, dobbiamo riportarci al clima di confusione e di scandalo che la morte in croce di Gesù aveva provocato. La crisi è tanto più drammatica in quanto i discepoli, come abbiamo visto36, avevano sempre frainteso gli annunci di Gesù sul Regno di Dio, e fino alla fine aspettavano ancora il regno di Israele (“Signore, è questo il momento nel quale tu devi ristabilire il regno di Israele?”; At 1,6). Luca (come già Mt 24,36) annota la risposta di Gesù che deve essere suonata come una smentita definitiva alla loro ingenua attesa, senza tuttavia concedere nulla alla loro curiosità. E tuttavia, nonostante l’assenza di una descrizione più soddisfacente, non si può negare che siano presenti nei sinottici sia la domanda che la promessa di una vita definita “eterna”, annunciata per il “secolo futuro”.
Il testo più esplicito in cui la vita eterna è associata a un regno dopo la morte è in Lc 23,42-43, quando il ladrone chiede: “Ricordati di me quando sarai nel tuo regno” e Gesù risponde: “Oggi sarai con me in paradiso”. Questa è anche l’unica volta che appare il termine “paradiso” in tutti i vangeli e negli Atti. Si può quindi legittimamente considerare questa pericope come un’inserzione tardiva, proprio perché sostituisce la dizione “regno di Dio” con quella diffusa solo dopo la morte di Gesù, del suo (di Gesù) regno, e perchè utilizza un termine (paradiso) che appare in questa unica volta nei testi evangelici e che nessun altro evangelista ha mai ricordato come pronunciato da Gesù in tutta la sua predicazione terrena.
Per distinguere i testi sulla vita eterna sicuramente attribuibili alla Chiesa primitiva da quelli più probabilmente associati alle parole di Gesù, dobbiamo fare ricorso ai criteri d’interpretazione che saranno esplicitati in Appendice37 (e in particolare al criterio della molteplice attestazione, della discontinuità con la cultura del tempo, della coerenza con l’insieme del suo messaggio e della compatibilità con il contesto storico), in base ai quali si può supporre che affermazioni incoerenti con tutto il discorso di Gesù sul Regno di Dio o incompatibili con le vicende storiche in cui sono collocate, siano state probabilmente aggiunte a posteriori e appartengano all’elaborazione teologica dei decenni successivi, senza per questo dover essere necessariamente ritenute false: rimangono pur sempre una testimonianza della fede delle prime generazioni, unica fonte dei vangeli.
Diversi scenari
L’analisi dei testi evangelici nei quali ricorrono le espressioni cielo, vita eterna, vita futura e simili, ci permette di distinguere almeno cinque differenti scenari o contesti di senso:
1.Scenario esplicitamente simbolico, presente sotto forma di parabole e desunto dal linguaggio popolare, che Gesù riprende senza introdurre particolari rivelazioni di novità. Gesù è figlio del suo tempo e utilizza il linguaggio e i simboli che i suoi ascoltatori potevano capire. I giudei credevano vagamente nello sheol, simile al regno delle ombre e all’Ade della cultura greca, senza ulteriori tentativi descrittivi. I simboli che Gesù usa nelle sue parabole per definire questo “regno dei morti” sono degli stereotipi. In senso negativo: il fuoco della Geenna (una discarica alle porte di Gerusalemme, in perenne lenta combustione) o espressioni standardizzate di sofferenza (tenebre, pianto e stridore di denti)38. Un’allusione positiva di vita dopo la morte presso Dio è presente nella parabola del ricco epulone, dove si racconta che il povero Lazzaro è entrato nel seno di Abramo (Lc 16,19 e sg.). Sempre di parabole si tratta, che rivelano e nascondono, che interrogano e fanno riflettere, ma non pretendono di definire. In ogni caso, sembrano detti effettivamente pronunciati da Gesù, che ci fanno capire che anche lui condivideva con il suo popolo almeno una credenza non ulteriormente approfondita su una vita dopo la morte, anche se queste allusioni non costituiscono certo il centro del suo messaggio.
2.Un secondo scenario è quello di tipo apocalittico, che ripropone annunci fortemente radicati nella tradizione dei “profeti apocalittici”, molto diffusi in Israele nel I secolo. Questi messaggi alimentavano l’attesa di un intervento salvifico di Jahvè che avrebbe rinnovato l’epopea dell’ingresso di Israele nella terra promessa attraverso il fiume Giordano, inaugurando un nuovo regno di Israele purificato dalle sue colpe e proiettato verso un futuro escatologico. L’evento apocalittico atteso avrebbe segnato il passaggio da questa vita a una vita futura, ancora concepita sul modello dei regni di questo mondo e coincidente con la vittoria definitiva di Israele nei confronti dei popoli pagani. Giovanni il Battista si fa portavoce di questa predicazione apocalittica nella quale l’avvento del “regno dei cieli” sarebbe avvenuto attraverso un giudizio di fuoco inestinguibile:
Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! […] Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione […] Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me […] Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile. (Mt 3,1-12)
La fonte Q, comune ai testi di Matteo e Luca, riporta queste allusioni all’attesa di una vita dopo la morte come purificazione attraverso il fuoco, ignorata dal Vangelo di Marco. È la buona notizia di Giovanni il Battista:
Il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo […]. Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona notizia. (Lc 3,15;18)
Ma la buona notizia di Giovanni era la stessa di Gesù? Matteo richiama la “buona notizia di Giovanni” in altri testi, che riprendono l’attesa di un giudizio di fuoco e richiedono la conversione dei comportamenti morali: una conversione che si distingue dal cambiamento di mentalità richiesto da Gesù. Il testo di riferimento più esplicito di questa attesa è quello della parabola delle pecore e dei capri (Mt 25), che allude a un giudizio universale alla fine dei tempi, successivo quindi alla vita terrena, nel quale a Gesù di Nazareth viene riservato il ruolo di giudice e di re di Israele che trionfa sulle nazioni pagane (“siederà su un trono di gloria, e davanti a lui si raduneranno tutte le genti”), premia i buoni e castiga i cattivi (“nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e gli angeli suoi”). In questo testo, in parte “parabola” (si parla di un re) e in parte commento catechistico esortativo (Gesù parla di se stesso in terza persona, discreta allusione che il soggetto parlante non è Gesù ma la Chiesa delle origini) ci sono quindi molti elementi in contrasto stridente con la buona notizia del regno di Dio (di Dio, non di Gesù) annunciato da Gesù durante tutta la sua vita, essenzialmente mirato al riscatto degli ultimi.
Ma soprattutto lo scenario evocato da Matteo è radicalmente contrario alle scelte che Gesù aveva fatto in vita, tutte le volte che aveva rifiutato un ruolo non dico di re e di giudice, ma neppure di “primo” (“Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve”; Lc 22,27). Preminenza che sembra invece essergli attribuita in questi testi, che per questo sono molto probabilmente da ritenersi successivi alla sua morte e inseriti nel testo evangelico da una corrente “nostalgica” della prima generazione di convertiti39 e da attribuirsi al desiderio, mai tramontato, di assistere al trionfo del regno di Israele al cospetto dei popoli pagani (“di tutte le genti”), sia pure rimandato a dopo la fine del mondo, in una “nuova creazione”:
Mt 19,28: E Gesù disse loro: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele”.
Mt 25,31 e sg.: Quando verrà il figlio dell’uomo nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti […].
Mt 25,34 e sg.: Allora il re dirà a coloro che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo […]”.
Bisogna anche ammettere che di fronte alle resistenze a rinunciare all’attesa apocalittica, che serpeggiavano nelle prime comunità e che sono riportate soprattutto da Matteo, l’evangelista Luca, negli Atti, conserva traccia delle smentite di Gesù e del suo richiamo a rispettare il mistero e a considerare piuttosto ciò “che è più importante”: non la gloria finale del regno di Israele al cospetto dei pagani, ma il dono dello Spirito e di una forza divina che li renderà capaci di essere suoi testimoni fino ai confini del mondo:
At 1,6 e sg.: “Signore ripristini adesso il Regno di Israele?” Gesù rispose: “Il Padre con la sua autorità ha stabilito tempi e momenti che non spetta a voi conoscere. L’importante per voi è che, con la discesa dello Spirito Santo, riceverete un potere divino e sarete miei testimoni […] fino ai confini del mondo”.
Tracce sufficienti a evocare diversi modi di concepire la dimensione eterna del Regno da parte delle differenti correnti teologiche presenti nelle prime comunità.
3.In un terzo scenario, le citazioni della vita eterna attribuite a Gesù appaiono come un risarcimento personale, un compenso per le sofferenze che l’appartenenza al gruppo dei seguaci avrebbe comportato. Si tratta di testi che alludono esplicitamente alle persecuzioni che ha dovuto subire la Chiesa primitiva (a opera dei giudei, prima, e dell’Impero romano, poi) e alla pratica della rinuncia alla proprietà e alla condivisione dei propri beni, adottata nei primissimi anni della nascente comunità (At 3,44 e sg.; 4,2 e sg.). Le vicende storiche cui queste citazioni alludono sono evidentemente successive alla morte di Gesù. Segno tuttavia che nella comunità primitiva era diffusa l’idea di una ricompensa successiva alla conclusione della vita sulla terra. Senza nessuna indicazione sulla qualità di questa seconda vita. A chi gli chiede la vita eterna, Gesù risponde con la promessa...

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