Per concludere
Una mariologia pasquale
E a proposito della resurrezione, don Tonino in un altro testo, parlando della Pasqua, gioca sul ruolo che la pietra, posta a chiusura del sepolcro, può avere nella nostra vita di tutti i giorni. Egli la usa come metafora e afferma che “ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme, messa all’imboccatura dell’anima, che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro”.
Questa pietra può essere paragonata al “macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato. Siamo tombe allineate. Ognuna col suo sigillo di morte”.
Ma la morte non è parola ultima, definitiva. Maria è stata la prima a comprendere che Pasqua è “il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi”. Non basta uscire dal sepolcro per entrare nel giardino nuovo della resurrezione. È necessario adoperarsi “per rimuovere il macigno del sepolcro accanto”.
Se il cristiano è l’uomo della Pasqua, in fondo, suo compito è provocare terremoti come quello “che contrassegnò la prima Pasqua di Cristo […] Pasqua è la festa dei macigni rotolati. È la festa del terremoto […] Pasqua, dunque, non è la festa del ristagno”.
Ecco, in sintesi il cammino che Maria, alla sequela di Gesù, ha compiuto. Come lui, anche lei prima discepola, è passata dalla culla di Betlemme al giardino di Gerusalemme, passando per il Golgota e il Sepolcro.
Quando don Tonino invia i suoi auguri di Pasqua, ecco come li formula. Quegli auguri valgono ancora oggi per noi. Sono sempre attuali. Ma soprattutto, costituiscono una bella sintesi di tutta la sua mariologia. Una mariologia pasquale:
Carissimi, come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi con le formule consumate del vocabolario di circostanza, vi arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole! Come vorrei togliervi dall’anima, quasi dall’imboccatura di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà, che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace! Posso dirvi però una parola. Sillabandola con lentezza per farvi capire di quanto amore intendo caricarla: “coraggio”! La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione. Non la distruzione. Non la catastrofe. Non l’olocausto planetario. Non la fine. Non il precipitare nel nulla.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti che abusano di voi. Coraggio, disoccupati. Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati. Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto. Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito. Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via. Auguri. La luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione.
La Pasqua frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno”. Da quel versante le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate, lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo. Pasqua, festa che ci riscatta dal nostro passato! Allora, Coraggio! Non temete! Non c’è scetticismo che possa attenuare l’esplosione dell’annuncio: “le cose vecchie sono passate: ecco ne sono nate nuove”. Cambiare è possibile. Per tutti. Non c’è tristezza antica che tenga. Non ci sono squame di vecchi fermenti che possano resistere all’urto della grazia.
La strada vi venga sempre dinanzi e il vento vi soffi alle spalle e la rugiada bagni sempre l’erba cui poggiate i passi. E il sorriso brilli sempre sul vostro volto. E il pianto che spunta sui vostri occhi sia solo pianto di felicità. E qualora dovesse trattarsi di lacrime di amarezza e di dolore, ci sia sempre qualcuno pronto ad asciugarvele. Il sole entri a brillare prepotentemente nella vostra casa, a portare tanta luce, tanta speranza e tanto calore..
E, allora, se guardiamo a Maria con gli occhi di don Tonino, è proprio vero quello che ha detto un teologo francese, Jacques Nouet, quando ha scritto che “La vita ci è donata per cercare Dio. La morte per trovarlo. L’eternità per possederlo”.
Sulla strada della resurrezione Maria è ripartita “senza indugio”, come hanno fatto i discepoli di Emmaus. Perché, in fondo, il vero credente non è l’uomo degli arrivi, ma l’uomo delle partenze. Anzi delle ripartenze. Su questa scia, che don Tonino ha percorso insieme alla madre del Signore, anche noi ripartiamo dal Risorto. Anzi nel e col Risorto. Come Maria, con il calore nel cuore e la meraviglia negli occhi.