Parte seconda
IL DELITTO DI ATTIVITÀ ORGANIZZATA PER IL TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI
CAPITOLO I
La normativa sui rifiuti
1. Introduzione
Non appare in dubbio che la normativa sui rifiuti debba essere ricondotta nell’alveo costituzionale degli articoli 9, 32 e 117 Costituzione, come si è visto nella Parte Prima, capitolo I. La stessa Corte Costituzionale, nella recente sentenza 20 aprile/15 maggio 2020, n. 88, ha ribadito che la giurisprudenza della Corte è «costante nel ritenere che la disciplina della gestione dei rifiuti debba essere ricondotta alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, materia naturalmente trasversale».
Della “copertura costituzionale” della disciplina sui rifiuti, sotto l’ombrello del “valore ambiente”, si dovrà quindi sempre tenere conto nell’interpretazione delle norme invocate.
Scendendo al tema oggetto del presente contributo, l’archetipo delittuoso, nel diritto penale dell’ambiente, è costituito dal delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”. Esso, fino al suo spostamento all’interno del codice penale (v. supra, Parte Prima, Capitolo III, par. 1) era inserito all’interno del testo unico sull’ambiente1 e si innestava, pertanto, in un corpus normativo compiuto e complesso.
Tale spostamento, anche se attuato in prospettiva di una “ri-centralizzazione” del codice penale, impone riflessioni sotto il profilo sistematico. La fattispecie delittuosa infatti, pur abbondando di elementi costitutivi, fa riferimento a nozioni ed istituti che solo nel decreto legislativo 152/2006 trovano disciplina. Si deve ritenere che, nonostante l’operazione di maquillage normativo, essi debbano continuare ad essere tenuti presenti nell’interpretazione e applicazione della norma.
In questo caso, come è stato rilevato in dottrina, «il rinvio ad una norma diversa da quella “madre” assume la funzione di individuare per relationem le caratteristiche di un elemento costitutivo del fatto già qualificato dalla norma incriminatrice nel suo significato essenziale». Il fenomeno, tuttavia, «non si traduce affatto in un fenomeno integrativo, bensì si ritiene, è equiparabile al ruolo di apporto di specificazione tecnica che le fonti sublegislative svolgono nell’individuazione di un elemento della fattispecie, che come tale è pienamente compatibile con il principio di riserva di legge»2.
Si tratta, a ben vedere, di qualcosa di più di quanto visto in materia di inquinamento ambientale (in relazione alla nozione di inquinamento contenuta nel TUA), in cui la giurisprudenza indica nelle nozioni definite aliunde un mero supporto ermeneutico, e un qualcosa di meno rispetto alla norma penale in bianco. Si tratta, come correttamente afferma la citata dottrina, di una funzione di “specificazione tecnica” svolta dalla fonte legislativa o sublegislativa rispetto al precetto penale.
Ma se ciò è vero, pur non trovandoci di fronte a un formale rinvio alla norma extra-penale, soprattutto in materia di rifiuti non è possibile approcciare la materia senza avere una conoscenza approfondita dei principi che ne regolano la disciplina: per comprendere il delitto in parola occorre avere ben chiaro cosa si intende per “rifiuto”, cosa per “gestione”, quando una attività può definirsi “abusiva”, entro quali limiti il giudice può entrare nella valutazione dei contenuti di un atto autorizzativo, e così via.
Da qui la necessità di dedicare una parte non secondaria del presente sforzo all’approfondimento degli istituti che costituiscono le radici del tipo delittuoso in esame, onde consentire agli addetti ai lavori di riempire di contenuti concreti la portata generale e astratta della formula normativa.
2. Breve “excursus” storico sulla normativa in materia di rifiuti
La tutela dell’ambiente, in Italia, ha subito alterne fortune. Negli anni settanta, in assenza di qualsivoglia normativa di riferimento, fu la giurisprudenza ad apprestare, con una interpretazione pretoria ed evolutiva delle norme del codice penale, i primi presidi a tutela dell’ambiente. Seguì un periodo di forte spinta legislativa augurato dalla c.d. “legge Merli” (legge 10 maggio 1976 n. 319) in materia di inquinamento delle acque.
La prima normazione organica sui rifiuti fu costituita dal D.P.R. 915 del 10 settembre 1982, emanato in attuazione delle direttive CEE n. 75/442/CE (relativa ai rifiuti pericolosi), n. 76/403/CE (relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili) e n. 78/319/CE (relativa ai rifiuti in generale). Esso conteneva norme di principio, norme sulla classificazione e gestione dei rifiuti, norme relative alla ripartizione delle competenze, norme sanzionatorie.
Successivamente, la materia è stata riordinata tramite il D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, (il cosiddetto “Decreto Ronchi”), emanato in attuazione delle direttive 91/156/ CE sui rifiuti, 91/689/CE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
Accanto alla normativa sui rifiuti, venivano parallelamente disciplinati in materia organica i settori dell’inquinamento delle acque (come visto), dell’inquinamento atmosferico (D.P.R. 203/1988) e delle industrie “a rischio di incidente rilevante” (D.P.R. 175/1988, c.d. “Legge Seveso”).
Nel 2006, attraverso un’opera di sintesi (alquanto singolare nella sua genesi), è stato emanato il Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, rubricato “norme in materia ambientale”, emanato in attuazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.
Il decreto, detto anche Testo Unico ambientale o TUA, disciplina (art. 1) le seguenti materie:
a) nella parte seconda, le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
b) nella parte terza, la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche;
c) nella parte quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati;
d) nella parte quinta, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera;
e) nella parte sesta, la tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente.
Nel 2018, come visto (Parte Prima, Capitolo I, par. 8), l’Unione europea ha emanato tuttavia il c.d. “pacchetto economia circolare”, composto da quattro direttive (che gli Stati membri dovranno recepire entro il 5 luglio 2020), con l’obiettivo dichiarato di ridurre ulteriormente la produzione di rifiuti attraverso il passaggio da una “economia lineare” ad una “economia circolare” fondata sul riutilizzo dei rifiuti.
Le direttive sono state recepite in Italia dai seguenti decreti legislativi:
- D.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio” (pubblicato nella G.U. dell’11 settembre 2020);
- D.lgs. 3 settembre 2020, n. 118, recante “Attuazione degli articoli 2 e 3 della direttiva (UE) 2018/849, che modificano le direttive 2006/66/CE relative a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche” (pubblicato nella G.U. del 12 settembre 2020);
- D.lgs. 3 settembre 2020, n. 119, recante “Attuazione dell’articolo 1 della direttiva (UE) 2018/849, che modifica la direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso (pubblicato nella G.U. del 12 settembre 2020);
- D.lgs. 3 settembre 2020, n. 121, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti” (pubblicato nella G.U. del 14 settembre 2020).
Il primo decreto, in particolare, ha apportato modifiche rilevanti alla disciplina dei rifiuti in generale, come si vedrà di volta in volta nel paragrafi che seguono.
3. Il campo di applicazione della normativa sui rifiuti: la distinzione tra “scarichi” e “rifiuti liquidi”, nonché tra rifiuti e materiale da prospezione mineraria
Il Decreto 152/2006 si pone quindi come corpus normativo complesso che disciplina pressoché tutta la normativa in materia di protezione dell’ambiente. Per quanto in particolare riguarda i rifiuti, essi come detto sono disciplinati, assieme alle “bonifiche”, dalla Parte Quarta del decreto, Titoli da I a IV, oltre al titolo VI per i profili sanzionatori.
Quando si imbatte in un procedimento in materia di rifiuti, il primo interrogativo che l’esegeta si trova ad affrontare è il seguente: nel caso concreto siamo o meno nel campo di applicazione della parte quarta del T.U. 152/2006?
Questa preliminare actio finium regundorum appare fondamentale al fine di evitare “abbagli” ermeneutici e soprattutto investigativi. È infatti di primaria importanza comprendere se le sostanze o le attività da scrutinare siano o meno incluse nella disciplina dettata per i rifiuti. La risposta alla domanda si trova nell’articolo 185 del Decreto, a mente del quale sono escluse dal campo di applicazione della parte quarta del decreto:
a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell’atmosfera di cui all’articolo 183, comma 1, lettera z);
b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue;
c) i rifiuti radioattivi;
d) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;
e) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di partenza;
f) le eccedenze derivanti dalle preparazioni nelle cucine di qualsiasi tipo di cibi solidi, cotti e crudi, non entrati nel circuito distributivo di somministrazione, destinati alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281, nel rispetto della vigente normativa;
g) i materiali esplosivi in disuso;
h) i materiali vegetali non contaminati da inquinanti provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto, in misura superiore ai limiti stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi i limiti di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471;
i) il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo;
l) materiale litoide estratto da corsi d’acqua, bacini idrici ed alvei, a seguito di manutenzione disposta dalle autorità competenti;
m) i sistemi d’arma, i mezzi, i materiali e le infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare ed alla sicurezza nazionale individuati con decreto del Ministro della difesa, nonché la gestione dei materiali e dei rifiuti e la bonifica dei siti ove vengono immagazzinati i citati materiali, che rimangono disciplinati dalle speciali norme di settore nel rispetto dei principi di tutela dell’ambiente previsti dalla parte quarta del presente decreto. I magazzini, i depositi e i siti di stoccaggio nei quali vengono custoditi i medesimi materiali e rifiuti costituiscono opere destinate alla difesa militare non soggette alle autorizzazioni e nulla osta previsti dalla parte quarta del presente decreto;
n) i materiali e le infrastrutture non ricompresi nel decreto ministeriale di cui alla lettera m), finché non è emanato il provvedimento di dichiarazione di rifiuto ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1976, n. 1076, recante il regolamento per l’amministrazione e la contabilità degli organismi dell’esercito, della marina e dell’aeronautica.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 185, per quanto concerne i sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano si applica la disciplina di cui al regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 ottobre 2002, che costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell’ambito del campo di applicazione ivi indicato.
Tra le varie esclusioni dianzi evidenziate, particolarmente rilevante è la distinzione tra “scarichi” e “rifiuti liquidi”.
La nozione di “scarico” (e non più “acque di scarico” come nella previgente disciplina), è fornita dall’art. articolo 74 del TUA, che lo definisce come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.
Confermando una consolidata giurisprudenza, Cassazione, Sezione 3^, sentenza 14 febbraio 2018, n. 6998 (in proc. Martiniello), ha confermato che «lo scarico è tale in quanto avvenga tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile di collettamento, intendendosi, per condotta, non per forza tubazioni o altre specifiche attrezzature, essendo, invece, necessario e sufficiente un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore. In tutti gli altri casi - nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore - si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti, di cui alla Parte IV del D.lgs. 152/2006». Ciò che distingue pertanto un rifiuto liquido da uno scarico è l’esistenza o meno di uno “stabile collettamento” tra la sorgente del liquido e la sua destinazione finale.
Esempio icastico è costituito dal “pe...