La magia simpatica
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La magia simpatica

Tratto da Il Ramo d'Oro

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La magia simpatica

Tratto da Il Ramo d'Oro

About this book

Questo fondamentale studio sulla magia tribale: La magia simpatica, tratto da Il Ramo d'Oro: il famoso (e voluminoso) capolavoro di James G. Frazer, è articolato in quattro parti: "I princìpi della magia", "Magia omeopatica o imitativa", "Magia contagiosa" e "La carriera del mago".

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LA MAGIA SIMPATICA

I princìpi della magia
Se analizziamo i principi di pensiero su cui si basa la magia, troveremo probabilmente che essi si risolvono in due: primo, che il simile produce il simile, o che l’effetto rassomiglia alla causa; secondo, che le cose che siano state una volta a contatto, continuano ad agire l’una sull’altra, a distanza, dopo che il contatto fisico sia cessato. Il primo principio può chiamarsi legge di similarità, il secondo, legge di contatto o contagio. Dal primo di questi principi il mago deduce di poter produrre qualsiasi effetto, semplicemente coll’imitarlo. Dal secondo, a sua volta, deduce che qualunque cosa egli faccia a un oggetto materiale, influenzerà ugualmente la persona con cui l’oggetto è stato una volta in contatto, abbia o no fatto parte del suo corpo. Incantesimi basati sulla legge di similarità si possono chiamare magia omeopatica o imitativa. Incantesimi basati sulla legge di contatto o di contagio si possono chiamare magia contagiosa. Per denotare il primo di questi rami della magia è forse da preferirsi il termine di omeopatica, perché i termini di imitativa o mimetica, anche se non implicano, suggeriscono un agente conscio che imita, e pongono quindi dei limiti troppo ristretti al campo della magia.
Infatti gli stessi principi che il mago applica in pratica alla sua arte, sono da lui implicitamente considerati come regolatori degli eventi della natura inanimata; in altre parole egli ammette tacitamente che le leggi di similarità e di contatto sono di applicazione universale e non limitate soltanto alle azioni dell’uomo. Insomma, la magia è tanto un falso sistema di leggi naturali quanto una guida fallace della condotta; tanto una falsa scienza quanto un’arte abortita. In quanto sistema di leggi naturali, ossia in quanto esposizione di quelle regole che determinano il succedersi degli eventi nel mondo, può prendere il nome di magia teoretica; considerata come una serie di precetti che gli uomini osservano per conseguire i loro scopi, si può chiamare magia pratica. Nello stesso tempo bisogna bene fissarsi in mente che il mago primitivo conosce la magia soltanto dal lato pratico; egli non analizza mai i processi mentali su cui la sua pratica poggia, né riflette mai sui principi astratti impliciti nelle sue azioni. Per lui, come per la maggior parte degli uomini, la logica è implicita, non esplicita; egli ragiona come digerisce il suo cibo, in completa ignoranza dei processi intellettuali e fisiologici che sono essenziali tanto a l’una che a l’altra operazione. La magia, in fondo, per lui è sempre un’arte, non mai una scienza; l’idea stessa di scienza manca del tutto nella sua mente poco sviluppata. È compito del filosofo rintracciare il processo mentale nascosto sotto la pratica del mago e trovare il bandolo dell’intricata matassa; estrarre i principi astratti dalle loro applicazioni concrete; insomma, discernere la falsa scienza sotto l’arte bastarda.
Se la mia analisi della logica del mago è corretta, i suoi due grandi principi non sono altro che due diverse e cattive applicazioni del principio dell’associazione delle idee. La magia omeopatica è fondata sull’associazione delle idee per similarità; la magia contagiosa sull’associazione per contiguità. La magia omeopatica commette l’errore di postulare che le cose che si somigliano siano le stesse; la magia contagiosa commette l’errore di postulare che le cose che siano state una volta a contatto continuino a esserlo sempre. Ma in pratica i due rami sono spesso combinati; o, per esser più esatti, mentre la magia omeopatica o imitativa può esser praticata da sola, si troverà che la magia contagiosa implica generalmente un’applicazione del principio omeopatico o imitativo. Esposte così in generale, le due cose possono essere difficili ad afferrare, ma diverranno subito intelligibili quando saranno illustrate con esempi particolari, Effettivamente queste forme di pensiero sono ambedue estremamente semplici ed elementari. E difficilmente potrebbe non esser così, dal momento che sono familiari in concreto, sebbene non certo in astratto, alla rozza intelligenza non solo del selvaggio ma delle persone ignoranti e ottuse, dovunque esse vivano. Tutti e due i rami della magia, l’omeopatica e la contagiosa, si possono giustamente comprendere sotto il nome generale di magia simpatica, poiché ambedue affermano che le cose agiscono l’una su l’altra a distanza, per mezzo d’una segreta simpatia, mentre l’impulso è trasmesso da l’una a l’altra per mezzo di quel che possiamo concepire come una specie di etere invisibile, non troppo diverso da quello che è postulato dalla scienza moderna per uno scopo del tutto simile, per spiegare, cioè, come mai le cose possano influenzarsi fisicamente attraverso uno spazio che appare vuoto.
Può essere utile schematizzare nel modo seguente i rami della magia secondo le leggi del pensiero che li sostiene:
Magia simpatica (Legge di simpatia),
che si suddivide in:
Magia omeopatica (Legge di similarità)
e in
Magia contagiosa (Legge di contatto).
Illustrerò ora con degli esempi questi due grandi rami della magia simpatica, incominciando dalla magia omeopatica.

Magia omeopatica o imitativa
L’applicazione più familiare del principio che il simile produce il simile è forse il tentativo che è stato fatto in molte epoche da molti popoli di danneggiare o distruggere un nemico, danneggiando o distruggendo una sua immagine, nella credenza che l’uomo debba soffrire come soffre l’immagine e che, quando questa sia distrutta, egli debba morire. Pochi esempi, tra i molti che ve ne sono, basteranno a provare la larga diffusione di questa pratica e la sua notevole persistenza attraverso le età. Migliaia di anni or sono essa era nota tanto agli incantatori dell’India antica, di Babilonia e d’Egitto, come a quelli della Grecia e di Roma, e viene usata anche oggi da selvaggi maligni e astuti in Australia, in Africa e in Scozia. Così, gl’Indiani dell’America del Nord credono che disegnando l’immagine di una persona nella sabbia, nella cenere o nell’argilla, o considerando qualsiasi oggetto come se fosse il corpo di quella persona, e pungendolo quindi con uno stecco acuto, o danneggiandolo in qualunque altro modo, essi infliggono un danno corrispondente alla persona rappresentata. Per esempio, quando un indiano Ojebway vuol far del male a qualcuno, si fabbrica una piccola immagine in legno del suo nemico, v’infigge un ago nella testa o nel cuore, o vi scaglia contro una freccia, credendo che dovunque l’ago trafigga o la freccia colpisca l’immagine, il suo nemico sarà nello stesso istante colpito da acuto dolore nella corrispondente parte del corpo; ma se intende di ucciderlo addirittura, brucia o seppellisce il fantoccio, pronunciando durante l’operazione delle speciali parole magiche. Gli Indiani del Perù modellavano delle immagini di grasso misto dj grano che imitavano la persona odiata e bruciavano quindi l’effigie sulla strada dove la vittima doveva passare. E chiamavano ciò bruciare l’anima sua.
Un incantesimo malese della stessa specie è il seguente. Prendete dei ritagli di unghia, dei capelli, delle ciglia, della saliva e via dicendo della vostra designata vittima e plasmateli a sua somiglianza, mescolandoli con la cera di un’arnia abbandonata. Bruciate lentamente questa figura tenendola ogni notte per sette notti sopra una lampada e dite:
Non è la cera ch’io sto bruciando,
Ma brucio il fegato, la milza e il cuore del tal dei tali.
Dopo la settima volta bruciate l’immagine e la vostra vittima morirà. Questo incantesimo combina chiaramente i principi della magia omeopatica e di quella contagiosa, poiché l’immagine fabbricata a somiglianza del nemico contiene delle cose che erano una volta a contatto con lui, le sue unghie, i suoi capelli, la sua saliva. Un’altra forma d’incantesimo malese che somiglia anche più da vicino alla pratica degli Ojebway consiste nel fabbricare con un’arnia vuota un fantoccio alto circa 30 cm: trafiggete l’occhio dell’immagine e il vostro nemico diventa cieco; trafiggetegli lo stomaco, ed egli cade malato; la testa, e gli vien l’emicrania; trafiggetegli il petto ed è al petto che soffrirà. Se volete ucciderlo, trafiggete l’immagine dalla testa ai piedi, avvolgetela in un sudario come se fosse un cadavere, dite le preghiere dei morti, e seppellitela in mezzo a un sentiero dove la vostra vittima dovrà certamente passarvi sopra. Perché il suo sangue non ricada sulla vostra testa dovete dire:
Non son io che Io sotterro; è Gabriel che lo sotterra.
Così, il peso dell’assassinio graverà sulle spalle dell’arcangelo Gabriele, che sapranno sopportarlo meglio assai delle vostre.
Se la magia omeopatica o imitativa, per mezzo di immagini, è stata comunemente praticata per il maligno scopo di sloggiare dal mondo le persone nocive, essa è stata anche, sebbene più raramente, impiegata con la benevola intenzione di aiutare altri a venirci. In altre parole, è stata usata per facilitare la nascita dei bambini e procurare una prole a donne sterili. Così, tra i Batak di Sumatra, una donna sterile che vuol divenir madre s’intaglia nel legno un’immagine di bambino, e se la tiene in seno, credendo che questo farà adempire i suoi voti. Nell’arcipelago di Babar quando una donna vuol avere un bambino, invita un uomo che sia padre di una grande famiglia a pregare in suo favore Opulero, lo spirito del Sole. Viene quindi fabbricata una bambola di cotone rosso che la donna tiene tra le braccia come per darle il latte. E il padre di molti figli prende un uccello e lo tiene per le zampe sulla testa della donna dicendo: «O Opulero, accetta quest’uccello; fa’ cadere, fa’ discendere un bambino; io ti prego, io t’imploro, fa’ che un bambino cada e discenda tra le mie mani e sulle mie ginocchia». Domanda quindi alla donna: «È venuto il bambino?» ed essa risponde: «Si. Sta già a prendere il latte». Allora l’uomo tiene l’uccello sulla testa del marito e mormora alcune parole. L’uccello vien quindi ucciso e messo con del betel nel luogo domestico del sacrificio. Quando la cerimonia è finita, si sparge la voce per il villaggio che la donna si è dovuta mettere a letto, e i suoi amici vengono a congratularsi con lei. Qui la finzione che sia nato un bambino è un rito puramente magico, destinato a farlo nascere realmente per mezzo d’imitazione o mimetismo; ma si tenta di aumentare l’efficacia del rito per mezzo della preghiera e del sacrificio. In altre parole, qui la magia è mescolata e rinforzata dalla religione.
Tra alcuni Daiachi del Borneo, quando una donna si trova in gran travaglio, vien chiamato uno stregone che tenta razionalmente di facilitare il parto manipolando il corpo della sofferente. Uno stregone, fuor della camera, si sforza nel frattempo di ottenere lo stesso scopo con mezzi che possiamo considerare interamente irrazionali. Infatti egli finge di essere la partoriente; una grossa pietra attaccata allo stomaco con una fascia avvolta intorno al corpo rappresenta il bambino nell’utero, e, secondo gli ordini gridatigli dal suo collega che sta sul luogo dell’operazione, egli muove sopra il suo corpo questo finto bambino a esatta imitazione del bambino vero, finché questo non nasca.
Lo stesso principio di finzione, così caro ai bambini, ha condotto altri popoli a usare la simulazione della nascita come una forma di adozione e anche come un modo di restituire alla vita una persona supposta morta. Se voi fingete di dar nascita a un fanciullo o anche a un uomo adulto e barbuto, che non abbia nelle vene neppure una goccia del vostro sangue, allora, agli occhi della legge e della filosofia primitiva, quel fanciullo o quell’uomo diventa veramente vostro figlio per tutti gli scopi e sotto tutti i punti di vista. Così Diodoro racconta che quando Zeus persuase la sua gelosa moglie Hera ad adottare Heracle come figlio, la dea nel suo letto si strinse al seno il gagliardo eroe, e lo spinse quindi fuori delle sue vesti facendolo cadere in terra, per imitare una vera nascita; e lo storico aggiunge che anche ai suoi giorni veniva praticato tra i barbari lo stesso sistema di adozioni. Sembra che quest’uso viga ancora oggi in Bulgaria e tra i Turchi bosniaci. Una donna prende in seno il fanciullo che intende adottare e lo fa uscir fuori dai suoi vestiti; e da allora in poi vien sempre considerato come suo figlio, ed eredita l’intera proprietà dei suoi genitori adottivi. Tra i Berawan del Sarawak, quando una donna vuole adottare un uomo o una donna adulta, si raduna una numerosa assemblea e si fa una festa. La madre adottiva si siede in pubblico sopra un seggio elevato e coperto e fa sì che il figlio adottivo insinuandosi, per di dietro, ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. LA MAGIA SIMPATICA
  3. Indice
  4. Intro
  5. LA MAGIA SIMPATICA
  6. Ringraziamenti