Un viaggio in Romania
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Negli Anni Trenta ciò che si conosceva della Romania, tra Parigi e Roma, non era poi molto: manuali per turisti ce n'era uno, edito da Hachette, ma abbastanza lacunoso. Un diario del viaggio compiuto da Aldo Mieli, storico della scienza, per incontrare i suoi corrispondenti di quel paese, rappresenta quindi una curiosità sotto l'aspetto turistico oltre che culturale. Era con vivissimo desiderio che aspettavo il momento della mia partenza per partecipare alla ottava riunione della nostra Accademia che doveva aver luogo in România. Da varî mesi mi preparavo al viaggio, sia studiando una grammatica rumena, per non andare colà tutt'affatto digiuno della frumoasa limb? româneasc?, sia leggendo libri sulla storia di questo popolo che così bene seppe conservare, nonostante l'irruzioni dei barbari, la lingua ricevuta da Roma, sia consultando la guida (l'unica, purtroppo, e assai mal fatta) che la casa Hachette ha riservato alla România, e, insieme, alla Bulgaria ed alla Turchia. Finalmente, il 3 aprile, potei salire sul treno che mi doveva portare verso l'oriente.
La mia prima tappa fu Basel. Desideravo rivedere il collega Gustav Senn, e intrattenermi con lui sui progressi dei suoi bei lavori su Theophrastos (vedi Archeion, XVII, 1935, p. 117 e pag. 260). L'eminente direttore dell'Istituto botanico era venuto alla stazione ad aspettarmi; così potei passare con lui l'intiero pomeriggio, anche perchè la sua gentile signora e lui vollero trattenermi a cena. Ripartii l'indomani mattina, viaggiando tutto il giorno e fermandomi per pernottare solamente a Salzburg, dove una pioggia insistente non smentì la mala fama climatica che grava su questa bella e ridente città, celebre, sopratutto, per aver dato i natali a Wolfgang Mozart. Ed io pensavo che forse fu il desiderio di indovinare i rari giorni nei quali non pioveva, che indusse l'irlandese Virgilius (Sanct Fergil), vescovo di Salzburg, a divenire per ordine di tempo (VIII secolo) il primo meteorologo dei paesi germanici.
Viaggio in Romania, Aldo Mieli. Aldo Mieli (Livorno, 4 dicembre 1879 – Florida, 16 febbraio 1950) è stato uno storico della scienza e attivista italiano.
La sua figura di intellettuale fu importante in due diversi contesti: il primo è la storia della scienza, il secondo il movimento di liberazione omosessuale, del quale fu un pioniere.

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Un viaggio in Romania

Era con vivissimo desiderio che aspettavo il momento della mia partenza per partecipare alla ottava riunione della nostra Accademia che doveva aver luogo in Rom â nia. Da var î mesi mi preparavo al viaggio, sia studiando una grammatica rumena, per non andare colà tutt’affatto digiuno della frumoasa limb ă rom â neasc ă , sia leggendo libri sulla storia di questo popolo che così bene seppe conservare, nonostante l’irruzioni dei barbari, la lingua ricevuta da Roma, sia consultando la guida (l’unica, purtroppo, e assai mal fatta) che la casa Hachette ha riservato alla România, e, insieme, alla Bulgaria ed alla Turchia. Finalmente, il 3 aprile, potei salire sul treno che mi doveva portare verso l’oriente.
La mia prima tappa fu Basel. Desideravo rivedere il collega Gustav Senn, e intrattenermi con lui sui progressi dei suoi bei lavori su Theophrastos (vedi Archeion, XVII, 1935, p. 117 e pag. 260). L’eminente direttore dell’Istituto botanico era venuto alla stazione ad aspettarmi; così potei passare con lui l’intiero pomeriggio, anche perchè la sua gentile signora e lui vollero trattenermi a cena. Ripartii l’indomani mattina, viaggiando tutto il giorno e fermandomi per pernottare solamente a Salzburg, dove una pioggia insistente non smentì la mala fama climatica che grava su questa bella e ridente città, celebre, sopratutto, per aver dato i natali a Wolfgang Mozart. Ed io pensavo che forse fu il desiderio di indovinare i rari giorni nei quali non pioveva, che indusse l’irlandese Virgilius (Sanct Fergil), vescovo di Salzburg, a divenire per ordine di tempo (VIII secolo) il primo meteorologo dei paesi germanici.
L’indomani 5, domenica, arrivai finalmente a Wien. Alla stazione mi aspettava il collega Isidor Fischer, che volle assolutamente che alloggiassi presso di lui. I. Fischer e la sua signora erano appena ritornati da un viaggio di un mese compiuto in Palestina. Come tutti sanno, il Fischer, appassionato storico della medicina, è anche ginecologo riputato. Una sua figlia ha anche essa abbracciato la carriera e la specialità del padre, e da due anni circa si è stabilita ad Haifa, dove esercita la professione. I genitori, così, erano andati a trovare la figlia, ed il Fischer visitava per la prima volta l’antico paese degli ebrei e che questi tendono a rendere di nuovo la loro patria. Uno degli argomenti, quindi, sui quali ebbimo a trattenerci, fu quello dei gravi problemi connessi all’avvenire di questo paese, delle prospettive della colonizzazione giudaica, delle lotte fra arabi ed ebrei (che pochi giorni dopo dovevano condurre a conflitti deplorevoli) e della resurrezione pratica della lingua ebraica. Non è qui il luogo dove devo occuparmi di tali problemi. Solo dell’ultimo ricordato conviene dire qualche parola. La lingua ebraica, mi diceva il Fischer, è ormai parlata correntemente dalle giovani generazioni, e, spesso, i nipoti non riescono più a conversare con i nonni che si servono ancora della loro lingua di origine e non sono riusciti ad imparare un idioma così difficile come la lingua del popolo d’Israele. Inoltre l’ebraico incomincia ad essere correntemente adoperato nelle pubblicazioni, ed in particolare nelle pubblicazioni scientifiche. Ora quest’ultimo fatto, ed io convenivo con lui, da un certo punto di vista è deplorevole, perchè isola completamente la scienza neoebraica da quella del mondo civile, essendo stolto credere che la massa degli studiosi di altri popoli possa mettersi a imparare una tale lingua solo per arrivare a leggere alcune memorie scientifiche. Un esempio analogo, ma che dura già da qualche decennio, lo abbiamo per l’Ungheria, un paese che, d’altra parte, comprende certo molti più abitanti di quello che non siano oggi gli ebrei di Palestina. Ma chi, fra gli scienziati stranieri, comprende la lingua ungherese? Quale influenza, anche, hanno i lavori scientifici ungheresi sulla scienza mondiale, a meno che non siano stati elaborati e pubblicati in altre lingue? (ad esempio in tedesco, come è stato fatto generalmente?). Nessuno e nessuna, certo. A me pare che se pure si può ammettere che certi lavori scientifici vengano pubblicati in lingue che si riavvicinano per l’origine alle lingue universalmente diffuse, e possono così, fino a un certo punto, essere comprese in lavori speciali (come appunto il rumeno, il catalano, l’olandese e qualche lingua slava) l’uso di lingue assolutamente diverse da tutte le altre e senza importanza speciale (come può averla per esempio il greco) devono essere bandite dalla letteratura scientifica come incomprensibili alla quasi totalità degli scienziati e nocevoli anche a quelli stessi che se ne servono.
Ma pure di un altro argomento ebbi ad occuparmi con il ...

Table of contents

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