«Il fenomeno mafioso, quale espressione di una cultura di morte, è da osteggiare e da combattere. Esso si oppone radicalmente alla fede e al Vangelo, che sono sempre per la vita». Queste parole, pronunciate da Papa Francesco nel discorso ai membri della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, il 23 gennaio 2017, esprimono sinteticamente un cammino che la Chiesa, a vari livelli, ha intrapreso ormai da molto tempo. Si tratta della denuncia circa la gravità morale della criminalità organizzata, deplorevole consorteria strutturalmente votata al male, di fronte alla quale la Chiesa, nel compimento della sua missione salvifica, si presenta nelle vesti di risposta organica ad uno stile di vita totalmente incompatibile con la professione di fede cristiana. Il mafioso, in forza della stessa appartenenza all’organizzazione criminale, versa in una condizione di peccato che mina fortemente la sua comunione con la Comunità ecclesiale, dal momento che egli attenta sistematicamente alla dignità ed al bene delle sue membra.
1.Criminalità organizzata: breve approccio
alla peculiarità del fenomeno
Prima di prendere in considerazione le tappe più importanti del suddetto cammino avviato dalla Chiesa, particolarmente attraverso il magistero dei Pontefici e dei Vescovi, sembra necessario fornire un breve e propedeutico approccio al fenomeno in oggetto, per comprenderne quantomeno gli aspetti caratterizzanti, pur senza alcuna pretesa di esaustività. In tal senso, quello che più interessa è mettere in evidenza la peculiarità del fenomeno della criminalità organizzata, che non può considerarsi semplicemente l’espressione del generico ed occasionale atteggiamento di un soggetto che sbaglia, pur gravemente, nella condotta della propria vita. Tale lettura, infatti, sarebbe riduttiva e non confacente ad una realtà che, invero, comporta un’affiliazione stabile, costante, oltre che, come indicato nello stesso nome, dotata di una propria organizzazione strutturata e coesa, promotrice di un vero e proprio stile di vita con cui la stessa consorteria malavitosa alimenta e supporta gli atteggiamenti criminosi di altri individui.
Diverse sono le scuole di pensiero che hanno tentato di dare una definizione della criminalità organizzata, portando ad accezioni differenti, a seconda del grado di astrazione adottato nella trattazione. Tra di esse si condivide l’elaborata descrizione riconducibile ad Hagan, in base alla quale le caratteristiche essenziali della criminalità organizzata possono essere così tracciate: «Organizzazione (a sua volta suddivisa in gerarchia interna), esistenza di criteri selettivi di appartenenza e di eventuali rituali segreti di affiliazione, violenza, o minaccia di essa, fornitura di beni e servizi illeciti e, infine, capacità di mettere in atto forme di neutralizzazione delle agenzie di law enforcement».
In realtà, soprattutto se si fa riferimento al contesto italiano, il termine comunemente utilizzato per indicare il fenomeno in questione è quello di mafia, tradizionalmente legato alla realtà siciliana, ma impiegato per designare in genere anche altre organizzazioni della medesima natura, od anche quello di malavita organizzata per indicare in senso collettivo coloro che, con la stabilità propria dell’organizzazione criminale, vivono in contrasto con le norme del vivere civile e della morale. Anzi, oggi si preferisce parlare di mafie al plurale, per indicare la complessa «pluralità di organizzazioni talora eterogenee ma dotate di taluni caratteri distintivi (stabilità della struttura associativa, esercizio di sovranità su un determinato territorio, consenso sociale diffuso, ingente accumulazione economica, interazione con la politica) che le accomunano in una dimensione eccedente la semplice commissione di reati». Di per sé, quantomeno all’origine, i due termini – mafia e criminalità organizzata – ed i fenomeni che essi descrivono, non sono totalmente coincidenti, pur avendo diversi aspetti in comune. Ma bisogna riconoscere che oggi si ravvisa tra di essi un indiscutibile avvicinamento, se non addirittura un’assimilazione. Ne sono prova, ad esempio, il fatto che in Italia il delitto di associazione di cui all’art. 416 bis c.p., in diversi casi è stato applicato, e lo è tutt’ora, anche ad organizzazioni criminali di origine diversa da quella delle mafie tradizionali. Inoltre, constata Pepino, «termini come “mafia” e “mafioso” vengono abitualmente usati per definire situazioni eterogenee (si pensi all’espressione “messaggio mafioso”). In altri termini la mafia ha fatto scuola, non ha trasformato la sua specificità in fattore di chiusura e isolamento, ma si è rivelata un modello capace di espansione». Lo testimonia il fatto che le mafie hanno saputo sfruttare al meglio gli effetti dei moderni processi di globalizzazione, estendendo ben oltre gli storici territori di provenienza le loro reti di influenza. Così, oggi è ormai diventato frequente sentir parlare anche di una criminalità organizzata transnazionale, «per designare genericamente, forme complesse di criminalità – messe in atto, cioè, da gruppi di individui – dotate di un raggio di azione in grado di trascendere i meri confini nazionali e/o coinvolte in attività e mercati illeciti con una dimensione internazionale».
Tutto ciò considerato, nella presente ricerca si è deciso di utilizzare ordinariamente il termine «criminalità organizzata» quale espressione che comprende tanto le mafie tradizionali quanto le altre forme criminose di più recente evoluzione e legate anche a contesti diversi da quelli a cui sono storicamente ancorate le prime, con cui tuttavia condividono sostanzialmente la struttura e le modalità di azione ma soprattutto le drammatiche ricadute sociali.
Nel descrivere le peculiarità della criminalità organizzata, vi è però un aspetto che riveste particolare interesse e che avvalora questa analisi: la stretta e paradossale vicinanza della criminalità organizzata alla pratica religiosa. Si tratta di un legame storicamente appurato, come dimostrano significativi episodi afferenti soprattutto alle tradizionali mafie del territorio italiano, in cui detta prossimità si è palesata in tutta la sua contraddittorietà, non escludendo talvolta anche il coinvolgimento di chierici. È un aspetto complesso che ha portato qualcuno a parlare di una vera e propria «religione mafiosa» e che si manifesta soprattutto nel ricorso, da parte delle organizzazioni criminali, a riti iniziatici – principalmente per suggellare l’ingresso formale dei nuovi aderenti – che richiamano in modo più o meno esplicito la ritualità religiosa cattolica. Qu...