Esploreremo le stelle
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Esploreremo le stelle

Bob Kennedy e Jim Whittaker dai ghiacciai dello Yukon alle elezioni del '68

Eleonora Recalcati

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Esploreremo le stelle

Bob Kennedy e Jim Whittaker dai ghiacciai dello Yukon alle elezioni del '68

Eleonora Recalcati

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Il periodo forse più intenso della storia recente americana attraverso un'incredibile avventura poco nota ed emozionante.Dopo l'assassinio di John Kennedy, il fratello Bob, senatore, cerca a fatica di portare avanti la sua visione. Quando il Canada assegna il nome del presidente defunto a una cima inesplorata nello Yukon, Bob, desideroso di commemorare il fratello, accetta di partecipare alla prima ascesa nonostante non ami e non conosca la montagna.A guidarlo c'è Jim Whittaker, guida alpina ed "eroe nazionale" per essere stato il primo americano ad aver scalato l'Everest. Tra i due uomini, lontanissimi eppure profondamente vicini, nasce un'amicizia che va oltre i ghiacci del Mount Kennedy e, passando per le rapide del Colorado, anima la memorabile campagna del 1968, in cui Bob si candida alla presidenza. Mentre il senatore impara ad apprezzare gli ideali della montagna, l'alpinista apprende quelli della politica. Con la sua tragica fine, Bob consegna in eredità all'amico il sogno di "un mondo più nuovo" a cui Jim cercherà di rimanere fedele nelle sue nuove sfide.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2021
ISBN
9788820397388
Un’estate, due fiumi
La sera di giovedì 3 giugno, la famiglia Whittaker sta cenando davanti alla televisione, mentre dalla finestra aperta entra una brezza leggera che sale dal lago.
La voce del notiziario, acceso in salotto, in bilico tra sorpresa e malizia, sta riportando un fatterello di cronaca estiva: una modella diciannovenne di Chicago è stata vista su una spiaggia del Lago Micighan con un costume scandaloso sotto l’accappatoio, che le lascia il seno scoperto. È quello il primo topless della storia. Blanche getta l’occhio allo schermo mentre tenta di distrarre Scott che continua a sbirciare, chiedendogli come sta andando a scuola e che voti pensa di avere in pagella, mentre Jim sorride alla moglie, prendendo in giro la sua mossa censoria. Improvvisamente, la pagina di costume è interrotta da un’ultim’ora.
Immagini sfocate, voci confuse, grida. «Aggiornamenti dalla missione spaziale Gemini 4. Il lancio, avvenuto alle 11 e 24 da Cape Kennedy, è stato seguito in diretta satellitare per la prima volta anche da tutta Europa.»
Carl e Scott, che non hanno potuto seguire le fasi del lancio perché a scuola, si alzano immediatamente dal tavolo e si sporgono per vedere meglio il televisore in sala. Carl ha contagiato il fratello più piccolo con una passione smodata per lo spazio e la loro cameretta ha iniziato a riempirsi di immagini di razzi e navicelle.
Blanche fa cenno ai bambini di sedersi a tavola, indicando i piatti dove è rimasta ancora qualche patata al forno. Ma persino Jim non rimane indifferente a quanto sta annunciando la televisione e, tenendosi al tavolo, si sporge indietro con la sedia per vedere.
«L’astronauta Edward White è uscito dall’abitacolo, camminando nello spazio per ventitré minuti, collegato alla capsula mediante una corda di sicurezza.»
Carl, a briglia sciolta, prende a correre intorno al divano rivestito di velluto azzurro, rischiando di rovesciare il bicchiere di Coca Cola che ha in mano. Blanche, impotente, lo lascia fare.
«Ce l’abbiamo fatta!»
Il ragazzo aspettava quel momento da mesi, da quando il 18 marzo i russi avevano battuto sul tempo gli americani mandando in orbita il cosmonauta Aleksej Leonov, il primo uomo a camminare nello spazio.
«Va bene ragazzi, per festeggiare, dopo cena, possiamo andare a vedere le lucciole in giardino. Adesso finite di mangiare però.»
«Papà, ma Cape Kennedy c’entra con il tuo amico? Abita lì? Dici che potrebbe farmi conoscere un’astronauta?»
«Ma no, Cape Kennedy si chiama Cape Canaveral, è da poco che hanno deciso di chiamarlo così per il Presidente John Kennedy, è stato lui il primo a pensare che fosse importante andare nello spazio.»
Jim, cercando di imitare il tono, mentre si alza per raggiungere il frigorifero, decanta le parole di John, nel giorno del suo insediamento: «Esploreremo le stelle, conquisteremo i deserti, debelleremo le malattie…»
Poi prende una lattina di birra e richiude il frigo con vigore, raccogliendo i magneti a forma di smiley che si sono staccati nell’urto.
«E questi che diavolo sono?» borbotta Jim, rimettendo le faccine gialle sul portellone superiore del frigo.
«Me li hanno dati a scuola, ce li hanno tutti» risponde Carl, cambiando velocemente argomento e tornando alla sua ossessione.
«Ma quindi non ho capito, il tuo amico me lo può presentare o no un astronauta?»
Jim ci pensa un attimo su.
«Chissà, forse. Vediamo un po’ che si può fare… Ma non farti troppe illusioni, sono uomini normali e sono anche più bassi del tuo papà.»
Poi sorseggia la sua birra, mentre i bambini, eccitati, finiscono le patate in pochi bocconi.
«Ok, bravi, vado a prendere le pile e i walkie talkie.»
«Sì, ma non allontanatevi troppo, è buio» puntualizza Blanche, mentre si alza a sparecchiare.
I tre sono sulla porta, quando nel corridoio suona il telefono.
3 giugno 1965: Edward White, pilota della Gemini 4, è il primo statunitense a uscire dalla navicella e a “camminare” nello spazio. Morirà due anni dopo nel tragico incidente dell’Apollo 1.
«Vai tu cara?»
Blanche risponde. «Sì, pronto… Ehmm. Un attimo. Jiiim!»
Jim, che sta controllando il funzionamento delle due radioline, non sente subito. Quando finalmente arriva in corridoio, sua moglie è in piedi, sorridente, mentre tiene la cornetta con due mani e parla fitto.
«Sì, mi ha raccontato, hanno quasi la stessa età…»
Blanche parla con la voce acuta di quando è agitata.
«Abbiamo letti a sufficienza, ma forse starete un po’ stretti…»
Poi fa un risolino nervoso.
«Tieni, Jim. Ti vuole Ethel» e gli allunga la cornetta, con aria ansiosa.
«Sì, pronto. Jim? Mi sono già accordata con tua moglie. Volevo solo salutarti. Tra due settimane sono lì, con una truppa ridotta. Sette scatenati possono bastare? Poi l’ottavo, quello che si dà arie da senatore, arriva nel weekend.»
Dal giorno successivo i Whittaker si mobilitano e, nel giro di due settimane, la casa liberata dagli inquilini si riempie di lettini incastrati negli angoli più assurdi, una sorta di improvvisato asilo da campeggio.
Mercoledì 23 giugno, uno dei primi giorni di caldo intenso, Jim e Blanche vanno all’aeroporto ad aspettare Ethel e i bambini. Hanno lasciato i figli con i cugini, mentre Lou li ha seguiti col suo furgoncino, pronto a caricare la ciurma.
Blanche si è messa un tubino dritto, azzurro chiaro, nonostante Jim abbia tentato di dissuaderla. «Non sono quel tipo di persone, Blanche. Ethel non vedrà l’ora di togliersi quei tailleurini da first lady. In fondo siamo in vacanza no? È normale che tu sia un po’ tesa, ma vedrai, dopo dieci minuti ti scioglierai.»
L’aeroporto di Sea-Tac, all’estremo sud di Seattle, è una fitta trama di Boeing, molti dei quali nuovi di zecca. In città, negli ultimi anni, è risorta l’industria aeronautica che si era assopita dopo la guerra, grazie al successo del modello commerciale Boeing 707.
Jim e Lou, nella hall, guardano gli aerei decollare con un bicchiere di caffè lungo in mano, per ingannare l’attesa.
Blanche, intanto, con sguardo ansioso, scruta il tabellone.
«Sta atterrando quello da Anchorage… poi arriva quello dei Kennedy, ancora una ventina di minuti secondo me. Gli andiamo incontro? Come farà con tutti quei bambini?»
«Guarda che un paio sono alti come te. Camminano da soli» sorride Jim, cercando di calmarla. «Ti prendo qualcosa al bar tesoro?»
Ma li sorprende la voce rassicurante dell’hostess, dall’altoparlante: «Boeing 707-113 in arrivo da Washington, Gate 4».
Blanche evidentemente ha fatto male i conti e ora trascina per la manica il marito verso il Gate 4 mentre Lou, dietro di loro, prende in giro il fratello con lo sguardo.
«Eccoli. Ethel, laggiù. La vedi?»
Una donna circondata da un nugolo di bambini avanza tenendone per mano due. Veste larghi pantaloni a vita alta e una T-shirt a righe.
L’aeroporto internazionale di Seattle-Tacoma a metà degli anni Sessanta.
«Guarda mamma, lui è identico a Jim!» dicono in coro i bambini quando si trovano di fronte ai due giganti Whittaker. La piccola Mary corre a presentarsi, facendo oscillare lo sguardo da Jim a Lou, impressionata.
«Almeno potreste andare da due barbieri diversi! Ci date un trucchetto per riconoscervi?» commenta Ethel.
«Jim è quello simpatico, io quello timido.»
Arrivati alla casa affittata sul Lago Sammamish, di fianco a quella dei Whittaker, Blanche fa timidamente strada a Ethel e ai bambini, preoccupata che l’alloggio di fortuna non si addica ai Kennedy.
«Questo divano letto non è comodissimo, ma forse uno dei ragazzi più grandi…»
David, un ragazzino biondo sui dieci anni, si lascia subito cadere sul divano, una semplice struttura di metallo con lo schienale ricoperto da un tessuto fiorato.
«Lo prendo io!»
«Poi vediamo» lo liquida Ethel, mentre segue Blanche sul pavimento a scacchi del cucinotto.
Sul tavolo alto, circondato di sgabelli, ci sono già in bella mostra i cereali, le tazze colorate e tutto il necessario per la colazione.
«Anche il tavolo è un po’ piccolo e scomodo, i tipi che ci abitavano erano spartani… ma tanto mangerete sempre insieme a noi di là…»
«Tranquilla Blanche, è tutto perfetto. Ci sistemeremo con calma stasera. Ora siamo pronti per il bagno. Al lago, intendo.»
La donna, che si aspettava di lasciarli riposare, guarda quella lunga fila di bambini schierati davanti a sé come un esercito.
«Va bene, allora vi lascio mettere i costumi. Ci sono due bagni, trovate gli asciugamani e tutto.»
«Ma noi abbiamo già il costume addosso» esclama la piccola Mary tirandosi su la maglietta e scoprendo un bikini a pois che le lascia scoperta solo una sottilissima linea di pelle bianchissima.
Fu l’inizio di tre giorni spensierati, trascorsi per lo più a solcare il lago sugli sci d’acqua. Jim si godeva lo spettacolo di sua moglie alle prese con Ethel e con quella banda di bambini competitivi e coraggiosi.
All’inizio Carl e Scott si sentivano sopraffatti. Per quanto abituati allo sport e alle passeggiate in montagna col padre, non avevano certo la selvaggia spavalderia dei Kennedy. Blanche era sempre stata una madre chioccia, vicina ai figli in tutte le loro fasi, e persino un po’ ansiosa. Ora, suo marito sorrideva vedendola alle prese con l’aplomb di Ethel quando Chris, il più piccolo, dopo aver inciampato sui ciottoli della riva, si sbucciava entrambe le ginocchia.
«Non è niente amore, vieni qui.» La donna dava un bacio sulle gambe del bambino e poi lo rimetteva in piedi, spingendolo a camminare ancora.
Ma ciò che più sconvolgeva Blanche era che Ethel trovasse sempre il tempo per fare tutto ciò che voleva. Si divertiva sugli sci, facendo dentro e fuori dall’acqua, dividendosi la sorveglianza dei bambini con la figlia maggiore, Kathleen, che aveva già quattordici anni.
Di sera, tutti insieme si organizzava un grande barbecue nel giardino di casa Whittaker. Jim stava alla brace, assistito da uno dei ragazzi Kennedy, a turnazione. Spennellavano bistecche e costine con la salsa barbecue che Blanche aveva preparato, in quantità industriali, nei giorni precedenti.
Ethel, regolarmente, teneva la padrona di casa lontana dalla cucina, trascinandola in animate discussioni politiche sul Vietnam, sui diritti dei neri o su piaghe sociali come la tossicodipendenza.
Per Jim era una sorpresa ascoltare sua moglie che, con le guance rosse, sfogava il suo disappunto per le schiere di soldati mandati a morire da Johnson in una guerra di cui non poteva capire il senso.
Ai barbecue con la famiglia di Lou, o con gli amici di Seattle, i discorsi dei Whittaker in genere vertevano su ben altri argomenti: il loro era un mondo fatto di piccole cose e di natura, di passeggiate sulle le rive assolate del Lago Sammamish e sessioni di pesca. Avevano gli stessi amici dai tempi della scuola e gli stessi punti di ritrovo, il pub per Jim e un caffè nel centro di Seattle per Blanche e le sue amiche. Se Jim scalpitava per salire più in alto, per respirare l’aria dei ghiacciai, Blanche sembrava soddisfatta, pacificata con la cura delle rose e qualche lungo pomeriggio di shopping, quando i figli erano dai cugini. Eppure, negli anni, insieme alla passione per i Kennedy, aveva anche covato silenziosamente un senso di interesse per le sorti del Paese. «Tutto il mondo ci guarda, non possiamo permetterci di essere dei selvaggi.» E con questo semplice pensiero la donna conc...

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