Orfani
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Orfani

Chima Ugokwe, Mattia Castorino

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Orfani

Chima Ugokwe, Mattia Castorino

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Orfani è una storia di sopravvivenza in un mondo sconosciuto. Abbandonati in un mondo senza genitori, a lottare per la sopravvivenza e per vivere con l'identità che hanno tanto desiderato. Tempi difficili, solitudine, povertà e un futuro incerto danno loro la caccia, ma devono imparare a vivere l'uno con l'altro e lavorare insieme combattendo per le proprie vite in quelle circostanze.

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Information

Year
2021
ISBN
9781071589700
Orfani
Riguardo questo libro
Orfani è una storia di sopravvivenza in un mondo sconosciuto. Abbandonati in un mondo senza genitori, a lottare per la sopravvivenza e per vivere con l'identità che hanno tanto desiderato. Tempi difficili, solitudine, povertà e un futuro incerto danno loro la caccia, ma devono imparare a vivere l'uno con l'altro e lavorare insieme combattendo per le proprie vite in quelle circostanze.
CAPITOLO UNO
La mia bella madre è morta il giorno in cui è nato mio fratello minore Ndudirn. È stata adorabile e forte fino a quella mattina. Li ho lasciati a scuola per ritornare a mezzogiorno e sentire che era andata. Era stata incinta per mesi e avevamo tutti aspettato di avere un neonato nella nostra famiglia. Gli uomini volevano un maschietto e le donne volevano una femminuccia. Per la maggior parte del tempo ci abbiamo giocato su e l’abbiamo tirata avanti.
La notizia ha riunito molte persone in molto poco tempo. Chikwe era stata mandata a prendermi a scuola a Eluama e nonostante fosse a due passi, casa sembrava troppo lontana. Chickwe non mi disse niente. Era così freddo che avevo paura che se Mamma avesse partorito in sicurezza, lui avrebbe dato la notizia con gioia e mantenuto lo spirito lungo tutto il tragitto verso casa. Doveva essere stato avvertito di non dire niente né a me né a nessun altro. Non era comune sentire che qualcuno fosse morto.
La casa era così affollata con meno entusiasmo. Mamma era morta, lo so. Avevo solo tredici anni ma non piansi, perché non mi era venuto in mente cosa avremmo sofferto poi. La morte portava silenzio e paura all’uomo e agli animali. Gli uccelli cantavano e urlavano, le donne piangevano e io ero sotto lo sguardo di era venuto a porgere le condoglianze. Non sapevo del dolore che aveva portato. Stavo solo mantenendo i ricordi tra noi e lei, i nostri giochi, i pasti e i momenti alla fattoria. In qualche modo, comprendevo la morte.
Perché non piangevo, nessuno dei miei fratelli piangeva. Noi cinque eravamo in una stanza diversa dove una ragazza ci intratteneva con racconti popolari e ci distraeva da quello che stava succedendo al di fuori, ma io non stavo ascoltando. Lei era Udoka – la ragazza che ha poi sposato mio padre per due soli anni.
Uscivo a intervalli per guardare di sfuggita dove fosse papà. Era un uomo fatto per la mamma e povero papà, mi chiedevo come sarebbe sopravvissuto. Era brutto amare così tanto. Amava veramente la mamma. Quel pomeriggio, mentre si svolgevano i preparativi per la sepoltura, sedeva in silenzio sempre in mezzo al suo gruppo di amici che erano sempre in allerta perché non piangesse. Non parlò. Il suo stress era così tanto che lo riuscii a sentire l’ultima volta che uscii per vederlo.
“Ho perso mia moglie.” Piangeva. Tutti lo capirono. Era tutto quello che continuava a dire. Molti piangevano insieme a lui e le reazioni miste e le l’inquietudine che seguirono mi fecero piangere insieme a loro in quel momento.
Nwoye, suo fratello minore, lo aveva tra le braccia mentre piangeva, le sue stesse lacrime cadevano sul suo corpo. Non era il momento di dirgli di non piangere. Piangeva per liberarsi dal peso che la morte gli aveva posto sul cuore. Non importa quanto contassimo per lui, l’ultima e fedele persona di cui aveva bisogno in casa era andata.
Guardai fuori e vidi sei giovani uomini trasportare il corpo di mamma, che era stato coperto dalla testa ai piedi, fino al nostro grande gruppo di case. Così, si scatenò il pianto della gente. Nessuno poteva sopportarlo più a lungo. Mio fratello uscì dalla stanza e vide tutti in lacrime. Anche loro piangevano.
Il mondo rimase immobile per un istante. Non stavamo più pensando se non al pianto e all’inquietudine. Io stavo solo guardando fuori e le lacrime formavano una linea sulla mia faccia e continuavano a scendere. Avevo perso per sempre in questa vita una donna che mi aveva dato alla luce, per mai più rivederla, mai più.
La morte aveva colto mamma così presto nella sua vita. Era nei suoi anni produttivi e una morte simile allora si sentiva difficilmente. Per quanto riguarda il pianto, nessun grado di lutto poteva ridarle la vita. Era andata, andata per sempre nell’aldilà – la casa dei morti.
Molti mani giunsero e si occuparono dei preparativi per la sua sepoltura quel pomeriggio. Non sapevo esattamente se fosse pomeriggio o sera. Il sole era calato così presto che mi chiesi perché il giorno fosse finito in un modo così inusuale. Mamma fu interrata quella sera nel rispetto della tradizione della nostra popolare e per poco mio padre non la seguì nella tomba.
I miei fratelli minori piansero quando videro il suo corpo venire calato nella polvere desolata. Molte persone trattennero mio padre e portarono dentro i miei fratelli minori. Ero l’unico rimasto alla sua tomba, nel rispetto della tradizione perché ero il primo figlio e avevo il sopravvento nelle sue questioni rispetto a suo padre. Nonostante la mia età, mi era stato concesso il privilegio di vederla sepolta in quell’ultimo momento.
Sentii il primo suono dell’orribile zolla cadere sulla bara. La realtà di perdere mia madre mi colpì ed ero l’unica persona che poteva capire che avevamo perso nostra madre. Le cose non sarebbero più state le stesse.
Dio mi aveva dato un cuore forte e non piangevo più. Guardai riempire la tomba vuota con la terra e ... Scossi la testa dolorosamente ed entrai. Molte persone avevano smesso di piangere ma riuscivo ancora a sentire papà piangere rumorosamente. Lo faceva per il grande amore verso mamma.
La mia unica preoccupazione era che avrebbe sofferto di squilibrio mentale e non mi sarebbe piaciuto. Provai ad avvicinarmi a lui quando gli altri lo avevano lasciato a consolarsi da solo. Quando mi vide, mi chiamò e aprì le braccia per me. Mi misi nel suo abbraccio e le sue calde lacrime caddero su di me. Stava dicendo il mio nome mentre piangeva.
“Padre, basta piangere. Ora non sei abbastanza forte. Potresti ammalarti nuovamente.” gli dissi.
Tutti erano meravigliati dal livello di saggezza che dimostrai e dissero a mio padre di farsi coraggio. Papà vide la brevità in me e non pianse più. Guardai nei suoi occhi e gli dissi di asciugarsi le lacrime e lui lo fece. Quella sera portò la nostra intera famiglia in un mondo senza mamma e papà diventò vedovo.
Non c’era modo che non potessimo ricordarci di mamma. Mamma era una donna virtuosa che si era sempre comportata bene tra le sue coetanee. Era una buona madre per noi e una brava moglie per papà. La pace e l’armonia per cui avevamo lavorato duramente in questi anni fu infranta dalla sua morte. Con la sua morte, ci rendemmo tutti contro di non essere più completi.
CAPITOLO DUE
I sei giorni di lutto obbligato continuarono come se non dovessero mai smettere. Per quel periodo, secondo la nostra tradizione, mi sedetti vicino a papà nell’angolo dedicato ai familiari del defunto per intrattenere la gente che si riversava a porgere le condoglianze. Una giovane donna con tutte le qualità desiderabili era deceduta. Era tutto quello che tutti continuavano a dire mentre accorrevano in gran quantità. Lei era stata consumata da una morte lenta e dolorosa nel periodo in cui stava partorendo suo figlio. Avrebbe potuto dare alla luce il suo ultimo figlio e sorridergli tenendolo tra le braccia. Così non fu.
Ci diedero in dono denaro e cibo e ci dissero di essere dispiaciuti. Ringraziammo e annuimmo, rassicurandoli che saremmo stati forti. Lo sapevano comunque. Solo il tempo e la provvidenza avrebbero guarito queste ferite. Era una tradizione e ognuno lo sapeva e tutti la condividevano; un debito da ripagare in circostanze simili. I doni fatti in questa circostanza non durano molto dopo il funerale. Erano perlopiù usati per colmare il debito e comprare il necessario una volta finito il funerale.
Fare visita e porgere le condoglianze era un sacro dovere da adempiere per i vivi nei confronti dei parenti e amici del defunto e si svolgeva in quel modo col passare del tempo.
Tutti rimasero in silenzio mentre si svolgeva l’evento. Un funerale secondo le mie tradizioni difficilmente era un’occasione per degli scherzi anche da parte degli insensibili e i bambini. Era un momento in cui sarebbe stato portato all’attenzione di tutti che fosse in corso qualcosa di serio.
Per quel periodo, Papà non era veramente lui e io ero sempre con lui, occupandomi di lui e l’eccesso di persone che avevano bisogno della nostra attenzione. La mia preoccupazione personale era che se le visite fossero durate giorni da parte delle numerose classi di età e gruppi a cui mio padre apparteneva, avrebbe potuto crollare per lo stress e sfinirsi. Io ero più devoto alla preghiera e in ogni altro servizio che potesse farlo andare avanti.
Il risveglio di ogni giorno e l’avanzare verso l’oscurità ridussero i lunghi giorni del secondo funerale. Gradualmente, stavamo venendo a patti con la perfezione che ci si aspettava da noi. Molte cose erano state riposte in me, perché ero il primo figlio maschio.
Mamma era una donna e perlopiù giovane. I suoi rituali funebri non sarebbero stati portati avanti a lungo per via del costo che avrebbero comportato. I giovani e le giovani donne della sua età che danzarono per il nostro villaggio non distrussero molte cose. Fecero attenzione perché sapevano quanto difficili si sarebbero rivelate le cose. Gli anziani non fecero una tale richiesta perché non volevano darci un peso economico. Quei giorni furono momenti piacevoli per i miei fratelli minori. Desiderarono che continuassero. Dopotutto, mamma non sarebbe più morta. La celebrazio...

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