Animale e uomo
Ejzenštejn fin da Sciopero (Stačka, 1924), mostrando il proletariato oppresso dalla polizia e dal potere del padrone, delinea la rivolta degli operai; analogamente in La corazzata Potëmkin, al marinaio ucciso dall’ufficiale durante l’insurrezione e alla folla massacrata dai cosacchi, il nostro autore oppone una scelta di lotta incessante e violenta. In La linea generale (General’naja linija, 1926-1929; modificato poi nel 1929 dai censori sovietici e uscito con il titolo Il vecchio e il nuovo) gli scontri per la collettivizzazione delle terre non escludono la tragedia, ma non ci si arrende alla sconfitta. In Ottobre (Ocktjabr’, 1927) e in ¡Que viva Mexico! il sacrificio dei rivoluzionari non porta allo scoraggiamento. Vale per questo autore ciò che Franco Fortini asserisce riguardo a Poesie e canzoni di Brecht:
La contemplazione della morte e del nulla non abbandona mai l’artista e la grandezza della sua poesia è proprio la suprema correzione di traiettoria che conferisce al proprio lavoro, riuscendo a dirigerlo verso l’oggetto, gli altri, l’avvenire, senza però coprire la cavità buia dell’esistenza.1
Fra i molteplici e complessi modi di contrasto con cui Ejzenštejn visse la sua esperienza, si può notare la compresenza e il conflitto di due poli essenziali – la vita e la morte – che contribuiscono a dare «unità organica e pathos» a tutti i suoi film. Entro le varie situazioni della sua attività e della sua ispirazione, in modo dialettico, la vita è sentita come progresso o come morte se si identifica con forze a esso ostili. La morte, a sua volta,è sentita come vita quando si identifica col sacrificio dell’individuo e della collettività, per modificare l’insostenibile condizione socioeconomica e spirituale dell’uomo.
A questi poli centrali di vita e morte, costruzione e distruzione, corrispondono contrasti sociali, psicologici, naturali, quali, ad esempio, rivoluzione e reazione, progresso e regresso, eticità e corruzione, finzione e realtà, maschile e femminile, conscio e inconscio, visione laica e visione religiosa, umanità e disumanità, natura feconda e generosa, arida e ostile. Compaiono ancora quelli tra mondo minerale, vegetale e umano, arte e natura, realtà animata e inanimata, immobilità e movimento, unità e separazione, caldo/freddo, suono/silenzio, luce/buio, e altri tecnico-stilistici quali montaggio delle attrazioni, cinema intellettuale, muto/sonoro, bianco/nero e colore, che si sviluppano all’infinito2.
Ejzenštejn struttura i suoi film su un’unità binaria, variata nei suoi contrasti, come asserisce nel finale del saggio Dickens, Griffith e noi, in cui parla della legge di «unità e diversità»3 che, base di tutto il suo pensiero, pervade completamente il metodo del montaggio. L’autore afferma:
La dialettica delle opere d’arte è costruita su una curiosissima «unità dualistica».L’opera d’arte colpisce proprio perché si svolge in essa un processo dualistico: un’impetuosa ascesa progressiva lungo le linee dei più elevati livelli espliciti di coscienza e la penetrazione simultanea, per mezzo della forma, negli strati del più profondo pensiero sensoriale. La separazione antitetica di queste due linee di movimento crea quella notevole tensione unitaria di forma e contenuto che è caratteristica delle vere opere d’arte. Senza di essa non esiste vera arte.4
È significativa l’osservazione che Sergej fa sui discorsi di Lenin circa la loro struttura centrale, relativa ai modi di opposizione: «Nella testa dell’ascoltatore si insedia stabilmente il senso fondamentale della sostanza del problema, e intorno a questa idea principale si distribuiscono in modo coerente e persuasivo i concetti relativi ai diversi lati dell’oggetto, colto nella sua origine e nel suo sviluppo»5. La concezione creativa del regista rinvia alla dichiarazione di William Hogarth: «L’arte di comporre bene non è altro che l’arte di variare bene»6.
Il ciclo epico sulla rivoluzione
In Sciopero, l’improvviso suicidio per protesta dell’operaio Yacov Strongen, diviene viva spinta per i suoi compagni alla realizzazione dello sciopero. Il tono umano degli operai che si radunano segretamente nelle fabbriche o in aperta campagna, si contrappone a quello disumano della Canaglia al Cimitero delle Bigonce, dove i criminali conducono la loro esistenza nascosti nelle fosse dei suburbi della città. Essi sorgono dal sottosuolo, come sepolti e vivi, agenti segreti asserviti alla polizia per creare quel caos e quella violenza che verranno attribuiti agli operai. Le immagini della famiglia proletaria affamata e quelle dei giochi di bambini, animate da «un calore lirico»7, sono contrapposte a quelle fredde e lugubri degli ingordi azionisti, raccolti nelle loro sale liberty.
Esemplare è il modo con cui sono presentate le spie:
L’elenco degli sbirri – osserva Viktor Šklovskij – è corredato da fotografie inserite in grossi fogli d’album. Così era uso nelle famiglie borghesi. Allora le fotografie non venivano incollate, ma sistemate su fogli di cartone e infilate entro apposite fessure. Mentre i gendarmi esaminano l’album, le fotografie si trasformano in uomini vivi che camminano e salutano.8
Nell’ambito della satira distruttiva e rivoluzionaria, gli emissari del potere prendono vita contro il mondo borghese, in un passaggio che va dalla finzione alla realtà, dall’immobilità al movimento. Ejzenštejn sottolinea l’eredità drammaturgica, etica ed estetica del suo film:
L’attrazione […] è ogni momento aggressivo del teatro, cioè ogni suo elemento che sottoponga lo spettatore a un’azione sensoria o psicologica, sperimentalmente verificata e matematicamente calcolata per ottenere determinate scosse emotive del percepiente, scosse che a loro volta costituiscono, tutt’insieme, la sola condizione della possibilità di percepire il momento ideale dello spettacolo, la finale conclusione ideologica.9
Si deve fare attenzione alle lugubri situazioni del tipo di teatro che egli cita, le quali confermano la persistenza del thanatos, sempre presente nella sua ispirazione:
Momento sensorio e psicologico, naturalmente, nell’accezione di realtà immediata, come si ha nel Grand Guignol: occhi cavati e mani e gambe amputate sulla scena; oppure l’attore che per telefono compartecipa a un avvenimento orribile che si sta svolgendo a decine di chilometri di distanza; oppure la situazione di un ubriaco che sente l’avvicinarsi di una catastrofe e le cui implorazioni di aiuto vengono prese per un vaneggiamento.10
Il regista continua:
La novità rivoluzionaria di Sciopero non consiste assolutamente nel fatto che il suo contenuto – il movimento rivoluzionario – sia stato storicamente un fenomeno di massa, e non individuale (da questo – dicono – deriverebbe la mancanza di intreccio, di protagonista e di tutto ciò che fa di Sciopero il «primo film proletario»), ma sta invece nel fatto che il film propone un procedimento formale ben impostato per affrontare la scoperta di un’immensa quantità di materiale storico-rivoluzionario nel suo insieme.11 […]
Così come noi la concepiamo, l’opera d’arte (per lo meno entro i limiti dei due generi nei quali lavoro io, il teatro e il cinema) è innanzi tutto un trattore, che ara a fondo la psiche dello spettatore, in una data direzione classista.12
L’immagine feconda ed energetica del «trattore che ara a fondo la psiche di chi assiste allo spettacolo» chiarisce lo scopo del procedimento stilistico e contenutistico di Ejzenštejn, teso a fondare un’arte che prepari l’area costruttiva del pensiero rivoluzionario nel pubblico13.
In La corazzata Potëmkin, nella sequenza della scalinata di Odessa, acquistano rilievo l’ignara festosità della folla che acclama la nave e il sinistro procedere dei cosacchi portatori di dolore e gli «stupidi, ottusi, prepotenti stivali che avanzano a comando e calpestano volti umani»14. Fu proprio la scalinata, con il suo movimento, a suggerire l’idea della scena – avverte il regista – dove, per «movimento», secondo il nostro leitmotiv di poetica, si deve intendere il senso di vita che rimanda a quello di morte. Egli precisa così la sua intuizione: «La corsa della folla in preda al panico giù per i gradini» sembrerebbe soltanto «una materializzazione dei sentimenti provocati da quella vista»15.
Odessa raggiunge un pathos profondo, per la riuscita dinamizzazione di unità e diversità, in cui, mediante i contrasti e il salto qualitativo, il tema centrale vita-morte si snoda in modo antinaturalistico. A tal proposito è probante questo passo «cinematografico» di Ejzenštejn:
La scalinata di Odessa. Vediamo secondo quale ordinamento strutturale vi sono rappresentati e concatenati gli avvenimenti. Diamo innanzitutto per scontato lo stato di agitazione frenetica dei personaggi e delle masse, e cerchiamo di rintracciare quel che ci serve a partire dai segni della struttura e della composizione. Soffermiamoci, in particolare, sulla linea del movimento.
Prima c’è un caotico affollarsi di figure in primo piano. Poi, figure che corrono, caoticamente, in campo lungo.
Quindi il caos del movimento si trasforma nella cadenza martellante dei piedi dei soldati che scendono ritmicamente lungo la scala.
La cadenza si fa più ...