Pio X
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Pio X

Alle origini del cattolicesimo contemporaneo

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Pio X

Alle origini del cattolicesimo contemporaneo

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Un conservatore o un riformatore? Un reazionario o un rivoluzionario? Attorno a Pio X (1903-1914), il papa che governò la Chiesa proprio all'esordio del secolo breve e morì pochi giorni dopo lo scoppio della Grande Guerra, continua a intrecciarsi un complesso nodo interpretativo, che dal passato si prolunga fino al presente, coinvolgendo storici, uomini di cultura ed ecclesiastici. Pio X fu infatti il pontefice che isolò il cattolicesimo dalla cultura moderna condannando il modernismo. Ma fu anche il papa che lo reinserì nel nostro tempo liberandolo dall'abbraccio mortale delle grandi potenze (con la soppressione del diritto di veto), che riformò radicalmente la Curia romana ridimensionando il ruolo della Segreteria di Stato, che blindò la Chiesa dentro un poderoso apparato giuridico (il Codex iuris canonici), preparandola al confronto con i regimi totalitari, che tenne il Vaticano lontano dalla politica internazionale e attenuò lo scontro con l'Italia originato dalla presa di Roma. E dunque: un nostalgico del passato o un anticipatore del futuro? Con questo lungo viaggio nella sua vita, dalle origini oscure nella campagna veneta fino ai fasti della corte romana, Gianpaolo Romanato risponde a tale domanda. Ma questo libro è qualcosa di più di un libro di storia. È una straordinaria biografia.Ripercorrendo, infatti, le strade impastate di fango, sudore e sofferenza che quest'uomo aveva percorso, Romanato riesce a dimostrare che anche la vita di un papa può essere varia, istruttiva, affascinante, che i pontefici non «vivono da papi», come vorrebbe il detto popolare, ma che la loro vita è dura come quella di ciascuno di noi.

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Information

Il Papa

La scelta di Merry del Val e i primi contrasti

Caro don Giovanni, prevedendo quasi impossibile il ritorno per oggi otto, ti avverto che sono protratte a tempo da determinarsi le Conferenze Episcopali, e quindi puoi cessare da qualunque preparativo, e provvedere tranquillamente alla tua salute. Se andrai in patriarcato porta alle mie sorelle i saluti assicurandole che stiamo bene. Riverisci tutti al seminario e raccomandandomi alla vostra preghiera con affetto mi confermo.663
Questa lettera di Sarto al vicedirettore del seminario di Venezia è datata: «Vaticano, 3 agosto 1903». Fu scritta in conclave, il giorno precedente l’elezione, e, anche se non è indicata l’ora, va collocata certamente in un momento successivo a quello in cui, cedendo alle pressioni dei cardinali, si dichiarò disponibile ad accettare il papato664. Il tono pacato, la precisione dei riferimenti, l’attenzione per i parenti e per i sacerdoti del seminario, in un frangente in cui aveva ormai la certezza che di lì a poche ore sarebbe diventato sommo pontefice, rivelano il non comune equilibrio interiore di cui era dotato.
Eppure la sua ascesa al vertice supremo della gerarchia cattolica era maturata direttamente in conclave, nel giro di due giorni, attraverso un succedersi di circostanze e valutazioni che avevano capovolto ogni previsione e spiazzato gran parte dei cardinali, a partire naturalmente dal prescelto. Sotto tutti i punti di vista egli era un «uomo nuovo», sul quale si appuntavano vive speranze e anche cocenti delusioni. Tutto ciò ne accentuava la solitudine, l’isolamento. Un isolamento di cui dovette avere un’immediata percezione quando, secondo la tradizione, dopo che ebbe pronunciato la parola accepto, tutti i baldacchini dei cardinali si abbassarono. Tutti, tranne il suo. In quel momento egli non poteva sapere che cosa pensassero i porporati. Ma, da buon conoscitore dell’animo umano, non ignorava che fra gli stessi sessantadue grandi elettori, che pure l’avevano portato alla tiara quasi obbedendo a un’invisibile guida della Provvidenza, si celavano insormontabili avversioni nei suoi confronti. In fondo undici cardinali gli avevano negato fino all’ultimo il loro voto665 e addirittura il camerlengo e decano, Luigi Oreglia (1828-1913), l’ultimo cardinale di Pio IX ancora in vita, non era riuscito a nascondere la sua delusione per l’esito del conclave666.
L’obiezione che mosse al cardinale Ferrari, nei ripetuti colloqui durante i quali questi cercò di convincerlo ad accettare l’elezione, non solo conferma che seppe sempre conservare lucidità e freddezza, ma ci dice anche che non coltivava illusioni sul mondo curiale, che quest’ambiente lo conosceva bene, in tutti i suoi aspetti – soprattutto in quelli negativi – molto più di quanto ne fosse conosciuto. Ferrari annotò infatti nel suo diario la seguente risposta del Sarto: «Ma io avrò i primi nemici fra i più vicini; quelli stessi che mi portano li conosco bene […]. Il card. Camerlengo [allude al card. Oreglia, cui aveva chiesto la parola dopo il terzo scrutinio per dissuadere i porporati dal votarlo] oggi accolse con trasporto la mia domanda di parlare in conclave; e sì che gli avevo manifestato il senso delle mie parole»667.
D’altronde il lungo pontificato di Leone XIII e il lento inevitabile indebolimento fisico, avevano finito per caricare la curia e l’entourage papale di una mole sempre maggiore di responsabilità. Di responsabilità, ma anche di potere. A torto o a ragione Rampolla era rimasto vittima della voce che lo indicava come il vero manovratore del pontificato. Da Pio X tutti si attendevano perciò grandi cambiamenti, ma i cambiamenti non possono avvenire con l’appoggio di coloro i quali prevedono di doverne subire i danni. Di qui le diffidenze, particolarmente fra i curiali, che, al pari degli entusiasmi, si appuntarono subito sul neoeletto.
Sentimenti ugualmente contrastanti erano diffusi nell’opinione pubblica cattolica. Un’evidente delusione si coglie negli ambienti cattolici progressisti. Basti per tutti il commento di Fogazzaro, l’intellettuale allora più noto: «Io ho sperato in un papa che innalzasse il livello intellettuale della gerarchia ecclesiastica e avesse il senso dello spirito moderno». E invece, aggiunge deluso, «siamo proprio agli antipodi»668.
Le perplessità non mancano neppure fra i vescovi, sussurrate più o meno a bassa voce. L’espressione con cui il vescovo di Piacenza G. B. Scalabrini, in una lettera a Bonomelli, valuta l’elezione appena avvenuta – «Dio ce la mandi buona»669 – non trasuda precisamente entusiasmo. E Scalabrini non era fra i vescovi più lontani da Sarto. Addirittura lapidario il commento del barnabita Giovanni Semeria, che si trovava in Russia al momento dell’elezione ed espresse il suo parere in tutta libertà: «Un reazionario! siamo fritti»670.
Al di là, quindi, delle scontate manifestazioni di giubilo che esplosero in ogni parrocchia – a partire, naturalmente, da quella di Riese – tutti si chiedevano, con speranza o con timore, che direzione avrebbe preso il nuovo pontificato, che significato e quali contenuti avrebbe assunto la svolta religiosa per realizzare la quale Sarto era stato preferito al più esperto e smaliziato Rampolla.
Per quanto riguarda i problemi da risolvere, o quanto meno da affrontare, il nuovo papa non aveva che da scegliere. C’era il nodo dei rapporti con la Francia, dove la situazione evolveva in senso sempre più sfavorevole alla Chiesa. I tentativi d’accomodamento perseguiti da Leone XIII avevano dato frutti piuttosto esigui ed erano costati il papato al suo segretario di Stato. S’imponeva dunque un cambiamento. Ma in quale direzione? Spinosa stava tornando anche la Questione Romana. Non perché fossero in vista conflitti, bensì per la ragione opposta. Dentro e fuori della Chiesa era sempre più consistente la spinta per l’abrogazione del non expedit e per dare via libera alla partecipazione dei cattolici alla vita politica. Ma come conciliare quest’esigenza con la pregiudiziale pontificia legata ai fatti del 1870? E poi: come entrare in politica? Inquadrati in un unico partito, o in ordine sparso? Il primo dei problemi che si poneva al nuovo pontefice era costituito però dalla questione del veto. L’intromissione austriaca nel conclave, che si era risaputa urbi et orbi, era stata troppo brutale per non richiedere una risposta. E la risposta toccava proprio all’uomo che, volente o nolente, ne era stato il beneficiario.
C’erano inoltre i problemi della Chiesa, certamente più vicini alla sensibilità religiosa di Pio X. Diffusa e avvertita un po’ da tutti era l’esigenza di svecchiare e aggiornare l’organizzazione di governo, che formalmente era ancora quella del 1870, quando c’erano il potere civile e lo Stato temporale. Una serie di opuscoli pubblicati a Roma all’inizio del nuovo pontificato, alcuni incoraggiati dallo stesso Pio X, testimoniano, pur nello scontro di impostazioni diverse, come il desiderio di cambiamenti e di riforme fosse considerato ormai indilazionabile anche ai più alti livelli della stessa Curia romana671. Così come, pur non essendo ancora del tutto chiara la portata di quello che di lì a qualche anno verrà chiamato modernismo, era presente fin da allora la consapevolezza che qualcosa si veniva modificando non solo nel rapporto con la modernità ma addirittura nel modo di credere dei fedeli, nella struttura dell’atto di fede dei cattolici. Già nella lettera pastorale scritta a Mantova il 7 febbraio 1887 Sarto aveva manifestato serie preoccupazioni al riguardo, mentre da una precisa testimonianza risulta che, quand’era a Venezia, si era procurato le opere di Alfred Loisy, che erano all’origine del modernismo, «riprovandone fortemente le affermazioni contrarie all’integrità della fede»672.
Nel momento in cui assunse la tiara Pio X era insomma tutt’altro che ignaro dei compiti che lo aspettavano, sia dentro sia fuori della Chiesa, delle speranze ma anche delle paure con cui si attendevano le sue decisioni.
L’apologetica tradizionale, insistendo soprattutto sulla bontà, la mitezza, la carità del Sarto, ne ha veicolato un’immagine in cui le virtù morali finiscono per oscurare le capacità intellettuali. Quasi che la sua modestia potesse far meglio risaltare la soprannaturalità della Chiesa, mostrando come egli abbia saputo guidare la barca di Pietro non grazie alle doti di cui era fornito ma nonostante i limiti che lo impacciavano. Chi scrive è convinto che in questo modo si faccia torto non solo a Pio X ma anche alla Chiesa, che se ha fiducia nell’aiuto della divina Provvidenza, non per questo rinuncia a scegliere chi deve dirigerla fra i più dotati, piuttosto che fra i più modesti.
Tutta la documentazione che abbiamo finora accumulato dovrebbe provare che Giuseppe Sarto era tutt’altro che un povero parroco di campagna. Capacità di governo, conoscenza degli uomini, esperienza di Chiesa, padronanza dei problemi, sicurezza di cultura, seppure di stampo tradizionale (cultura vissuta, più che meditata in biblioteca), ne facevano senz’altro una delle figure più alte dell’episcopato del tempo, anche se poco noto presso il pubblico. Inoltre il decennio veneziano l’aveva costretto, forse suo malgrado, a contatti anche con gli ambienti mondani e aristocratici: ciò che ne aveva affinato il tratto esteriore, l’innata diplomazia, la facilità di rapporto e di reciprocità. Aveva incontrato più volte la famiglia reale, sempre lasciando un’ottima immagine di sé. Si diceva infatti che al Quirinale la sua elezione fosse stata accolta con sincera soddisfazione673.
Il Sarto che ascende al papato non è più, dunque, il rude e acerbo pretino che abbiamo seguito a Tómbolo e a Salzano, bensì un cardinale esperto e navigato, prudente ma anche deciso, sicuro nelle scelte da compiere. Il fatto che si trovasse a suo agio in ogni ambiente sociale, che trattasse con la stessa naturalezza i contadini di Riese o la nobiltà veneziana, senza umiliare i primi né sfigurare fra gli altri, aggiunge alla sua figura quel quid in più che gli permise di calarsi con immediatezza nel ruolo pontificio, senza difficoltà né apparenti sforzi di ambientamento.
Le virtù morali e cristiane che aveva coltivato fin da ragazzo – l’umiltà, la carità, il disinteresse personale e famigliare, la castità, l’abbandono in Dio – completano il quadro complessivo della sua figura, e spiegano perché la scelta del conclave sia caduta senza esitazione su di lui, ma non devono trarci in inganno relativamente all’equilibrio complessivo di questa singolarissima figura di pontefice, né devono indurci a credere che la santità gli oscurasse l’intelligenza. Non era solo un sant’uomo, era anche un sant’uomo, e l’aver mantenuto in equilibrio le diverse componenti della personalità – una «personalità senza sperperi» e con «un che di sovversivo», come è stata definita dal grafologo che ne ha esaminato la scrittura674 – impedendo che l’una o l’altra prendessero il sopravvento, adattandosi senza sforzo ai ruoli sempre più elevati e impegnativi ai quali fu chiamato, rappresenta una delle ragioni, e non la minore, dell’interesse che egli continua a suscitare.
Dopo l’elezione non concesse all’emozione che lo stretto indispensabile. Realmente smarrito non apparve mai. Già il 4 agosto, cioè il giorno in cui fu eletto, prese decisioni che lo mostrano perfettamente all’altezza della situazione, attento a ogni sfumatura. Scrive infatti al vicario generale di Venezia comunicandogli l’intenzione di conservare il governo dell’archidiocesi e concedendogli i poteri necessari all’ordinaria amministrazione675. Non aveva ancora alcuna idea riguardo alla propria successione, il che appare un’ulteriore conferma che era partito da Venezia prevedendo di ritornarvi. Solo nel marzo dell’anno successivo, infatti, fu designato il nuovo patriarca nella persona di uno dei parroci più esperti della città: mons. Aristide Cavallari.
Ma il problema più spinoso era quello della Curia. Anche qui Pio X prese fin dal primo giorno una decisione che si sarebbe rivelata decisiva per il futuro del pontificato. Merry del Val era stato il segretario del conclave e, eletto il papa, aveva concluso il proprio compito. La sera del 4 agosto andò ad accomiatarsi da Pio X e questi, invece, gli comunicò la decisione di trattenerlo come pro-segretario di Stato. Le sue parole, riferite da Merry, sarebbero state le seguenti: «Non ho deciso nulla ancora, non so che cosa farò. Per ora non ho nessuno. Rimanga con me come pro-segretario di Stato… poi vedremo»676. Ignoriamo quando il nuovo papa abbia preso tale decisione, e sulla base di quali considerazioni. Sapendo tuttavia quanto poco spazio lasciasse agli impulsi improvvisi, dobbiamo credere che la scelta, seppure interlocutoria e maturata necessariamente in fretta, sia stata ben ponderata. In ogni caso fu assai accorta.
Sulla funzione di segretario di Stato si appuntavano infatti molte aspirazioni. Con un papa poco esperto di meccanismi curiali e di cui probabilmente si sottovalutavano le capacità di comando, la Segreteria di Stato poteva diventare, come e forse più che col precedente pontefice, la vera cabina di guida della Chiesa. Sappiamo che prima ancora dell’elezione si era discusso del problema e sappiamo per certo, dalla precisa e attendibile testimonianza di un segretario di Pio X, che almeno due cardinali si autocandidarono al ruolo presso il papa: Antonio Agliardi e Domenico Ferrata677. Ma gli aspiranti erano molto più numerosi. Nominando pro-segretario Merry, un vescovo non ancora quarantenne, Pio X conseguiva molti obiettivi: congelava la carica senza ipotecare la nomina definitiva, metteva alla prova il candidato senza dargli la certezza del posto, congedava elegantemente i postulanti senza che nessuno perdesse del tutto le speranze. In altre parole prendeva tempo, stornando per il momento la morsa sgradevole delle pressioni.
D’altronde, per molte ragioni, Raffaele Merry del Val era un personaggio complementare al nuovo papa. Nobile, poliglotta, proveniva da una famiglia di antiche tradizioni e ben inserita nei circoli europei più esclusivi. Possedeva un’educazione cosmopolita e un’innata capacità di movimento a ogni livello sociale. La sua carriera, fino a quel momento, si era svolta tutta a Roma, ma ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Frontespizio
  4. Introduzione
  5. Tavola delle abbreviazioni
  6. Gli studi e la formazione
  7. Cappellano fra i sensali di Tómbolo
  8. In una parrocchia di campagna: Salzano
  9. In Curia a Treviso
  10. Mantova. Una diocesi alla deriva
  11. Patriarca nella città dei Dogi
  12. Il Papa
  13. Bibliografia e fonti
  14. Indice