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Chi ha paura di Cipollino?
Il 9 novembre 2019, a Mosca, nell’ambito del XVI Festival internazionale del teatro amatoriale «I giovani ai giovani», sarebbe dovuto andare in scena uno spettacolo liberamente tratto da Le avventure di Cipollino di Gianni Rodari. Un paio di giorni prima della rappresentazione, tuttavia, gli organizzatori del Festival (patrocinato dalla municipalità di Mosca) hanno comunicato al regista Aleksandr Tattari che lo spettacolo era stato annullato.
La notizia, rimbalzata su internet, ha provocato grande scalpore in Russia ed è stata variamente commentata in senso negativo: c’è chi ha parlato di censura e auto-censura, chi ha sostenuto che Putin fin da piccolo odiasse Cipollino…
Qual è stato il motivo di questa decisione? E, soprattutto, perché molti russi l’hanno ritenuta offensiva, laddove in Italia è stata quasi completamente ignorata?
La locandina reclamizzava la rappresentazione teatrale come un pamphlet satirico, mentre il titolo «giovanilistico», lungi dal richiamare il racconto di Rodari, rimandava da una parte a un lontano passato, dall’altra alla contemporaneità . Traducibile in italiano come «#Masticagalline #Mavoiresistete», racchiude negli hashtag due citazioni popolarissime.
La prima è estratta da un distico, improvvisato da Vladimir Majakovskij nel 1917 alla vigilia della Rivoluzione bolscevica e ripreso nel suo poema Lenin:
Mangia ananassi,
mastica galline,
si avvicina, borghese,
la tua fine.1
La seconda è attribuita al premier Dmitrij Medvedev. Nel maggio del 2016, recatosi in Crimea dopo la sua annessione alla Russia, fu avvicinato da un’anziana che si lamentava del misero ammontare della sua pensione, a fronte dei prezzi troppo alti dei generi di consumo. Medvedev le rispose che al momento non c’erano soldi, l’invitava a resistere e le augurava buonumore e salute. Da quel momento, l’espressione «Non ci sono soldi, ma voi resistete» si è diffusa alla velocità della luce in rete e non solo, diventando proverbiale, ovvero «virale».
All’interno della pièce teatrale erano stati inseriti altri rimandi alla contemporaneità (ad esempio, i giovanissimi attori indossavano gilet gialli e rossi, come i dimostranti francesi nelle manifestazioni anti-Macron del 2018-2019) e alcuni, evidentemente, erano stati interpretati come espressione di «propaganda antigovernativa».
Di questi, il più significativo evoca i numerosi sfratti in corso negli ultimi tempi a Mosca nell’ambito del grandioso «piano di rivalutazione urbanistica». Varato sulla base di una legge votata dal Parlamento russo nel giugno del 2017 e sponsorizzato dal sindaco di Mosca Sergej Sobjanin, prevede la demolizione e ricostruzione di oltre 4000 condomini, coinvolgendo più di un milione di persone. L’operazione è stata difesa dalle autorità che hanno sottolineato che le nuove abitazioni messe a disposizione dei vecchi inquilini saranno di gran lunga migliori: più grandi, più moderne e confortevoli. Gli oppositori, d’altro canto, sono contrari alla demolizione di edifici storici e al forzato trasferimento dei loro inquilini in quartieri periferici, in attesa della nuova sistemazione. Nello spettacolo, l’allusione è stata inserita all’interno della scena della confisca della casa al personaggio di sor Zucchina, con i giovani attori che scandiscono a voce alta le parole d’ordine «svalutazione, nazionalizzazione, esproprio, rinnovamento!».
Il regista e i suoi collaboratori hanno commentato amaramente la mancata messa in scena, sostenendo che non si erano posti alcuno scopo politico e che non era colpa loro se questo romanzo per bambini di Rodari è un’opera ancora così moderna e la sua attualità cresce di giorno in giorno.
In effetti, da un’indagine svolta nel novembre del 2019 tra i lettori del giornale politico-economico «Kommersant», un terzo degli intervistati ha ritenuto che Le avventure di Cipollino fosse la favola che più riflette la vita nella Russia odierna2. Ancor prima dell’annullamento della rappresentazione, d’altronde, circolava tra i russi una battuta, secondo cui questo libro sarebbe stato ben presto vietato e bruciato sulla pubblica piazza, perché l’autore aveva previsto con troppa precisione il futuro del loro paese.
Aggiungiamo che nel marzo del 2019, quando anche i giovani russi sono scesi in piazza nell’ambito delle manifestazioni per l’ambiente lanciate dal movimento «Fridays for Future», uno dei loro simboli, manco a dirlo, è stato Cipollino. Gli organizzatori diciassettenni hanno dichiarato: «Lo abbiamo scelto perché è piccolo, ma deve fare i conti con una realtà ostile»3.
C’è anche da dire che, nel confuso clima che si respira oggi in Russia, può capitare di imbattersi in opinioni di tutt’altro tenore sul creatore di Cipollino, come quella che segue (e su cui Rodari stesso avrebbe scritto, probabilmente, una storiella molto gustosa):
Poco tempo fa stavo leggendo a mio figlio Il viaggio della freccia azzurra. Leggo, leggo, leggo e comincia a formarsi nella mia testa un pensiero insistente. Non è che per caso questo Rodari era comunista? Continuo a leggere e mi convinco definitivamente che lo fosse. Vado a vedere su internet: pà ffete, era proprio un comunista! E infatti nella storia c’è una bambina che muore di freddo e di fame. In Italia, figuriamoci! Tutte balle. Probabilmente non leggerò più nulla di Rodari a mio figlio. Tutti i comunisti sono dei gran bugiardi.4
Da dove nasce questa grandissima popolarità dello scrittore italiano in terra russa? Perché, a sentire il suo nome, quasi tutti i russi (e gli abitanti delle repubbliche ex sovietiche) esclamano ancora oggi: «Il nostro caro Džanni Rodari!». Che cosa rappresentano, nell’immaginario degli abitanti della sterminata Federazione russa, Cipollino e gli altri personaggi dello straordinario «orto animato» inventato dal poeta di Omegna? E cosa rappresentavano in Unione Sovietica, nel Paese dei Soviet?
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Un Maestro fantastico
Ripercorriamo la biografia dell’autore di Cipollino (di cui, nel 2020, ricorrono sia il centenario della nascita che il quarantesimo anniversario della morte), con particolare riferimento ai suoi rapporti con l’Unione Sovietica1.
Giovanni Francesco Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna, sul Lago d’Orta, al confine tra Piemonte e Lombardia. Entrambi i genitori sono originari del Varesotto; il padre Giuseppe, vedovo, ha già un figlio quando sposa Maddalena Aricocchi, dalla cui unione nasceranno Gianni e Cesare. Nel 1930, alla prematura morte del marito, fornaio, la moglie fa ritorno a Gavirate, suo paese natale, con i figli. La situazione economica diventa, per la famiglia, abbastanza pesante. Un po’ per la volontà della madre, religiosissima, un po’ per risparmiare sugli studi, dopo le scuole elementari il piccolo Gianni viene iscritto al ginnasio del seminario di San Pietro Martire a Seveso (Milano). Insofferente alla disciplina che trova «umiliante», lo abbandona dopo due anni, prende da privatista il diploma di terza ginnasiale e passa a frequentare le scuole magistrali a Varese; nel 1937 si diploma maestro. Nel 1938, per sei mesi, lavora come istitutore presso una famiglia di ebrei tedeschi, in fuga dalla Germania: la promulgazione delle leggi razziali in Italia li obbliga ben presto a lasciare anche il nostro paese.
Appassionato di letteratura straniera (anche russa), il giovane Rodari segue per breve tempo i corsi della Facoltà di Lingue dell’Università Cattolica di Milano, che poi abbandona; dal 1939 inizia a insegnare nelle scuole elementari e nel 1941 vince il concorso da maestro.
Intanto era stato dichiarato rivedibile per la salute cagionevole e nel 1940, quando l’Italia entra in guerra, non viene richiamato alle armi; la cosa avviene invece nel 1943, da parte della Repubblica di Salò, e il giovane maestro viene mandato a prestare servizio nell’ospedale di Baggio, a Milano. Già militante dell’Azione Cattolica, si era avvicinato all’ideologia comunista nel 1938 dopo aver letto in biblioteca, tra gli altri, la vita di Lenin e Stalin, l’autobiografia di Trockij e la Storia della Rivoluzione russa di quest’ultimo. Tuttavia, nel 1941, per motivi economici accetta di lavorare alla Casa del Fascio:
In quegli anni conobbi la miseria in famiglia e la disoccupazione e se questo era uno stimolo potente alla formazione di un coscienza più decisa, era anche una pressione umiliante perché mi dessi da fare per cercare un posto. […] Era una vigliaccheria, ma non avevo vie d’uscita: un operaio avrebbe reagito in altro modo, io ero un intellettuale piccolo borghese di provincia e avevo i difetti di questa categoria.2
Traumatizzato dalla morte in guerra dei suoi più cari amici e dall’internamento del fratello in un lager tedesco, mentre si trova all’ospedale di Baggio egli prende contatti con la Resistenza: nel maggio 1944 getta l’uniforme, s’iscrive al Partito Comunista e vive alla macchia fino al 25 aprile 1945, militando nelle fila della 121a brigata d’assalto garibaldina Walter Marcobi.
Concluso il conflitto mondiale, diventa un funzionario del PCI e viene nominato redattore responsabile del settimanale «L’Ordine Nuovo», periodico della federazione comunista di Varese: negli anni precedenti aveva già collaborato con periodici cattolici, ma è ora che scopre la sua vocazione giornalistica. Nel 1947 lo chiamano a lavorare alla redazione milanese del quotidiano «l’Unità », prima come cronista, poi come inviato speciale e capocronista; nel 1949 inaugura la rubrica La domenica dei Piccoli, in cui comincia a scrivere per i bambini sotto lo pseudonimo di Lino Picco.
Che questo nome d’arte fosse un...