Leonard Cohen
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Leonard Cohen

Quasi come un blues

Roberto Caselli

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Leonard Cohen

Quasi come un blues

Roberto Caselli

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Un'esistenza spesa a scrivere. Scrivere per capire era l'imperativo categorico di Leonard Cohen: la scrittura come senso della vita, per la quale non ha esitato a sacrificare anche gli amori più intensi e passionali che con il loro intrigo lo conducevano inevitabilmente lontano dalla scrivania. Eppure l'amore l'ha vissuto: nell'età dell'oro a Idra con Marianne e più avanti con Suzanne, la madre dei suoi figli, e poi ancora con Dominique, Rebecca e Anjani, donne bellissime e innamorate che, né con la dolcezza, né con l'astuzia, sono riuscite a trattenerlo. La necessità di nuove esperienze amorose è sempre andata di pari passo con il bisogno di indagare la vita attraverso altre direzioni e punti di vista. Di trovare finalmente il bandolo che portasse alla comprensione. Ogni disillusione lo portava a rinforzare la convinzione che il vero amore non fosse terreno, ma l'attrazione della carne lo riportava a Boogie Street, metafora per rappresentare il mondo con tutte le sue tentazioni e frivolezze. Un'altalena che non ha mai smesso di oscillare, neppure in tarda età quando ha continuato a lottare pur di non darsi per vinto.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2021
ISBN
9788836006274
L’UOMO DALLA
VOCE D’ORO
Leonard è ormai un poeta affermato in patria, ma non è soddisfatto dei suoi guadagni. È così che pensa di convertirsi in songwriter, sulle orme dell’amato Dylan. Il Greenwich Village prima e il Chelsea Hotel poi saranno i luoghi magici che gli permetteranno di realizzare il suo primo cristallino capolavoro, intriso di poesia.
Dopo il discreto successo di The Favourite Game, le cui vendite vanno lentamente migliorando nel tempo, Beautiful Losers è atteso con un certo interesse, tanto che le prenotazioni si attestano in fretta intorno alle 3.000 copie, ma il contenuto davvero troppo particolare del libro e il passaparola poco entusiasmante non permettono di andare molto oltre. Cohen ha trovato a Idra la serenità e nuova motivazione per scrivere, ma la mancanza cronica di denaro comincia a pesare: nonostante le poche esigenze, deve sempre più spesso recarsi in Canada per arrotondare – con reading e apparizioni varie – la sua rendita annuale di 750 dollari, che deriva dal rinnovo della borsa di studio.
Nel gennaio del 1966, colpito dall’ascolto di album come Bringing It All Back Home e Highway 61 Revisited, comincia ad approfondire l’opera di Bob Dylan fino a rimanerne totalmente conquistato. Ne parla con toni appassionati agli amici, capisce che la musica è un veicolo formidabile per esprimersi anche dal punto di vista poetico e, in un impeto d’euforia, arriva ad affermare che anche lui si avvierà in quella direzione per diventare il “Dylan canadese”. Irving Layton, come al solito entusiasta di tutto quello che Leonard propone, prende la palla al balzo: il mese successivo, dopo che Dylan ha suonato alla Place des Artes di Montreal, annuncia pubblicamente che Cohen comincerà una nuova carriera di cantante.
Leonard è sempre stato un appassionato di musica e la possibilità di diventare musicista la sta considerando da tempo; la stessa Marianne Ihlen ricorda che, già nei primissimi anni Sessanta, lui sognava di potere ascoltare una delle sue canzoni da un juke-box. Non è un’ipotesi così peregrina, perché sa suonare piuttosto bene la chitarra ed è conscio che i suoi spettacoli improvvisati tra amici hanno sempre molto successo e non è raro che anche un pubblico estraneo si fermi ad ascoltarlo. Nel febbraio del 1966, a New York, fa le prove generali: nel corso di un reading al 92nd Street Y decide di chiudere la serata suonando The Stranger Song, non ancora nella versione finale che apparirà due anni dopo nel disco d’esordio, ma già strutturata e con un testo quasi definitivo. Interrogato su questa sua nuova possibilità di esibirsi, Cohen afferma che il cantare è, per lui, una normale estensione della voce cui ricorre da sempre e che non trova nessuna differenza tra poesia e canzone: anzi, tutta la sua scrittura, romanzi compresi, è sempre accompagnata dal suono di una chitarra. È noto a questo proposito come la stesura di Beautiful Losers sia stata il frutto di un difficile processo creativo, spesso sostenuto da anfetamine, ma anche dall’ascolto parossistico di The Genius Sings The Blues di Ray Charles, album che è stato la vera colonna sonora di quel lavoro.
Ormai si è convinto che l’approccio alla musica, non solo come accompagnamento delle sue poesie, sia un’evoluzione possibile e che debba essere la prossima tappa su cui lavorare. Tutti conoscono la passione di Leonard per il country, quindi nessuno si stupisce quando parte per Nashville con un pugno di canzoni autografe in tasca per cercare un produttore e registrarle. Sulla strada per la Music City, Cohen fa tappa a New York e qui il destino – o chi per esso – ne ferma temporaneamente la corsa perché gli fa incrociare il nuovo songwriting che si sta sviluppando nel Greenwich Village. L’impatto è talmente ammaliante che lo terrà prigioniero per quattro anni.
Per la verità il primo approccio è abbastanza sconvolgente, come ricorda lo stesso Leonard nella pellicola I’m Your Man, il film tributo di Lian Lunson girato in Australia nel gennaio del 2005 in occasione di un grande concerto per Cohen svoltosi nella Sidney Opera House: “Quando arrivai a New York pensavo di trovare una città molto simile a Montreal, perché anche in Canada avevamo bravi musicisti e poeti, ma mi resi subito conto che da noi le cose andavano diversamente. Per un artista americano il mercato era un soggetto imprescindibile, tutti i musicisti erano molto concentrati sul come apparire e sul come emergere, mentre in Canada erano più modesti. Certo anche da noi cercavano di farsi strada e di diventare qualcuno, ma non c’era l’ambizione di cambiare il mondo. A New York gli scrittori e i poeti avevano delle grandi ambizioni soprattutto personali, credevano fermamente che un giorno sarebbero diventati scrittori famosi, popstar o punti di riferimento per la cultura mondiale. Fu per questo che mi trasferii quasi subito in un ambiente meno parossistico come il Chelsea Hotel, un’oasi perfetta dove passava tutto il mondo underground, da Nico a Ginsberg, da Harry Smith a Janis Joplin”. A ogni modo, Cohen arriva a New York nell’autunno del 1966 completamente all’oscuro di quello che sta succedendo musicalmente: non sa che è in atto la riscoperta della tradizione folk-blues e che la canzone di protesta sta dilagando, tra gli interpreti più impegnati. Mentre lui si godeva il sole e il mare di Idra, personaggi come Bob Dylan, Phil Ochs, Dave Van Ronk, Joan Baez e Judy Collins avevano preso possesso della scena folk e qualcuno aveva già pensato a una rivoluzione rock attaccando la spina all’amplificatore. Il primo alloggio in cui si stabilisce è il Penn Terminal Hotel, ma si sposta quasi subito nel più modesto Henry Hudson Hotel dove, però, si trova circondato da prostitute ed eroinomani: così, quasi per istinto, finisce al Chelsea Hotel, un “luogo pieno di stile e possibilità” dove si rifugiano i giovani scrittori in cerca di fortuna e i musicisti che appartengono al giro della controcultura – insomma il luogo adatto per Leonard, dove impara “i primi rudimenti di vita sociale”.
Il Chelsea Hotel è un grande palazzo di 12 piani in mattoni rossi, con balconi in ferro battuto e finestre a bovindo, situato al 222 della 23a Ovest, proprio nella zona di Chelsea, a Manhattan. A caratterizzarlo c’è uno scalone centrale molto elegante, in ferro battuto, che mal si concilia con l’atmosfera un po’ decadente e vagamente trasandata dell’ambiente, che però mantiene ancora i segni dell’antico splendore con i suoi rivestimenti in marmo e gli ascensori che si intuisce siano stati sfarzosi ed efficienti.
CHELSEA HOTEL #2
L’INCONTRO CON JANIS JOPLIN
“Questa canzone la scrissi per una cantante americana che morì tempo fa e alloggiava solitamente al Chelsea Hotel”, scrive Cohen nel libretto che accompagna il suo primo live, a proposito di Chelsea Hotel #2. “La cominciai al bar di un ristorante polinesiano a Miami, nel 1971, e la finii ad Asmara in Etiopia, poco prima che il trono venisse rovesciato. Ron Cornelius mi aiutò con gli accordi rispetto alla prima versione”.
Oggi tutti sanno che quella cantante americana è Janis Joplin. È lo stesso Cohen a svelarlo, prima di cantare la canzone in un concerto. Se ne pente subito dopo perché gli sembra di averle mancato di rispetto e le chiede simbolicamente scusa: ma ormai è fatta, non si può tornare indietro. Il fatto che si conosca la seconda versione di questa canzone, presuppone, ovviamente, che ce ne sia stata una precedente che è poi servita da base per la stesura finale. In Rete esiste una documentazione di Chelsea Hotel #1, interpretata da Cohen il 20 aprile 1972 a Gerusalemme, eseguita con un ritmo leggermente più lento e un testo che si discosta per la lunghezza e alcune variazioni significative. Non ci sono ancora, per esempio, i celebri versi “I never once heard you say I need you, I don’t need you and all of that living around” (“Non ti ho mai sentita dire: ho bisogno di te, non ho bisogno di te e tutte quelle stupidaggini”).
L’incontro tra Cohen e Janis Joplin avviene nell’inverno del 1967, davanti all’ascensore del Chelsea Hotel. Leonard le chiede se stia aspettando qualcuno, Janis capisce che sta per essere abbordata e risponde che è in attesa di Kris Kristofferson, il songwriter per un certo periodo suo fidanzato, che le scriverà Me And Bobby McGee. Cohen in modo simpaticamente sfrontato le dice che è la sua giornata fortunata perché Kris Kristofferson è lui. Se la intendono immediatamente e salgono in camera. Nasce un flirt estemporaneo che Cohen racconta con insoliti particolari piccanti:
I remember you well in the Chelsea Hotel
You were talking so brave and so sweet
Giving me head on the unmade bed
While the limousines wait in the street
Ti ricordo bene al Chelsea Hotel
Parlavi con voce dolce e coraggiosa
Me lo succhiavi su un letto disfatto
Mentre le limousine aspettavano in strada.
L’amore consumato velocemente, oltre a essere quello che realmente successe, rappresenta anche la frenesia, la velocità con cui le rockstar vivono la loro vita e il successo. “Correvamo per il denaro e la carne”, dice Cohen nella seconda strofa, mettendo in evidenza i miraggi dell’essere umano odierno che corre per non pensare e “consuma” per non amare.
Tuttavia qualche...

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