La scienza del crimine
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La scienza del crimine

Quando la scienza risolve i casi

Riccardo Meggiato

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La scienza del crimine

Quando la scienza risolve i casi

Riccardo Meggiato

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Ti è mai capitato di leggere un romanzo thriller o di seguire una serie tv piena di polvere da sparo e sangue e chiederti "chi è stato?", "come è successo?", "come è riuscito a fare perdere le proprie tracce?". Questo libro svela a tutti, dai principianti ai più scaltri lettori di romanzi gialli, i segreti delle scienze forensi. Un viaggio che inizia con la scena del crimine più antica e famosa, la morte di Giulio Cesare, attraversa i più celebri e chiacchierati casi di cronaca – da Meredith Kercher a Yara Gambirasio, da Ted Bundy, uno dei serial killer più famosi della storia, all'omicidio Gucci – e le tecniche investigative che hanno portato alla loro soluzione attraverso l'analisi del DNA o le indagini tossicologiche. Scoprire l'identità di un assassino da un'impronta digitale o da una piccola goccia di sangue è solo un esempio di ciò che si può ottenere con le scienze forensi e questo libro ne è la prova tangibile.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2021
ISBN
9788836006502

1

LE ORIGINI DELLE SCIENZE FORENSI

Tutto ebbe inizio con ventitré pugnalate

Avvenne tutto il 15 marzo del 44 Avanti Cristo. In quel giorno si tenevano le “Idi di Marzo”, una festività legata a Marte, dio della guerra, da celebrarsi nel quindicesimo giorno del mese. Tre giorni dopo Gaio Giulio Cesare, Imperatore di Roma, avrebbe lasciato la città eterna per partecipare al conflitto contro Parti e Geti, e per questo fu invitato da Decimo Bruto a raggiungere il Senato per discutere di diverse faccende. Una volta giunto sul posto, mentre si stava sedendo attorniato da tutti i senatori, Lucio Tillio Cimbro gli si avvicinò con il pretesto di presentare una petizione per annullare l’esilio del fratello e gli strattonò la toga. Era il segnale: in pochi istanti si consumò il più celebre assassinio della storia. Publio Servilio Casca sferrò la prima pugnalata al collo dell’imperatore e a questa ne seguirono altre ventidue. Ventitré, infatti, furono le coltellate che sancirono la morte di Gaio Giulio Cesare. Solo una però, la seconda, fu quella mortale, poiché trapassò il petto della vittima, andando a recidere l’aorta.
15 MARZO 44 A.C: LA PRIMA ANALISI FORENSE DELLA STORIA.
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Morte di Giulio Cesare, Vicenzo Camuccini, 1806 circa.

Autopsia di una leggenda

Se oggi conosciamo i dettagli scientifici e la vera causa della morte di Giulio Cesare lo dobbiamo a un medico di nome Antistio. Rinomato per la sua bravura e i suoi metodi innovativi, fu scelto da Cesare in persona come suo medico personale e consigliere. Antistio poté ben poco per curare l’oscuro malessere di cui era afflitto l’imperatore, e che oggi i ricercatori riconducono a epilessia o a una lunga serie di ictus, ma la sua abilità divenne molto utile, in realtà, proprio quando Cesare spirò. Fu infatti il suo medico a essere incaricato di eseguire l’autopsia sul corpo, per lo meno da quel che riporta lo scrittore e biografo romano Svetonio. Nel suo De vita Caesarum, o Le vite dei Cesari, troviamo infatti:
Nec in tot vulneribus, ut Antistius medicus existimabat, letale ullum repertum est, nisi quod secundo loco in pectore acceperat.
Che, più o meno, può essere tradotto con:
E di tante ferite, secondo il referto di Antistio, nessuna fu mortale a eccezione di quella che aveva ricevuto per seconda in pieno petto.
L’apparizione di Antistio nelle cronache dell’epoca fu fugace e non si sa molto altro su questo medico, ma è a lui che dobbiamo uno dei primi esempi documentati di autopsia, che rientra a pieno titolo nel novero delle analisi forensi. Oggi potreste pensare che si tratti dopotutto di una pratica normale, con cui tutti, al cinema o nella realtà, ci siamo confrontati, ma nel primo secolo Avanti Cristo era tutt’altro che scontata. Pensate: il corpo di uno dei personaggi più importanti della storia dell’umanità veniva conferito a un medico che ne poteva disporre a piacimento, al fine di capire cosa ne avesse davvero causato la morte. Una blasfemia, considerando che allora, e per tanti secoli successivi, l’esame un cadavere era vietato della religione e poteva essere punito con la pena di morte. I greci, al solito, erano un caso a parte.
IL CORPO DI UNO DEI PERSONAGGI PIÙ IMPORTANTI DELLA STORIA DELL’UMANITÀ VENIVA CONFERITO A UN MEDICO CHE NE POTEVA DISPORRE A PIACIMENTO, AL FINE DI CAPIRE COSA NE AVESSE DAVVERO CAUSATO LA MORTE.
Nella Grecia Antica, infatti, non si facevano troppi problemi a esaminare cadaveri per nobili motivi di studio, tanto che risalirebbero a quell’epoca le prime testimonianze di autopsia. Quella di Alcmeone di Crotone è di certo la più famosa, anche se non del tutto verificata. Si sa con certezza che era solito sezionare animali viventi, ma è difficile affermare con certezza che esaminò anche esseri umani, e ancor più difficile è stabilire che lo fece per stabilirne le cause di morte. Ecco perché anche i lavori di Erofilo di Calcedone ed Erasistrato di Ceo, due medici e anatomisti di età alessandrina, non sono riconducibili al mondo delle analisi forensi. Benché si prodigassero nella vivisezione e nell’autopsia di animali morti, il loro interesse era lo studio dell’anatomia. Niente a che vedere, dunque, con indagini su corpi umani per capire cosa avesse portato alla loro morte. Ecco perché Antistio è riconosciuto come il padre della medicina forense. Che, in verità, rimane ben poco documentata fino alla fine del diciannovesimo secolo. Le cronache si accavallano e le notizie in proposito si fanno numerose, ma di sicuro uno dei primi, chiari, episodi di analisi forense di un cadavere riguarda il caso Burke e Hare.

Commercio di cadaveri

Dovete sapere che, in quel periodo, vi era grande richiesta di cadaveri per motivi di studio. Università e ospedali pagavano cifre consistenti di denaro pur di accaparrarsi corpi da analizzare ed Edimburgo, in particolare, era diventato uno dei principali centri europei nello studio dell’anatomia. Chiaro, dunque, che nella capitale scozzese si fosse creato un vero e proprio traffico di cadaveri, con la domanda che superava di gran lunga l’offerta. Va detto che, per fortuna, la fornitura di corpi era regolata da leggi severe. Dovevano appartenere a detenuti morti in prigione, orfani e trovatelli morti per cause naturali, vittime di suicidio. Tipologie di cadaveri non semplici da trovare e rivendere, tanto che si diffuse la pratica di profanare le tombe pur di soddisfare le richieste e raccogliere ingenti fortune. Chi si occupava di questo sporco lavoro entrava nel novero dei cosiddetti resurrection men. Sono certo che non avete bisogno di traduzione. William Burke e William Hare, due irlandesi, iniziarono questa attività illegale per caso.
Università e ospedali pagavano cifre consistenti di denaro pur di accaparrarsi corpi da analizzare ed Edimburgo, in particolare, era diventato uno dei principali centri europei nello studio dell’anatomia.
Il 29 novembre del 1827 un inquilino di Hare morì in casa per cause naturali (idropisia o edema) e i due, dopo essersi consultati, decisero di venderne il corpo a Robert Knox, scienziato dell’epoca molto interessato allo studio dell’anatomia. La trattativa andò a meraviglia e i due resurrection men intascarono più di sette sterline. Una fortuna, per l’epoca. Burke e Hare ci presero gusto. Un paio di mesi dopo un’altra inquilina di Hare si ammalò, così i due loschi soci in affari decisero di farla fuori e tornare da Knox con un nuovo corpo da vendergli. Burke e Hare iniziarono così una serie di omicidi allo scopo di arricchirsi, per lo meno fino a quando furono scoperti. Accadde quando assassinarono Margaret Docherty, facendosi però scoprire da altri inquilini di Hare, che chiamarono la polizia. Venne disposta un’analisi forense da parte di due medici, Robert Christison e William Newbigging, da cui emerse che la poveretta era stata soffocata, sebbene non fosse possibile confermarlo con certezza. Così si dovette ottenere la confessione di Hare, in cambio dell’immunità da ogni accusa, per mettere fine alle indagini e accusare Burke come unico autore del misfatto. William Burke fu condannato a morte per impiccagione: l’esecuzione avvenne il 28 gennaio 1829 e, dopo la morte, il suo corpo venne donato alla scienza. Lo scheletro, ancora oggi, è conservato e visibile al museo di anatomia dell’Edinburgh Medical School.
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WILLIAM HARE
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WILLIAM BURKE
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L’esecuzione pubblica di William Burke.
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Lo scheletro di William Burke alla Edinburgh Medical School.

I London Burkers

L’analisi forense, nel caso Burke e Hare, diede una svolta preziosa, ma non decisiva, alle indagini. Un ruolo più marcato lo ebbe un paio di anni dopo. La richiesta di corpi da studiare si era fatta ancora più incessante, da parte di università e ospedali. Il King’s College di Londra era uno degli istituti più interessati, tanto che vi si recavano numerosi individui specializzati proprio nel traffico di corpi privi di vita. Alcuni, addirittura, si mettevano in società e una di queste passò alla storia come i “London Burkers”, nome derivato proprio da William Burker e la sua vicenda. Si trattava di un gruppo capeggiato da John Bishop, insieme a un portiere di Covent Garden, Michael Shields; un macellaio disoccupato, James May; e tale Thomas Williams. I quattro erano specializzati proprio nel recuperare cadaveri al fine di venderli sia al King’s College, sia ad alcuni ospedali come il St. Thomas e il St. Bartholomew.
IL KING’S COLLEGE DI LONDRA ERA UNO DEGLI ISTITUTI PIÙ INTERESSATI, TANTO CHE VI SI RECAVANO NUMEROSI INDIVIDUI SPECIALIZZATI PROPRIO NEL TRAFFICO DI CORPI PRIVI DI VITA.
Gli affari dei London Burkers andavano a gonfie vele, fino a quando, il 5 novembre del 1831, Bishop e May portarono all’università un sacco contenente il cadavere di un ragazzo di quattordici anni. Il corpo era già stato offerto, senza successo, al Guy’s Hospital de...

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