Ignazio(1799-1868) e Ottaviano(1802-1884)Pacini. La soppressione della Magona e l’allivellazione della filiera.
Ignazio e Ottaviano rimasero orfani del padre Vincenzo quando erano ancora in tenera età. La stessa sorte era toccata a Vincenzo, che aveva perso il padre Jacopo quando aveva appena quattro anni. Ci pensò la madre Lucinda Fedi a cresce i due fratellini, e a curare con avvedutezza gli interessi della famiglia. Era vedova da poco quando, essendo stata messa in vendita una “presa di terra” confinante con la filiera, si affrettò a comprarla per i “figli pupilli”, come risulta da un contratto stipulato in data 10 novembre 1802.
Da un’indagine del 1804 risulta che nel Regno d’Etruria erano in attività 33 impianti della Magona, e precisamente tre forni fusori in Maremma (Valpiana, Accesa e Cecina), sedici ferriere (di cui cinque in Maremma e sei nel Pistoiese), dieci distendini (di cui quattro nel Pistoiese), una fabbrica di badili a Piteccio, una di rami a Candeglia, una di chiodi a Pistoia e una filiera a Capostrada. L’insieme delle lavorazioni dava occupazione a 1416 dipendenti, per oltre la metà dediti esclusivamente al taglio dei boschi e alla produzione di carbone. Circa un terzo delle uscite totali della Magona era rappresentato dal costo delle 100.000 some (=circa 1350 t) di carbone necessario per il funzionamento dei 33 impianti di cui sopra.
La filiera di Capostrada, di proprietà della famiglia Pacini, impiegava 36 addetti. Nel territorio granducale, oltre agli impianti della Magona, a conduzione statale, erano attive una ventina di manifatture private, di modeste dimensioni e di limitate capacità produttive, che dipendevano, per l’approvvigionamento della materia prima, la ghisa, dall’azienda pubblica.
Ma la fine delle guerre napoleoniche e del blocco continentale (nei riguardi delle navi provenienti dalla Gran Bretagna) aveva fatto affluire in Toscana ferri di vari tipi importati dai vari paesi fabbricanti del Nord: Svezia, Inghilterra e anche Russia a prezzi assai più bassi di quelli di produzione locale, e di qualità superiore. Ciò aveva fatto sì che nei fondaci magonali si venissero accumulando grossi depositi di prodotti invenduti. Di conseguenza fu proibito di introdurre ferri forestieri nel territorio del Granducato.
Intorno al 1825, data alla quale si presume che i fratelli Ignazio e Ottaviano avessero preso saldamente in mano le redini della filiera, erano apparsi segni evidenti che per la fabbrica si stavano profilando tempi critici, tanto dal punto di vista tecnico-produttivo, che da quello economico.
Osservavano i fratelli Pacini in una loro lettera indirizzata il 20 giugno 1836 al Ministro Baldasseroni che i motivi del «languore della filiera magonale» erano a loro avviso attribuibili «alla maggior perfezione dei ferri esteri, ai quali era stato consentito l’ingresso… e alla comparsa di una seconda filiera» (nella stessa zona era sorta una filiera privata più modernamente concepita ad opera dei Vivarelli-Colonna).
Il contrabbando di ferri stranieri, favorito dalle dimensioni più maneggevoli del filo di ferro, fu oggetto di più di una denuncia e di sollecitazioni ufficiali alle autorità di polizia, in specie a Pisa e a Livorno.
Ma il motivo dell’incombente crisi era l’ormai raggiunta obsolescenza degli impianti, e soprattutto l’impossibilità di ridurre l’alto costo della manodopera che la Magona si era impegnata a remunerare. I lavoranti della filiera di Capostrada, in numero di 36, a differenza di tutti gli altri addetti alle fabbricazioni della Magona, che venivano pagati in proporzione del lavoro, ricevevano una provvisione fissa di lire 50, fossero o no occupati. Il salario medio mensile che essi per ricevevano oscillava tra le 42 lire «per i più pratici e anziani», e le 30 lire, oltre una piccola gratificazione concessa dalla Magona alla fine di ogni anno. Oltre al salario spettava loro anche un sussidio dotale per le figlie che si sposavano tra le 50 e le 100 lire. Il salario, oltre che fisso, era anche riconosciuto come esigibile vita natural durante, e ciò metteva l’Amministrazione nella pratica impossibilità di operare per lo meno un ringiovanimento della manodopera.. E nel 1825 la Direzione della filiera segnalò all’attenzione della Regia Segreteria di Finanza del Governo di Toscana che «da qualche tempo nel servizio delle fabbricazioni dei fili di ferro osservasi una lentezza inusitata … perché i lavoranti più in là negli anni…. non potendo uniformarsi all’orario prescritto, né seguire la corrente di fabbricazione alle tenaglie per il numero di fili di ferro a loro assegnati, vengono a restare indietro nei numeri stessi e a far rallentare anche gli altri… » .
Nel decennio compreso tra il 1816 e il 1826 la produzione di fili di ferro, destinata nella quasi totalità al mercato interno, era stata nei primi anni abbastanza soddisfacente, raggiungendo una punta massima di 285.000 libbre nel 1825-26, ma poi aveva registrato un lento declino (192.000 libbre nel 1827-28). Nell’esercizio 1829-30 la produzione di fili di ferro subì un crollo così vistoso fino a rasentare quota zero. La spiegazione sta nel fatto che in quell’anno fu introdotta nella filiera una «tromba idroeolica», un dispositivo che produceva un vento dieci volte più veloce rispetto alle macchine soffianti usate abitualmente (per la relativa descrizione si rinvia al paragrafo La forza dell’acqua). Le operazioni di montaggio, e le relative prove, dovettero essere piuttosto tormentate, se ridussero così vistosamente la produzione di quell’anno, mentre i 36 lavoranti, impegnati o no, erano in diritto di vedersi corrisposto il salario.
Se i dirigenti magonali decisero di fare un investimento del genere, è segno che guardavano ancora con attenzione verso queste lavorazioni pur secondarie ed economicamente poco rilevanti. Ma avrebbe dovuto essere evidente che il futuro di quello stabilimento era incerto, a causa della bassa produttività della manodopera, che manteneva elevati i costi di produzione ed impediva quindi un abbassamento dei costi di vendita.
Un altro motivo per cui la localizzazione degli impianti di lavorazione della ghisa nel Pistoiese non appariva più così conveniente risiedeva nel fatto che la riduzione dei consumi di combustibile per unità di ferro prodotta stava erodendo il principale motivo di convenienza della localizzazione nella Montagna pistoiese.
Al «languore» della manifattura del ferro nel Pistoiese, nel periodo 1816-1826, fece riscontro un forte incremento delle vendite dei minerali dell’Elba, di ottima qualità e disponibile in grandi quantità, nonché della produzione di ghisa dei forni maremmani.
Nei dirigenti magonali si venne facendo strada la convinzione che sarebbe stato più logico procedere a una drastica redistribuzione territoriale degli impianti, concentrando le attività siderurgiche sul litorale maremmano, e quindi una separazione degli impianti maremmani da quelli pistoiesi.
Nel 1835 si arrivò alla decisione di riservare all’amministrazione diretta dello Stato le attività di estrazione dei minerali di ferro e della produzione di ghisa negli altiforni, per le quali era possibile ipotizzare un tranquillo futuro. Diverso era il caso per le successive fasi di affinazione della ghisa e della lavorazione del ferro, i cui impianti nel Pistoiese apparivano destinati a un inevitabile declino.
Proprio dalla sostanziale diversità di prospettive maturò, dopo due anni di discussioni, la decisione definitiva sull’assetto della siderurgia pubblica.
Con legge del 3 novembre 1835 venne sancita la soppressione dell’Azienda statale della Magona e la separazione degli impianti maremmani da quelli pistoiesi. Alla gestione statale dei primi avrebbe provveduto un’ Imperiale Regia Amministrazione delle Miniere di Rio e delle Fonderie di Ferro , appositamente istituita, con sede a Follonica. Gli edifici del Pistoiese e della Versilia invece avrebbero dovuto essere allivellati (affittati) a privati.
Il Bando del Motu proprio per le allivellazioni fu pubblicato nella Gazzetta di Firenze il 16 aprile 1836. Nel bando, tra gli edifici e le ferriere da cedere in affitto, era elencato lo «stabilimento della Filiera in luogo detto Capo di Strada alla distanza di un miglio e un quarto dalla città di Pistoia, con i suoi meccanismi, casa di abitazione ed annessi, secondo la relativa descrizione». Canone annuo lire 834. Scadenza per la presentazione delle offerte: 20 giugno 1836.
L’operazione per affrancare il livello (dare la disdetta al contratto di affitto, diremmo oggi) da parte dell’Amministrazione e per il nuovo livello assunto dai fratelli Pacini fu proposta dal Ministro Baldasseroni, delegato allo Scioglimento dell’Amministrazione della Magona, con una lettera al Granduca del 7 luglio 1836, e da questi accettata in pari data.
Pochi giorni dopo il Ministro Baldasseroni comunicava ai Fratelli Pacini che «con venerabilissimo rescritto delli 8 luglio corrente, Sua Altezza Imperiale Regia nostro Signore, accogliendo le istanze dalle Signorie Loro avanzate si è degnata di approvare» : che a titolo di prezzo di affrancazione di dominio diretto loro spettante sopra li stabili componenti la Filiera Magonale di Capo di Strada, come per tutti quei diritti che loro appartener potessero sulli edifizi medesimi, venga corrisposto dalla Cassa della R.Magona la somma di lire diecimila. E che contemporaneamente a tale affrancazione precedasi a dar loro a livello li stabili predetti con tutti i rispettivi annessi e pertinenze per l’annuo canone di L. 2715, con tutti i patti e condizioni contenute nel Quaderno d’oneri del 12 aprile ultimo scorso e con l’espressa dichiarazione che, fermo restante ed in aumento di contenuto nell’articolo XVII di quaderno ridetto inducente nel livellare il divieto di cambiare destinazione ai rispettivi edifizi senza l’assenso di Domino diretto, Elleno assumer debbono l’obbligo di non portare variazioni sensibili ed immediate alle manifatture della Filiera e divenendo necessario nel loro interesse l’indursi sostanziali cambiamenti, prendano l’impegno che ciò segua gradatamente e con tal sistema che non possa portare una grave perturbazione nella generalità delle famiglie che vi trovano il loro sostentamento. Comunicando Loro questa sovrana disposizione, Le invito a porsi in grado di divenire sollecitamente alla stipulazione di relativo contratto, al quale potrà succedere a suo tempo l’atto di consegna delle rimanenti masserizie manuali, e corrispondente obbligazione cautelare nel modo stabilito dal Quaderno d’onere. Al quale effetto occorrerà che trasmettano al Regio Procuratore Sig. Carlo Redi le carte necessarie per giustificare l’idoneità e libertà dei fondi che intendono obbligare a garanzia delle 4 annate di canone, come ogni altro documento che esser possa opportuno a comprovare che elleno abbiano esclusivamente titolo a ritirare il prezzo dell’affrancazione».
In una postilla si specifica, ipotecando il futuro, che «la filiera dovrà sempre esistere e andare».
Segue un atto del 4 novembre che specifica modalità e scadenze di pagamento delle spese a carico dei Fratelli Pacini: Per il presente atto benché privato da valere in ogni miglior modo di ragione apparisca qualmente l’Ill.mo Sig.Cav. Giovanni Baldasseroni Soprintendente Generale al Regio Uffizio di Revisionie Sindacati, in questa parte come specialmente delegato per Real Motu proprio del 3 nov. 1835 allo scioglimento dell’Amm.ne Magonale e i sigg. Ottaviano e Ignazio Pacini, impiegati regi e possidenti, domiciliati a Capo di Strada, Comunità di Porta al Borgo, ed essi come livellari dello Stabilimento della Filiera a Capo di Strada, loro concesso dalla Real Magona a forma del contratto del 30 agosto prossimo passato, rogato dal Regio Procuratore e Notaio dott. Carlo Redi e registrato a Firenze nello stesso giorno hanno dichiarato e dichiarano che in adempimento delle convenzioni contenute negli articoli vigesimo e vigesimo quinto di detto contratto con la quale fu stipulato doversi da detta Real Magona ai nominati fratelli Pacini una quantità di mobili, mercanzie, generi ed articoli manufatturati per un capitale approssimativo in tutto di lire 23.614, da valutarsi sul ragguaglio effettivo del loro costo alla Magona definibile dai resultati della campagna lavorativa 1834-35, furono effettivamente consegnati ai detti fratelli Pacini tanti dei divisati oggetti quanti sono ….. al valore di lire 22.920, soldi 12 e denari 9 siccome appare dal relativo conto opportunamente da essi approvato. E perciò ratificando i medesimi sigg. Ottaviano e Ignazio Pacini l’obbligo da essi col riferito contratto assunto di pagare l’importo del suddivisato capitale di lire 22920.12.9 alla Cassa della R. Depositeria Generale in cinque anni ogni anno la quota uguale, colla corresponsione del frutto a scala in ragione del 4% all’anno a contare dal 1° settembre ultimo decorso, resta fra le suddette parti convenuto che le obbligazioni e ipoteche dai sigg. Pacini per l’enunciato titolo contratte e costituite a favore del Governo devono a tutti gli effetti intendersi ristrette al più volte rammentato capitale di lire 22920, soldi 12 e denari 9.
F.to: Giovanni Baldasseroni / Ottaviano Pacini / Ignazio Pacini
ATTO NOTARILE INERENTE IL CONTRATTO REALE MAGONA F.LLI PACINI
I Fratelli Pacini, proprietari della filiera di Capostrada, che, come si ricorderà, era stata affittata da Giovan Battista Pacini alla Magona a partire dal 1724, ne rientrarono in possesso, ma essi pure “in enfiteusi a titolo di livello”. La Magona affrancò il livello del quale era titolare con un versamento di lire toscane 10.000. Il canone annuo a carico dei Pacini venne fissato dall’Amministrazione in lire toscane 2715, mentre tutta l’operazione fu poi perfezionata con un contratto del 30 agosto.
Detto in parole più semplici: si invertirono le parti: i Pacini da locatori divenne locatari, e il Governo Toscano, subentrato alla disciolta Magona, diventò locatore.
Per essere ancora più chiari: la Magona aveva preso in affitto lo stabilimento fin dal 1724, pagando alla famiglia Pacini un canone corrispettivo per più di un secolo. Dopo lo scioglimento dell’Amministrazione della Magona il contratto con i Pacini non venne rinnovato. I due proprietari pistoiesi erano in credito di una somma che fu fissata in 10.000 lire a titolo di compenso per il mancato rinnovo (prezzo di affrancamento). Ma avrebbero dovuto corrispondere all’Amministrazione un prezzo adeguato «per la quantità di mobili, mercanzie, generi ed art...