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Auschwitz "…la libertà ha il sapore di un'albicocca secca"
About this book
Cosa sappiamo di Auschwitz noi che siamo venuti dopo? Cosa pensiamo noi a riguardo? Riusciamo ad avere un'idea, una dimensione di tutto ciò che è accaduto rifacendoci solo alla storia o possiamo metterci del nostro per capire e cercare di spiegare alle nostre generazioni, cosa sentiamo di provare verso una delle pagine di vita più dolorose, che ci ha presentato un conto così salato? Riusciamo a spiegarci o meglio a trovare una ragione per la quale, tutto quanto ci è stato raccontato o documentato, è stato commesso da persone che, senza ombra di smentita, non avevano nulla di umano?
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Information
CAPITOLO 1
Iniziava su di un treno alla stazione centrale di Milano, dove solitamente la gente si recava per partire per il mare o per la montagna, la tragica avventura che ho vissuto.
In tutti noi la destinazione ignota, lasciava più di un sospetto, sull’esito finale di quel viaggio.
Non si può neanche immaginare, cosa fosse “quel viaggio”.
Caricati sui vagoni, nei sotterranei del Binario 21 e spediti ad Auschwitz sul convoglio numero 6.
Era il 30 gennaio del 1944.
Quando si arrivava ad Auschwitz, c’era una grandissima confusione.
I cani tenuti da robusti guinzagli, abbaiavano mostrando le loro possenti dentature.
I tedeschi urlavano, impartendo ordini, nella loro lingua incomprensibile.
Spaesate le persone scendevano dal treno, travolte dalla furia dei soldati, venendo il più delle volte sbattute per terra, colpite, picchiate, senza guardare se fossero, donne, uomini, bambini, anziani o disabili.
Le luci dei fari, quando si arrivava di notte, abbagliavano, facendo perdere il senso dell’orientamento.
Si veniva separati all’istante.
Gli uomini, in apparente buono stato di salute, che avrebbero poi rappresentato la forza lavoro,da una parte, le donne, i bambini, gli anziani ed i disabili dall’altra, per quello che da lì a breve, per molti di loro, sarebbe stato l’ultimo atto della loro vita terrena.
Separati dai propri affetti, che nella maggior parte dei casi, per non dire nella totalità, non avrebbero mai più rivisto.
Nessuno si è mai chiesto, come mai quei treni, che arrivavano stracolmi di persone, tornassero stranamente indietro, sempre vuoti.
Quello che però faceva maggiormente male, dopo l’emanazione delle leggi razziali, che vietavano agli ebrei di fare ogni cosa, dalla scuola al lavoro, dal praticare sport al divertimento, era la freddezza delle persone che, fino al giorno prima, avevano condiviso passo passo accanto a noi, la vita di tutti i giorni.
Erano quelli della porta accanto ed ora, li sentivamo lontani come non mai!
Con loro facevamo passeggiate lungo i viali, i bambini giocavano nei cortili delle case, mangiavamo insieme, magari per festeggiare un compleanno o l’arrivo dell’anno nuovo.
Poi di colpo, più nulla di tutto questo sarebbe accaduto.
L’indifferenza nei nostri confronti, nacque dal fatto che era sconveniente per le persone non ebree, farsi vedere in giro per la città al nostro fianco, ovvero insieme a coloro, che erano stati cancellati dalla vita sociale.
La paura di poter essere additati come quelli che sfidavano il regime, era tanta ed era proprio questa paura che creava quel distacco, lasciandoci miseramente al nostro triste destino, che in breve tempo si sarebbe rivelato in tutta la sua mostruosità.
Non eravamo più niente, non esistevamo più, esseri che all’improvviso erano diventati invisibili.
Così racconta nel suo libro “La memoria rende liberi”, in uno stralcio di un’intervista televisiva, da me meramente riassunta in queste poche righe, la senatrice a vita per altissimi meriti in ambito sociale, Liliana Segre, deportata ad Auschwitz insieme al suo adorato padre, con altre 605 persone, delle quali solo 22 fecero ritorno a casa.
La sua straordinaria definizione della libertà appena riconquistata e paragonata ad un’albicocca secca, che fu la prima cosa dal gusto buono messa in bocca, dopo mesi di sofferenze e cibo, che forse neppure i cani avrebbero mangiato.
Alla domanda dell’intervistatore su cosa fosse per lei la libertà, la senatrice rispose che: “la libertà aveva il sapore di un’albicocca secca”.
All’età di 87 anni, portati meravigliosamente bene, spiega con una lucidità disarmante, il racconto di quei momenti.
Mentre parla si vede una malinconica velatura scendere negli occhi,compensata da uno sguardo, solo all’apparenza austero.
Rivive per l’ennesima volta, lo svolgimento della pellicola di quel film, visto più volte nel corso degli anni, conservati a futura memoria.
Quei momenti che l’hanno fatta crescere all’improvviso, da bambina a donna, nel breve volgere di un battito di ciglia.
Gli occhi di chi, all’età di 8 anni a causa delle leggi razziali, venne brutalmente “privata della libertà e della spensieratezza”, che e’ un diritto sacro dei bambini.
Una discriminazione violenta, forse, inizialmente non del tutto compresa vista la giovane età.
Soprattutto non capiva perché tutto d’un tratto, non potesse più andare a scuola o giocare con i suoi compagni.
Probabilmente in lei, non c’era neanche la consapevolezza di “essere diversa” dagli altri bambini della sua classe e questa fu una amara scoperta.
Tutto svaniva, tutto si dissolveva come neve al sole, ora bisognava scappare...
In un momento, quello che erano stati i giochi, i regali, le feste, diventavano bolle di sapone, che volavano alte nel cielo fino a scoppiare, spezzando la vita di tutti questi bambini “diversi”.
Quegli stessi occhi che a 13 anni, la portarono all’orrenda visione di come possa essere impietoso l’agire dell’uomo e nel contempo, come possa essere l’uomo, capace di qualsiasi atrocità, per raggiungere i suoi obiettivi.
Nella sua tragedia vissuta in un’età che non dovrebbe contemplare “il dolore ed il sacrificio”, sarà l’unica bambina di quel treno che la portò ad Auschwitz, a far ritorno a casa.
Uno dei 25 bambini italiani al di sotto dei 14 anni sopravvissuti, su 776 che vi furono deportati.
La stella che ogni sera cercava nel cielo, l’ha aiutata ad alimentare una speranza, quella di poter continuare a vivere, come scrive in altro suo romanzo.
... poi ripeteva dentro di sé:
“FINCHE’ IO SARO VIVA, TU CONTINUERAI A BRILLARE”.
Dopo un silenzio durato oltre quarant’’anni, oggi grazie al suo splendido libro, “la memoria rende liberi”, e’ una testimone di quel tempo, una delle ultime testimoni della Shoàh.
Porta la sua parola a chi non sa o a chi vuole saperne di più.
Sempre disponibile a spiegare, a raccontare, nonostante i tanti anni trascorsi da quegli eventi.
Immagino il dolore che ancor oggi possa provare, ogniqualvolta ripercorre quel tortuoso sentiero legato ai suoi ricordi , celati nel suo intimo.
Un dolore, nonostante tutto, necessario, affinchè tutti possano comprendere.
Tutte queste persone che hanno avuto la fortuna di salvarsi, sono probabilmente un segno del destino, che con loro, ha voluto lasciarci una traccia di un passato, che non dovrà più ritornare.
A noi “il privilegio” di ascoltare e capire.
CAPITOLO 2
Parlare di Auschwitz non è mai facile, specie per chi non ha l‘ha vissuto, ma ha solo sentito o visto negli anni, negli innumerevoli passaggi televisivi fatti di filmati, interviste, film a tema, come “La vita è bella”, “Schindler’s list”, “Perlasca un eroe italiano” o letto libri emblematici sull’argomento, come “Se questo è un uomo” di Primo Levi, il “Il diario di Anna Frank”, o appunto “La memoria rende liberi” di Liliana Segre, tanto per ...
Table of contents
- INTRODUZIONE
- CAPITOLO 1
- CAPITOLO 2
- CAPITOLO 3
- CAPITOLO 4
- CAPITOLO 5
- CAPITOLO 6
- CAPITOLO 7
- CAPITOLO 8
- CAPITOLO 9
- CAPITOLO 10
- CAPITOLO 11
- CAPITOLO 12
- CAPITOLO 13
- CAPITOLO 14
- CAPITOLO 15
- CAPITOLO 16
- CAPITOLO 17
- CAPITOLO 18
- CAPITOLO 19
- CAPITOLO 20
- CONCLUSIONE