Revenge of the Ghost (La vendetta del fantasma)
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Revenge of the Ghost (La vendetta del fantasma)

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Revenge of the Ghost (La vendetta del fantasma)

About this book

Una storia raccontata in una trilogia di libri, che sembrava finita, torna a rivivere nell'animo di chi nel peggiore dei modi l'ha vissuta. Venire a conoscenza dopo tanti anni e solo nel giorno della sua morte, che il proprio genitore è quella persona che hai per tanto tempo ammirato, ti avvilisce e ti getta nello sconforto. Il disprezzo verso chi è stato la causa della sua dipartita, non riesci a contenere, così spesso sfocia nel desiderio di vendetta.
La fatica di tornare a ricomporre quel branco di lupi che per anni è stato ai comandi di un alfa umano è davvero difficile. Saranno ancora loro a determinare certe situazioni incresciose, che si verranno a creare con il passare dei giorni. Saper riconoscere nei nuovi alfa l'amore che per tanti anni li ha uniti al loro capobranco, far ritrovare e provare lo stesso amore a due sorelle che mai si erano conosciute, lo si deve a loro. I giorni di paura e di tensione torneranno a fare breccia in certi animi scombussolandone l'esistenza. Desideri e finti amori si mescoleranno a quelli veri, ognuno con le proprie finalità: di vita e di morte.
Si cercherà nella speranza quello che difficilmente accade. Quel forse, di un domani migliore, che sarà lo scudo del proprio io per cercare di vivere e di dimenticare ogni sopruso e violenza subita.

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Information

La vendetta

«Sei pa­te­ti­co. Cre­de­vi dav­ve­ro che fos­si in­na­mo­ra­ta di te. Mi fai so­lo schi­fo. Hai ra­gio­ne so­no una ba­star­da. Non ho mai co­no­sciu­to mio pa­dre, ho sa­pu­to chi fos­se so­lo do­po che lo ave­te fat­to as­sas­si­na­re, ma non può fi­ni­re co­sì. Riu­sci­rò a eli­mi­na­re te e quel vi­gliac­co di tuo pa­dre. Po­te­vo be­nis­si­mo far­lo ar­re­sta­re per­ché so che si na­scon­de a Ro­ma e pres­so chi. Cre­di che non ab­bia ascol­ta­to i vo­stri di­scor­si? Non l’ho an­co­ra fat­to per­ché vo­glio es­se­re io a uc­ci­der­lo. Stai pur cer­to che ci riu­sci­rò».
La fu­ria di An­to­ni­no si sca­te­na. Gli pun­ta il re­vol­ver al­la tem­pia pron­to a spa­ra­re, ma Sal­va­to­re lo fer­ma.
«No! Lo spa­ro at­ti­re­reb­be i lu­pi, e uc­ci­der­li tut­ti sa­reb­be im­pos­si­bi­le, qual­cu­no di noi fi­ni­reb­be a bran­del­li. Se ri­cor­do be­ne, vo­le­vi por­tar­la a tuo pa­dre co­me re­ga­lo di com­plean­no. Non vor­rai por­tar­gli un ca­da­ve­re?».
«Non pen­sa­vo fos­se lei. Co­me fac­cio a dir­glie­lo? Que­sta è la don­na, che ho fat­to as­su­me­re per­ché me ne so­no in­na­mo­ra­to ed è la stes­sa che ha cer­ca­to di far­lo im­paz­zi­re. Ca­drei nel ri­di­co­lo. De­vo cer­ca­re un’al­tra so­lu­zio­ne. Per il mo­men­to vo­glio che sia te­nu­ta in vi­ta, ma na­sco­sta. Nes­su­no di voi tre de­ve far­ne pa­ro­la, al­tri­men­ti lo uc­ci­do. In­te­si?».
«D’ac­cor­do, ma dob­bia­mo tro­va­re un po­sto adat­to e che non sia co­no­sciu­to. Por­tar­la nel na­scon­di­glio dell’agri­tu­ri­smo, non ap­pe­na ar­ri­ve­rà, ver­reb­be sco­per­ta».
«Quel­lo Gia­co­mo è pro­prio l’ul­ti­mo po­sto do­ve la por­te­rei. Non vie­ne nul­la in men­te a voi tre? Qual­che na­scon­di­glio che ab­bia­mo vi­si­ta­to nei gior­ni pas­sa­ti. Non ri­cor­da­te nien­te? Dob­bia­mo con­si­de­ra­re an­che le esi­gen­ze del­la don­na e di chi si fer­me­rà a far­le da guar­dia­no. In se­gui­to ve­drò co­me ag­giu­sta­re il tut­to agli oc­chi di mio pa­dre. Non vo­glio pas­sa­re per nnu mac­cab­béu. (un buo­no a nul­la) Ades­so m’in­te­res­sa so­lo usci­re da que­sta sca­bro­sa si­tua­zio­ne. Quei ma­le­det­ti ani­ma­li, im­ma­gi­no che sia­no tut­ti nei din­tor­ni pron­ti a sal­tar­ci ad­dos­so. C’è an­co­ra del li­qui­do nel ne­bu­liz­za­to­re?».
«Cre­do di sì, ma a che co­sa ti ser­ve?».
«Per be­re. Che ac­ci­den­ti di do­man­da mi fai? Se­con­do te che co­sa ne vo­glio fa­re? Vo­glia­mo usci­re o no da que­sto ma­le­det­to bu­co? Al­lo­ra usia­mo­lo per far per­de­re le no­stre trac­ce».
«Non c’è bi­so­gno che ti ar­rab­bi».
«Sia­mo mes­si nel­la mer­da e tu mi di­ci di sta­re cal­mo, spie­ga­mi co­me pos­so riu­scir­ci e ve­drai che non m’in­quie­to».
«È pro­prio quel­lo che vo­le­vo dir­ti, ma se non mi la­sci fi­ni­re di par­la­re».
«Al­lo­ra?».
«Non pen­so sia ne­ces­sa­rio. La mac­chi­na l’ho na­sco­sta a qual­che de­ci­na di me­tri da qui. Si tro­va all’in­ter­no del cer­chio, do­ve ho spruz­za­to il li­qui­do, men­tre lo­ro so­no ri­ma­sti al di fuo­ri. Ti pos­so as­si­cu­ra­re che non riu­sci­ran­no a per­ce­pi­re il no­stro odo­re», gli ri­spon­de Lui­gi piut­to­sto sod­di­sfat­to.
«Me­no ma­le che una vol­ta ogni tan­to fa­te le co­se usan­do un po’ di cer­vel­lo. Ora che mi vie­ne in men­te, mio pa­dre tem­po ad­die­tro ac­qui­stò nell’en­tro­ter­ra di Se­sti­no una vec­chia ca­sci­na che usa­va co­me pun­to di ri­tro­vo quan­do an­da­va a cac­cia. Al­lo­ra la die­de in uso co­me na­scon­di­glio a un suo ami­co: Gia­co­mo Coc­cia, la­ti­tan­te e al­la mac­chia. Lo stes­so che al­lo­ra nel sot­to­suo­lo fe­ce co­strui­re un bun­ker per sfug­gi­re al­la cat­tu­ra do­po un se­que­stro. Il Coc­cia ave­va fat­to ra­pi­re la fi­glia di un ca­pi­ta­no dei ca­ra­bi­nie­ri, per ri­cat­tar­lo e far ri­la­scia­re suo fi­glio ar­re­sta­to tem­po ad­die­tro. Sco­prì in se­gui­to che il po­ve­ret­to era già sta­to fat­to sbra­na­re dai lu­pi. A suo tem­po an­che lui fu rin­trac­cia­to, pro­prio lì den­tro e fu uc­ci­so nel­la stes­sa ma­nie­ra. So­no sem­pre gli stes­si lu­pi che co­man­da­va quel­lo che ab­bia­mo fat­to as­sas­si­na­re da Pi­nuz­zo in un ri­sto­ran­te a Gal­li­po­li, al­me­no cre­do. Se­con­do quan­to di­ce que­sta don­na, quel­lo uc­ci­so, sa­reb­be an­che suo pa­dre. Lo sta­bi­le, fu dis­se­que­stra­to, ma nes­su­no da al­lo­ra lo ha più usa­to. Po­trem­mo an­da­re a ve­de­re in qua­li con­di­zio­ni si tro­va, ma­ga­ri il ri­fu­gio sot­ter­ra­neo è an­co­ra agi­bi­le. Sa­reb­be il po­sto idea­le per na­scon­der­la. Nes­su­no an­dreb­be a pen­sa­re a quel luo­go. Il te­nen­te che ha con­dot­to l’in­da­gi­ne è sta­to tra­sfe­ri­to per­ché pro­mos­so. Ho sa­pu­to che do­ve­va par­ti­re gior­ni fa. Il ma­re­scial­lo di Se­sti­no e quel­lo di Pian­di­me­le­to, so­no an­da­ti in pen­sio­ne e pen­so sia­no tor­na­ti nei lo­ro luo­ghi di ori­gi­ne. So­no so­lo le ven­ti­tré e ab­bia­mo le tor­ce. Pos­sia­mo be­nis­si­mo an­da­re a ve­de­re ades­so che ab­bia­mo il fuo­ri­stra­da. Pas­sia­mo per De­se, giac­ché è qui vi­ci­no. Ar­ri­va­ti in ci­ma, a si­ni­stra c’è una mu­lat­tie­ra che scen­de e ar­ri­va fi­no al­la ca­sci­na che si tro­va in una pia­na. Guar­da­te che la ra­gaz­za sia be­ne im­ba­va­glia­ta. Cer­chia­mo di ar­ri­va­re al­la mac­chi­na in si­len­zio, mi rac­co­man­do. Tu Gia­co­mo che sei il più ro­bu­sto, ca­ri­ca­te­la sul­le spal­le. Sal­va­to­re, stai die­tro di lui per un even­tua­le aiu­to. For­za uscia­mo e at­ten­ti do­ve met­te­te i pie­di. Il mi­ni­mo ru­mo­re po­treb­be far­ci in­di­vi­dua­re».
È mez­za­not­te, quan­do quat­tro om­bre con fa­re so­spet­to si ag­gi­ra­no in­tor­no a una vec­chia ca­sci­na ab­ban­do­na­ta, che si tro­va in un bo­sco sull’en­tro­ter­ra di Se­sti­no. Le tor­ce si ac­cen­do­no e si spen­go­no in con­ti­nua­zio­ne. Os­ser­va­no be­ne tut­to. Il tet­to sem­bra reg­ge­re, co­sì en­tra­no. An­to­ni­no at­ti­va una le­va che si tro­va in un po­sto se­gre­to co­no­sciu­to so­lo da lui, na­sco­sta vi­ci­no al ca­mi­no co­me gli era sta­to det­to dal pa­dre. Ci­go­la ma fun­zio­na an­co­ra ab­ba­stan­za be­ne. Scen­do­no nel sot­ter­ra­neo fa­cen­do­si lu­ce con le tor­ce. Il di­sor­di­ne e la spor­ci­zia so­no di ca­sa, in quel­la spe­cie di bun­ker. Le ra­gna­te­le sem­bra­no del­le ten­di­ne, tan­to so­no gran­di, men­tre i con­fe­zio­na­to­ri re­gna­no so­vra­ni. Ci so­no an­co­ra quat­tro bran­di­ne e del­le se­die co­per­te con qual­che len­zuo­lo che odo­ra di muf­fa. In di­spar­te un ta­vo­li­no con so­pra del­le can­de­le, te­nu­te per pre­cau­zio­ne, ma mai usa­te, for­se per­ché, al­lo­ra c’era la cor­re­te elet­tri­ca.
«Lui­gi, tor­na di so­pra e guar­da be­ne nel ba­ga­glia­io del­la mac­chi­na, ci do­vreb­be­ro es­se­re due co­per­te, del cioc­co­la­to e una bot­ti­glia d’ac­qua, por­ta­mi tut­to. Non vo­glio far­la mo­ri­re né di fred­do, né di fa­me. Per le ne­ces­si­tà, ci de­ve es­se­re die­tro quel­la por­ti­ci­na una spe­cie di tur­ca che sca­ri­ca a ter­ra su uno stra­to di pie­tre. Ec­co­ti un ac­cen­di­no per le can­de­le. Do­ma­ni prov­ve­de­re­mo per l’ac­qua. Si­ste­me­re­mo un po’ e la­sce­rò qui qual­cu­no di guar­dia gior­no e not­te. De­ve ri­ma­ne­re in vi­ta fin quan­do non tor­ne­rà mio pa­dre ver­so la fi­ne di mag­gio, poi de­ci­de­rà lui».
So­no pas­sa­te al­tre due ore quan­do si ac­cin­go­no a par­ti­re. Si sen­te an­co­ra lo stri­dio del­la bo­to­la che stan­no chiu­den­do. Si stro­pic­cia­no le ma­ni sod­di­sfat­ti. La gio­va­ne è sta­ta la­scia­ta so­la, ma non ha pau­ra. É tri­ste per­ché sa di non es­se­re riu­sci­ta a com­pie­re la sua ven­det­ta. Il mez­zo non ri­tor­na in­die­tro, ri­per­cor­ren­do la stra­da dell’an­da­ta, ma scen­de a de­stra e pren­de quel­la che at­tra­ver­so il pas­so del­la spu­gna por­ta a Bor­go Pa­ce. Men­tre ac­ca­de tut­to que­sto, un ulu­la­to, che sem­bra di do­lo­re, ri­suo­na sul­la pia­na.
Mar­te­dì do­di­ci, Au­ro­ra non si pre­sen­ta al la­vo­ro, co­sì Ma­ria chie­de ad An­to­ni­no se ne co­no­sca la ra­gio­ne.
«No! A me non ha la­scia­to det­to nul­la, Se vuoi pos­so an­da­re a cer­car­la?», le di­ce, pro­van­do a na­scon­de­re l’im­ba­raz­zo, ma in cuor suo sa be­nis­si­mo che le ri­spon­de­rà di no.
«Non ser­ve, pos­so ca­var­me­la da so­la. Ve­drai che sa­rà lei a te­le­fo­na­re spie­gan­do­mi il mo­ti­vo».
Una pre­sen­za sco­no­sciu­ta e una vo­ce piut­to­sto af­fran­ta e agi­ta­ta in­ter­rom­pe la lo­ro con­ver­sa­zio­ne.
«Scu­sa­te, non vor­rei di­stur­ba­re. So­no la ma­dre di Au­ro­ra. Ie­ri se­ra non è rien­tra­ta a dor­mi­re. So­no un po’ pre­oc­cu­pa­ta non è da lei. Ho pro­va­to a chia­mar­la al cel­lu­la­re, ma non ri­spon­de. Spe­ro che si sia fer­ma­ta a dor­mi­re quas­sù da voi e lo ab­bia so­lo spen­to. È qui?».
«So­no Ma­ria, la cuo­ca. Ve­ra­men­te an­ch’io la sta­vo cer­can­do. Nean­che i ra­gaz­zi l’han­no vi­sta. Spe­ra­vo che fos­se lei, quan­do ho sen­ti­to ar­ri­va­re la mac­chi­na. Non è il ca­so che si pre­oc­cu­pi si­gno­ra, ve­drà che le fa­rà sa­pe­re qual­che co­sa il più pre­sto. Lo sa co­me so­no que­sti gio­va­ni. Co­mun­que se do­ves­se te­le­fo­na­re a noi, le di­re­mo di met­ter­si su­bi­to in con­tat­to con lei, che è piut­to­sto an­go­scia­ta. Stia tran­quil­la».
«La rin­gra­zio si­gno­ra. Spe­ria­mo che ab­bia ra­gio­ne e che si fac­cia vi­va, ma cre­do sia me­glio che ne de­nun­ci la scom­par­sa. Non so­no per nien­te se­re­na. Non ho chiu­so oc­chio que­sta not­te».
«Voi ra­gaz­zi sie­te si­cu­ri di non aver­la più vi­sta da lu­ne­dì po­me­rig­gio? E tu An­to­ni­no che eri il più le­ga­to a lei ne sai qual­che co­sa? Ti ha la­scia­to det­to nien­te?».
«Io so­no pre­oc­cu­pa­to quan­to la si­gno­ra, ma non sa­prei do­ve an­da­re a cer­car­la», ciò det­to fa se­gno a Ma­ria di se­guir­lo.
«Ades­so pe­rò sa­rà più si­cu­ro per me non far­mi tro­va­re da que­ste par­ti. Se la si­gno­ra va a fa­re la de­nun­cia di scom­par­sa», le di­ce sot­to­vo­ce, «ver­ran­no su per in­for­mar­si del più e del me­no. Se mi ri­co­no­sco­no? San­no che mio pa­dre è ri­cer­ca­to. É suf­fi­cien­te fa­re due più due e ve­drai co­me an­dran­no a spul­cia­re in ogni an­go­lo, fa­cen­do­ci un muc­chio di do­man­de. Cre­do pro­prio che non sia il ca­so. Lo­ro so­no in re­go­la e fi­gu­ra­no co­me clien­ti, ma io fa­rei fa­ti­ca a spie­ga­re la mia pre­sen­za in que­sto agri­tu­ri­smo, sa­pe­te be­ne an­che il per­ché».
Fi­ni­to di par­la­re con la sua ta­ta, chia­ma in di­spar­te Sal­va­to­re, av­vi­san­do­lo che per qual­che gior­no non sa­rà re­pe­ri­bi­le e di pre­pa­rar­gli tut­to l’oc­cor­ren­te.
«Ca­ri­ca sul fuo­ri­stra­da due ma­te­ras­si­ni e qual­che co­per­ta. Non di­men­ti­car­ti le prov­vi­ste: ac­qua da be­re, sca­to­let­te di car­ne e pa­ne, in­som­ma tut­to quel­lo che mi por­ta­vi quand’ero al­la mac­chia. Io va­do su su­bi­to e tu vie­ni con me per dar­mi una ma­no a si­ste­ma­re quel­la spe­cie di bu­co. Lui­gi e Gia­co­mo ci se­gui­ran­no con un al­tro mez­zo, co­sì tu po­trai tor­na­re giù con lo­ro. Non far­ne cen­no agli al­tri ra­gaz­zi, vo­glio che ri­man­ga­no all’oscu­ro di que­sta fac­cen­da. Sai già di che co­sa sto par­lan­do. In­tan­to av­vi­so Ma­ria che voi pran­ze­re­te più tar­di del so­li­to ed io non ci sa­rò per im­pe­gni pre­si in pre­ce­den­za. Lei ca­pi­rà. For­za muo­vi­ti!».
Quel­la stes­sa se­ra, ver­so le ven­ti, un ulu­la­to ar­ri­va dall’al­to. Qual­cu­no sta chia­man­do a rac­col­ta il bran­co. Una gio­va­ne si sie­de su di un mas­so ai la­ti del­la stra­da e at­ten­de. Do­po una tren­ti­na di mi­nu­ti so­no tut­ti sul­la co­mu­na­le nei pres­si di Ca­sa­rel­lo, che stan­no aspet­tan­do un co­man­do, ma so­no piut­to­sto ir­re­quie­ti.
«Che co­sa c’è?», chie­de la gio­va­ne. «Cre­de­te for­se che non sap­pia che co­sa sta suc­ce­den­do? Quel­la mia al­ter ego è spa­ri­ta, ve­ro? Ades­so sta­te buo­ni e non di­strae­te­mi c...

Table of contents

  1. IL MIO PENSIERO DI APERTURA.
  2. INTRODUZIONE
  3. I primi dolorosi ricordi
  4. La decisione
  5. La sorellastra sconosciuta
  6. L’evasione
  7. Il figlio del boss
  8. Il sospetto
  9. Il ricordo di quelle parole sibilline
  10. La memoria tradisce il boss
  11. Fantasie o verità
  12. Roma non può attendere
  13. Partenza e sconforto
  14. Una persona inaspettata
  15. La tensione mal si concilia con il lavoro
  16. Luigi non si arrende
  17. L’agguato e il sequestro di Aurora
  18. La vendetta
  19. La morte non aspetta
  20. Il dolce sapore della libertà
  21. Il dolore del boss
  22. Non si cancella il dolore
  23. La vendetta del fantasma senza nome
  24. IL MIO PENSIERO DI CHIUSURA.