La vendetta
«Sei patetico. Credevi davvero che fossi innamorata di te. Mi fai solo schifo. Hai ragione sono una bastarda. Non ho mai conosciuto mio padre, ho saputo chi fosse solo dopo che lo avete fatto assassinare, ma non può finire così. Riuscirò a eliminare te e quel vigliacco di tuo padre. Potevo benissimo farlo arrestare perché so che si nasconde a Roma e presso chi. Credi che non abbia ascoltato i vostri discorsi? Non l’ho ancora fatto perché voglio essere io a ucciderlo. Stai pur certo che ci riuscirò».
La furia di Antonino si scatena. Gli punta il revolver alla tempia pronto a sparare, ma Salvatore lo ferma.
«No! Lo sparo attirerebbe i lupi, e ucciderli tutti sarebbe impossibile, qualcuno di noi finirebbe a brandelli. Se ricordo bene, volevi portarla a tuo padre come regalo di compleanno. Non vorrai portargli un cadavere?».
«Non pensavo fosse lei. Come faccio a dirglielo? Questa è la donna, che ho fatto assumere perché me ne sono innamorato ed è la stessa che ha cercato di farlo impazzire. Cadrei nel ridicolo. Devo cercare un’altra soluzione. Per il momento voglio che sia tenuta in vita, ma nascosta. Nessuno di voi tre deve farne parola, altrimenti lo uccido. Intesi?».
«D’accordo, ma dobbiamo trovare un posto adatto e che non sia conosciuto. Portarla nel nascondiglio dell’agriturismo, non appena arriverà, verrebbe scoperta».
«Quello Giacomo è proprio l’ultimo posto dove la porterei. Non viene nulla in mente a voi tre? Qualche nascondiglio che abbiamo visitato nei giorni passati. Non ricordate niente? Dobbiamo considerare anche le esigenze della donna e di chi si fermerà a farle da guardiano. In seguito vedrò come aggiustare il tutto agli occhi di mio padre. Non voglio passare per nnu maccabbéu. (un buono a nulla) Adesso m’interessa solo uscire da questa scabrosa situazione. Quei maledetti animali, immagino che siano tutti nei dintorni pronti a saltarci addosso. C’è ancora del liquido nel nebulizzatore?».
«Credo di sì, ma a che cosa ti serve?».
«Per bere. Che accidenti di domanda mi fai? Secondo te che cosa ne voglio fare? Vogliamo uscire o no da questo maledetto buco? Allora usiamolo per far perdere le nostre tracce».
«Non c’è bisogno che ti arrabbi».
«Siamo messi nella merda e tu mi dici di stare calmo, spiegami come posso riuscirci e vedrai che non m’inquieto».
«È proprio quello che volevo dirti, ma se non mi lasci finire di parlare».
«Allora?».
«Non penso sia necessario. La macchina l’ho nascosta a qualche decina di metri da qui. Si trova all’interno del cerchio, dove ho spruzzato il liquido, mentre loro sono rimasti al di fuori. Ti posso assicurare che non riusciranno a percepire il nostro odore», gli risponde Luigi piuttosto soddisfatto.
«Meno male che una volta ogni tanto fate le cose usando un po’ di cervello. Ora che mi viene in mente, mio padre tempo addietro acquistò nell’entroterra di Sestino una vecchia cascina che usava come punto di ritrovo quando andava a caccia. Allora la diede in uso come nascondiglio a un suo amico: Giacomo Coccia, latitante e alla macchia. Lo stesso che allora nel sottosuolo fece costruire un bunker per sfuggire alla cattura dopo un sequestro. Il Coccia aveva fatto rapire la figlia di un capitano dei carabinieri, per ricattarlo e far rilasciare suo figlio arrestato tempo addietro. Scoprì in seguito che il poveretto era già stato fatto sbranare dai lupi. A suo tempo anche lui fu rintracciato, proprio lì dentro e fu ucciso nella stessa maniera. Sono sempre gli stessi lupi che comandava quello che abbiamo fatto assassinare da Pinuzzo in un ristorante a Gallipoli, almeno credo. Secondo quanto dice questa donna, quello ucciso, sarebbe anche suo padre. Lo stabile, fu dissequestrato, ma nessuno da allora lo ha più usato. Potremmo andare a vedere in quali condizioni si trova, magari il rifugio sotterraneo è ancora agibile. Sarebbe il posto ideale per nasconderla. Nessuno andrebbe a pensare a quel luogo. Il tenente che ha condotto l’indagine è stato trasferito perché promosso. Ho saputo che doveva partire giorni fa. Il maresciallo di Sestino e quello di Piandimeleto, sono andati in pensione e penso siano tornati nei loro luoghi di origine. Sono solo le ventitré e abbiamo le torce. Possiamo benissimo andare a vedere adesso che abbiamo il fuoristrada. Passiamo per Dese, giacché è qui vicino. Arrivati in cima, a sinistra c’è una mulattiera che scende e arriva fino alla cascina che si trova in una piana. Guardate che la ragazza sia bene imbavagliata. Cerchiamo di arrivare alla macchina in silenzio, mi raccomando. Tu Giacomo che sei il più robusto, caricatela sulle spalle. Salvatore, stai dietro di lui per un eventuale aiuto. Forza usciamo e attenti dove mettete i piedi. Il minimo rumore potrebbe farci individuare».
È mezzanotte, quando quattro ombre con fare sospetto si aggirano intorno a una vecchia cascina abbandonata, che si trova in un bosco sull’entroterra di Sestino. Le torce si accendono e si spengono in continuazione. Osservano bene tutto. Il tetto sembra reggere, così entrano. Antonino attiva una leva che si trova in un posto segreto conosciuto solo da lui, nascosta vicino al camino come gli era stato detto dal padre. Cigola ma funziona ancora abbastanza bene. Scendono nel sotterraneo facendosi luce con le torce. Il disordine e la sporcizia sono di casa, in quella specie di bunker. Le ragnatele sembrano delle tendine, tanto sono grandi, mentre i confezionatori regnano sovrani. Ci sono ancora quattro brandine e delle sedie coperte con qualche lenzuolo che odora di muffa. In disparte un tavolino con sopra delle candele, tenute per precauzione, ma mai usate, forse perché, allora c’era la correte elettrica.
«Luigi, torna di sopra e guarda bene nel bagagliaio della macchina, ci dovrebbero essere due coperte, del cioccolato e una bottiglia d’acqua, portami tutto. Non voglio farla morire né di freddo, né di fame. Per le necessità, ci deve essere dietro quella porticina una specie di turca che scarica a terra su uno strato di pietre. Eccoti un accendino per le candele. Domani provvederemo per l’acqua. Sistemeremo un po’ e lascerò qui qualcuno di guardia giorno e notte. Deve rimanere in vita fin quando non tornerà mio padre verso la fine di maggio, poi deciderà lui».
Sono passate altre due ore quando si accingono a partire. Si sente ancora lo stridio della botola che stanno chiudendo. Si stropicciano le mani soddisfatti. La giovane è stata lasciata sola, ma non ha paura. É triste perché sa di non essere riuscita a compiere la sua vendetta. Il mezzo non ritorna indietro, ripercorrendo la strada dell’andata, ma scende a destra e prende quella che attraverso il passo della spugna porta a Borgo Pace. Mentre accade tutto questo, un ululato, che sembra di dolore, risuona sulla piana.
Martedì dodici, Aurora non si presenta al lavoro, così Maria chiede ad Antonino se ne conosca la ragione.
«No! A me non ha lasciato detto nulla, Se vuoi posso andare a cercarla?», le dice, provando a nascondere l’imbarazzo, ma in cuor suo sa benissimo che le risponderà di no.
«Non serve, posso cavarmela da sola. Vedrai che sarà lei a telefonare spiegandomi il motivo».
Una presenza sconosciuta e una voce piuttosto affranta e agitata interrompe la loro conversazione.
«Scusate, non vorrei disturbare. Sono la madre di Aurora. Ieri sera non è rientrata a dormire. Sono un po’ preoccupata non è da lei. Ho provato a chiamarla al cellulare, ma non risponde. Spero che si sia fermata a dormire quassù da voi e lo abbia solo spento. È qui?».
«Sono Maria, la cuoca. Veramente anch’io la stavo cercando. Neanche i ragazzi l’hanno vista. Speravo che fosse lei, quando ho sentito arrivare la macchina. Non è il caso che si preoccupi signora, vedrà che le farà sapere qualche cosa il più presto. Lo sa come sono questi giovani. Comunque se dovesse telefonare a noi, le diremo di mettersi subito in contatto con lei, che è piuttosto angosciata. Stia tranquilla».
«La ringrazio signora. Speriamo che abbia ragione e che si faccia viva, ma credo sia meglio che ne denunci la scomparsa. Non sono per niente serena. Non ho chiuso occhio questa notte».
«Voi ragazzi siete sicuri di non averla più vista da lunedì pomeriggio? E tu Antonino che eri il più legato a lei ne sai qualche cosa? Ti ha lasciato detto niente?».
«Io sono preoccupato quanto la signora, ma non saprei dove andare a cercarla», ciò detto fa segno a Maria di seguirlo.
«Adesso però sarà più sicuro per me non farmi trovare da queste parti. Se la signora va a fare la denuncia di scomparsa», le dice sottovoce, «verranno su per informarsi del più e del meno. Se mi riconoscono? Sanno che mio padre è ricercato. É sufficiente fare due più due e vedrai come andranno a spulciare in ogni angolo, facendoci un mucchio di domande. Credo proprio che non sia il caso. Loro sono in regola e figurano come clienti, ma io farei fatica a spiegare la mia presenza in questo agriturismo, sapete bene anche il perché».
Finito di parlare con la sua tata, chiama in disparte Salvatore, avvisandolo che per qualche giorno non sarà reperibile e di preparargli tutto l’occorrente.
«Carica sul fuoristrada due materassini e qualche coperta. Non dimenticarti le provviste: acqua da bere, scatolette di carne e pane, insomma tutto quello che mi portavi quand’ero alla macchia. Io vado su subito e tu vieni con me per darmi una mano a sistemare quella specie di buco. Luigi e Giacomo ci seguiranno con un altro mezzo, così tu potrai tornare giù con loro. Non farne cenno agli altri ragazzi, voglio che rimangano all’oscuro di questa faccenda. Sai già di che cosa sto parlando. Intanto avviso Maria che voi pranzerete più tardi del solito ed io non ci sarò per impegni presi in precedenza. Lei capirà. Forza muoviti!».
Quella stessa sera, verso le venti, un ululato arriva dall’alto. Qualcuno sta chiamando a raccolta il branco. Una giovane si siede su di un masso ai lati della strada e attende. Dopo una trentina di minuti sono tutti sulla comunale nei pressi di Casarello, che stanno aspettando un comando, ma sono piuttosto irrequieti.
«Che cosa c’è?», chiede la giovane. «Credete forse che non sappia che cosa sta succedendo? Quella mia alter ego è sparita, vero? Adesso state buoni e non distraetemi c...