Dietro gli occhi di un soldato
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Dietro gli occhi di un soldato

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Dietro gli occhi di un soldato

About this book

Il romanzo è la personale esperienza da soldato dell'autore, durante la missione italiana di pace nel Kosovo, povera provincia dell'ex Jugoslavia martoriata dalla guerra. Un libro che fa rivivere i momenti e gli stati d'animo di chi era in prima linea e operava con tanta difficoltà nell'inferno della guerra, dove violenza e odio sono i protagonisti assoluti di una sanguinosa realtà e dove povertà e fame rappresentano il crudo scenario con cui dover fare i conti ogni giorno, ogni ora, ogni singolo minuto. Un libro che è anche la maturazione personale di un uomo che si chiede chi è veramente e dove può arrivare, per contribuire con la sua goccia di pace e solidarietà a prosciugare l'oceano scarlatto e devastante della guerra. Un libro che rappresenta l'altra faccia della realtà, quella troppo spesso avida, sporca e corrotta, che divora tutto superando barriere e mascherando verità troppo scomode da poter rendere pubbliche.

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Information

Publisher
Youcanprint
Year
2020
Print ISBN
9788831668361
eBook ISBN
9788831668934

Gli Scontri tra Serbi e Albanesi

Una mat­ti­na a Pec, men­tre gui­da­vo il ca­mion per re­car­mi a ri­for­ni­re il mez­zo di scor­te ali­men­ta­ri per i ser­bi di Go­raz­de­vac, si fer­mò una mac­chi­na da­van­ti a me.
Ne usci­ro­no di scat­to due in­di­vi­dui e co­min­cia­ro­no a spa­ra­re in aria, per poi ri­mon­ta­re in mac­chi­na co­me se nul­la fos­se. In quel mo­men­to, non sa­pen­do an­co­ra che per lo­ro fos­se una sem­pli­ce usan­za, mi si ge­lò il san­gue.
Per me che ero al­la pri­ma mis­sio­ne era tut­to nuo­vo, ma sa­pe­vo che ogni co­sa che avrei ap­pre­so l’avrei cu­sto­di­ta nel mio ba­ga­glio per­so­na­le, per­ché po­te­va suc­ce­de­re che sa­rei sta­to, con il tem­po, nuo­va­men­te im­pie­ga­to per un'al­tra mis­sio­ne. Pur­trop­po nel mon­do ci so­no in­nu­me­re­vo­li guer­re.
E die­tro le guer­re non ci so­no sol­tan­to le stel­let­te e le cra­vat­te, ma tan­ti in­te­res­si che van­no al di là di ogni ra­gio­ne uma­na. Bi­so­gna tor­na­re un po’ in­die­tro con il tem­po per ca­pi­re la sto­ria di que­sto pae­se.
Il Ko­so­vo, po­po­la­to in mag­gio­ran­za da cit­ta­di­ni di et­nia al­ba­ne­se, era en­tra­to in ten­sio­ne con la Ser­bia e con­tri­buì al di­sfa­ci­men­to del­la fe­de­ra­zio­ne Ju­go­sla­va, già av­via­to con la fuo­riu­sci­ta pri­ma del­la Slo­ve­nia, poi del­la Croa­zia ed in­fi­ne del­la Bo­snia-Er­ze­go­vi­na, nel qua­dro di na­zio­na­li­smi con­trap­po­sti che ha se­gna­to e se­gna le vi­cen­de bal­ca­ni­che a ca­val­lo tra il XX e il XXI se­co­lo.
Con la mor­te di Ti­to e con il ri­na­sce­re e cre­sce­re dei va­ri na­zio­na­li­smi, l'in­sof­fe­ren­za et­ni­ca ver­so la fe­de­ra­zio­ne ave­va co­min­cia­to a sfu­ma­re in al­cu­ne fran­ge, dal­le ri­ven­di­ca­zio­ni au­to­no­mi­ste a quel­le in­di­pen­den­ti­ste.
Già do­po la con­ces­sio­ne del­lo sta­tus di au­to­no­mia al­la pro­vin­cia ko­so­va­ra gli ap­par­te­nen­ti all'et­nia al­ba­ne­se di­mo­stra­ro­no all'ini­zio de­gli an­ni Ot­tan­ta che con que­sta au­to­no­mia non si sa­reb­be­ro ac­con­ten­ta­ti.
All'epo­ca l'uni­ca re­pub­bli­ca dell'al­lo­ra Ju­go­sla­via ad aver con­ces­so una for­ma di au­to­no­mia al­le pro­prie mi­no­ran­ze era ap­pun­to la Ser­bia; di pre­ci­so si trat­ta­va del­la Vo­j­vo­di­na al nord e del Ko­so­vo e Me­to­chia al sud.
No­no­stan­te que­sto lo slo­gan “Ko­so­vo re­pu­bli­ka” co­min­ciò a far­si sen­ti­re sem­pre di più nel­le ma­ni­fe­sta­zio­ni di piaz­za a Pri­sti­na e in al­tre par­ti del Ko­so­vo. Gli al­ba­ne­si, in­fat­ti, chie­de­va­no che il Ko­so­vo di­ven­tas­se la set­ti­ma re­pub­bli­ca del­la Ju­go­sla­via so­cia­li­sta e, quin­di, che si di­stac­cas­se dal­la Ser­bia.
Co­sì fa­cen­do il Ko­so­vo avreb­be po­tu­to fa­re co­me la Slo­ve­nia e la Croa­zia, cioè al mo­men­to op­por­tu­no di­chia­ra­re l'in­di­pen­den­za sen­za do­ver fa­re i con­ti con Bel­gra­do.
Il con­flit­to pre­ci­pi­tò al­la fi­ne de­gli an­ni Ot­tan­ta: nel mar­zo del 1989 l'au­to­no­mia del­la pro­vin­cia ri­sa­len­te al­la co­sti­tu­zio­ne del­la Re­pub­bli­ca ju­go­sla­va di Ti­to, che era una re­pub­bli­ca fe­de­ra­ti­va con di­rit­to di se­ces­sio­ne uni­la­te­ra­le del­le va­rie re­pub­bli­che fe­de­ra­te, ma non del­le pro­vin­ce au­to­no­me, co­sì ven­ne re­vo­ca­ta su pres­sio­ne del go­ver­no ser­bo gui­da­to da Slo­bo­dan Mi­lo­se­vić.
Fu re­vo­ca­to, tra l’al­tro, lo sta­tus pa­ri­ta­rio go­du­to dal­la lin­gua al­ba­ne­se-ko­so­va­ra, fi­no ad al­lo­ra lin­gua co-uf­fi­cia­le nel Ko­so­vo ac­can­to al ser­bo-croa­to; fu­ro­no chiu­se le scuo­le au­to­no­me, rim­piaz­za­ti fun­zio­na­ri am­mi­ni­stra­ti­vi e in­se­gnan­ti con ser­bi o per­so­ne fe­de­li o ri­te­nu­te ta­li al­la Ser­bia.
Dal 1989 al 1995 la mag­gio­ran­za del­la po­po­la­zio­ne d'et­nia al­ba­ne­se del Ko­so­vo mi­se in at­to una cam­pa­gna di re­si­sten­za non vio­len­ta sot­to la gui­da del par­ti­to LDK e del suo lea­der Ibra­him Ru­go­va. Do­po la fi­ne del­la guer­ra in Bo­snia-Er­ze­go­vi­na, tra i ko­so­va­ri (in mag­gio­ran­za di re­li­gio­ne mu­sul­ma­na) nac­que­ro e si raf­for­za­ro­no in bre­ve tem­po for­ma­zio­ni ar­ma­te gui­da­te da ve­te­ra­ni di quel­la guer­ra con di­chia­ra­ti in­ten­ti in­di­pen­den­ti­sti.
La guer­ra del Ko­so­vo si può di­vi­de­re in due fa­si di­stin­te. Pri­ma fa­se, 1996 - 1999: fu­ro­no i se­pa­ra­ti­sti al­ba­ne­si dell'UCK (Ush­tria Cli­rim­ta­re e Ko­so­ves) o KLA (Ko­so­vo Li­be­ra­tion Ar­my, Eser­ci­to di li­be­ra­zio­ne del Ko­so­vo) con­tro le po­sta­zio­ni mi­li­ta­ri e con­tro le en­ti­tà sta­ta­li.
Suc­ces­si­va­men­te ci fu una re­pres­sio­ne sem­pre più du­ra da par­te del­la po­li­zia e, più tar­di, da par­te di for­ze pa­ra­mi­li­ta­ri ispi­ra­te da estre­mi­sti ser­bi. Se­con­da fac­se, 1999: in­ter­ven­to NA­TO con­tro la Ser­bia. Per tut­to il 1998, men­tre la guer­ri­glia sul ter­re­no si espan­de­va e la re­pres­sio­ne del­le for­ze di si­cu­rez­za ser­be si fa­ce­va via via più pe­san­te e san­gui­no­sa, la NA­TO adot­tò una po­li­ti­ca di dis­sua­sio­ne e mi­nac­cia con­tro il go­ver­no del­la Re­pub­bli­ca fe­de­ra­le ju­go­sla­va gui­da­to da Slo­bo­dan Mi­loše­vić.
Eser­ci­tan­do for­ti pres­sio­ni, l'Al­lean­za atlan­ti­ca ot­ten­ne l'av­vio dei ne­go­zia­ti di Ram­bouil­let, che si con­clu­se­ro po­si­ti­va­men­te no­no­stan­te la re­si­sten­za dei rap­pre­sen­tan­ti dell'UCK a fir­ma­re un do­cu­men­to nel qua­le era for­mal­men­te ga­ran­ti­ta l'au­to­no­mia del Ko­so­vo, ma non la sua pie­na in­di­pen­den­za.
Ta­le re­si­sten­za fu su­pe­ra­ta gra­zie al­le pres­sio­ni de­gli USA, che go­de­va­no di gran­de pre­sti­gio pres­so l'UCK e la de­le­ga­zio­ne Ko­so­va­ra gra­zie al­la lo­ro po­li­ti­ca di so­ste­gno.
Al­la ri­pre­sa di Pa­ri­gi, di lì a po­chi gior­ni dal­la con­clu­sio­ne di Ram­bouil­let, una ses­sio­ne non po­li­ti­ca che avreb­be do­vu­to oc­cu­par­si de­gli aspet­ti at­tua­ti­vi e or­ga­niz­za­ti­vi dell'ac­cor­do, la de­le­ga­zio­ne ser­ba ab­ban­do­nò sin dall'ini­zio la se­du­ta ri­met­ten­do in di­scus­sio­ne gli esi­ti po­li­ti­ci di tut­ta la trat­ta­ti­va, di­chia­ran­do che non ac­cet­ta­va più quel­la che con­si­de­ra­va un’in­di­pen­den­za di fat­to ma­sche­ra­ta da au­to­no­mia. I ser­bi si sen­ti­ro­no pre­si in gi­ro e pro­vo­ca­ti.
“I ser­bi” ag­giun­se Kis­sin­ger, “si so­no com­por­ta­ti bar­ba­ra­men­te per re­pri­me­re il ter­ro­re dell'UCK”. Ma l'80% del­le vio­la­zio­ni del ces­sa­te il fuo­co tra ot­to­bre e feb­bra­io so­no da im­pu­ta­re al­la guer­ri­glia.
Se si fos­se ana­liz­za­ta cor­ret­ta­men­te la si­tua­zio­ne, si sa­reb­be for­se po­tu­to cer­ca­re di raf­for­za­re la tre­gua, sen­za get­ta­re tut­to il bia­si­mo sui ser­bi. Io avrei raf­for­za­to il nu­me­ro di os­ser­va­to­ri in­ter­na­zio­na­li e la­scia­to che la guer­ri­glia fa­ces­se il suo cor­so, com’è ac­ca­du­to in Su­da­fri­ca e al­tro­ve fi­no a in­de­bo­li­re il po­te­re cen­tra­le e for­se avrei mi­nac­cia­to un in­ter­ven­to di trup­pe di ter­ra, ma non bom­bar­da­to. Sul­la mo­ra­li­tà dei bom­bar­da­men­ti nu­tro mol­ti dub­bi.
La stam­pa di quel pe­rio­do no­tò il ruo­lo di Ma­de­lei­ne Al­bright, Se­gre­ta­rio di Sta­to USA sot­to la pre­si­den­za di Bill Clin­ton. L'equi­va­len­te ame­ri­ca­no di un mi­ni­stro de­gli este­ri spin­ge­va per un in­ter­ven­to mi­li­ta­re, men­tre l'am­mi­ni­stra­zio­ne ame­ri­ca­na era pro­pen­sa al­la neu­tra­li­tà, ve­den­do il Ko­so­vo più co­me una que­stio­ne eu­ro­pea.
La Al­bright, co­me al­cu­ni gior­na­li no­ta­ro­no, è ebrea di ori­gi­ne po­lac­ca e vis­se in pri­ma per­so­na l'eso­do for­za­to di un po­po­lo e le de­por­ta­zio­ni na­zi­ste du­ran­te la se­con­da guer­ra mon­dia­le, fat­ti che fu­ro­no pa­ra­go­na­ti a quel­li com­piu­ti dai ser­bi sul­la po­po­la­zio­ne al­ba­ne­se ko­so­va­ra.
Il 24 mar­zo 1999 l'Al­lean­za Atlan­ti­ca pre­se at­to del fal­li­men­to dei ne­go­zia­ti ed ini­ziò sen­za un prov­ve­di­men­to in que­sto sen­so da par­te dell'ONU, a cau­sa del mi­nac­cia­to ve­to di Rus­sia e Ci­na al­cu­ne ope­ra­zio­ni mi­li­ta­ri di dis­sua­sio­ne nel­la spe­ran­za di ot­te­ne­re una re­pli­ca di quan­to già av­ven­ne per i ne­go­zia­ti per il con­flit­to bo­snia­co, do­ve an­che lì la de­le­ga­zio­ne ser­ba ab­ban­do­nò im­prov­vi­sa­men­te la trat­ta­ti­va ri­pren­den­do im­me­dia­ta­men­te le ope­ra­zio­ni mi­li­ta­ri.
In quell’oc­ca­sio­ne po­che ope­ra­zio­ni mi­li­ta­ri di dis­sua­sio­ne sul­le li­nee ser­be con­vin­se­ro il re­gi­me di Mi­loše­vić a ri­tor­na­re al ta­vo­lo del­le trat­ta­ti­ve e a fir­ma­re e ri­spet­ta­re la fi­ne del con­flit­to.
Ta­le cir­co­stan­za non si ri­pe­té nel ca­so del Ko­so­vo, pre­su­mi­bil­men­te per­ché Mi­lo­se­vic, che pun­ta­va in mo­do piut­to­sto tra­spa­ren­te ad una sua spar­ti­zio­ne tra Ser­bia e Al­ba­nia, ri­te­ne­va di po­ter con­ta­re su de­ter­mi­na­te al­lean­ze, o sem­pli­ce­men­te su di un mu­ta­to qua­dro in­ter­na­zio­na­le che pen­sa­va avreb­be gio­ca­to a suo fa­vo­re.
La Ci­na ave­va ma­ni­fe­sta­to una net­ta con­tra­rie­tà nei con­fron­ti del­la neo­na­ta re­pub­bli­ca di Ma­ce­do­nia (ver­so la qua­le l'eser­ci­to ser­bo cer­cò di spin­ge­re la po­po­la­zio­ne del Ko­so­vo in fu­ga) a cau­sa del ri­co­no­sci­men­to di Tai­wan da par­te di que­st'ul­ti­ma, cir­co­stan­za che sem­bra es­se­re sta­ta la mo­ti­va­zio­ne do­mi­nan­te del­la mi­nac­cia di ve­to ci­ne­se ad ogni in­ter­ven­to in se­de ONU.
La Rus­sia ave­va ini­zia­to un re­cu­pe­ro del­la con­flit­tua­li­tà con gli USA in chia­ve na­zio­na­li­sta, e inol­tre tra rus­si e ser­bi esi­ste sto­ri­ca­men­te un le­ga­me par­ti­co­la­re su ba­se et­ni­co-re­li­gio­sa. La NA­TO ini­ziò quin­di un’esca­la­tion di bom­bar­da­men­ti ae­rei su tut­to il pae­se che so­no du­ra­ti ol­tre due me­si ope­ra­zio­ne Al­lied For­ce.
I jet del­la NA­TO par­ti­va­no so­prat­tut­to da ba­si mi­li­ta­ri ita­lia­ne, co­me quel­la di Avia­no, in Friu­li Ve­ne­zia Giu­lia. Da Avia­no e dal­le al­tre ba­si NA­TO ita­lia­ne pre­se­ro il vo­lo i cac­cia­bom­bar­die­ri: la guer­ra si ten­ne tut­ta su que­sto li­vel­lo emi­nen­te­men­te ae­reo, sen­za pre­sen­za di trup­pe sul suo­lo, per mi­ni­miz­za­re – si dis­se – i ri­schi per i sol­da­ti del­la NA­TO; a po­ste­rio­ri si è an­che so­ste­nu­to che la scel­ta fu det­ta­ta dall'as­sen­za di una chia­ra stra­te­gia su che co­sa si vo­les­se ve­ra­men­te ot­te­ne­re e co­me ot­te­ner­la.
A se­gui­to del­la de­ci­sio­ne del­la NA­TO, il go­ver­no D'Ale­ma au­to­riz­zò l'uti­liz­zo del­lo spa­zio ae­reo ita­lia­no. Fu il se­con­do in­ter­ven­to mi­li­ta­re ita­lia­no a ca­rat­te­re of­fen­si­vo dal­la fi­ne del­la Se­con­da Guer­ra Mon­dia­le, do­po la pri­ma Guer­ra del Gol­fo con­tro l'Iraq nel 1991.
In me­dia, la Ser­bia su­bi­va al­me­no 600 raid ae­rei al gior­no. Il nu­me­ro esat­to di vit­ti­me del­la guer­ra, sia ser­be che al­ba­ne­si, mi­li­ta­ri e ci­vi­li, non è an­co­ra og­gi co­no­sciu­to con esat­tez­za, ma è pre­su­mi­bi­le sia dell’or­di­ne di qual­che mi­glia­ia.
Si trat­ta di un’ul­te­rio­re tra­ge­dia che si som­ma a quel­la dei die­ci pre­ce­den­ti an­ni di con­flit­ti bal­ca­ni­ci, che han­no fat­to cir­ca 250.000 vit­ti­me, in gran par­te ci­vi­li.
Si­ti del Ko­so­vo e Ser­bia sud-orien­ta­le do­ve l'avia­zio­ne NA­TO ha uti­liz­za­to mu­ni­zio­ni all'ura­nio im­po­ve­ri­to du­ran­te i bom­bar­da­men­ti del 1999.
Nel cor­so del con­flit­to ci so­no sta­ti di­ver­si gra­vi epi­so­di: in un'oc­ca­sio­ne un at­tac­co ae­reo col­pì un con­vo­glio di ci­vi­li in fu­ga fa­cen­do una stra­ge.
Un'al­tra vol­ta, un mis­si­le fi­nì per er­ro­re in Bul­ga­ria, sen­za pro­vo­ca­re dan­ni. Tra le in­fra­strut­tu­re pre­se di mi­ra an­che al­cu­ni pon­ti e cen­tra­li elet­tri­che ini­zial­men­te bom­bar­da­te con spe­cia­li bom­be al­la gra­fi­te che non pro­vo­ca­no ...

Table of contents

  1. Prefazione
  2. La Partenza
  3. L’arrivo
  4. Il Cambio Di Reggimento
  5. Gorazdevac
  6. Il Quick Reaction Force
  7. La Vita nella Base
  8. L’Attacco degli Albanesi
  9. Un Iniziativa per i bambini
  10. La Povertà
  11. Il Natale
  12. Gli Scontri tra Serbi e Albanesi
  13. Capodanno
  14. 9 Gennaio 2001
  15. Una Settimana Diversa
  16. Esperienza con l’Esercito Argentito
  17. Rientro alla Base
  18. Verso la Fine Della Missione
  19. Il Rientro in Italia
  20. Ringraziamenti
  21. Biografia