Il cammino della speranza
Antonio è il quinto di cinque fratelli; studioso, chiuso, introverso, lascia poco spazio per eventuali amicizie.
La sua bontà lo rende disponibile verso chi ne ha bisogno.
Franco un vicino di casa, padre di ragazzi suoi coetanei, lo attira con una scusa nella sua stalla, un aiuto per mungere le mucche.
Una volta chiusa la porta, lo immobilizza con le sue forti braccia e lo violenta.
Antonio è paralizzato la sua bocca non riesce ad emettere alcun suono, a testa bassa fugge via sentendosi responsabile di quello che è accaduto, la sua paura è che possa trapelare dalla sua espressione la sua colpa.
I suoi tredici anni d’un tratto diventano pesanti come un macigno, il segreto che si porta dentro lo deteriora facendolo piombare in uno stato di completa apatia.
I famigliari, di estrazione molto semplice, dapprima cercano a loro modo di aiutarlo, di spronarlo ad uscire, ma lui già così solitario di natura si chiude sempre più in se stesso, si rifiuta di partecipare anche alla vita famigliare, il padre è sempre fuori si adatta a qualsiasi lavoro; da bracciante a muratore a uomo di fatica, d'altronde il suo obbiettivo è quello di sfamare troppe bocche.
Mamma Alba fa un po’ da chioccia per i suoi figli, lavare stirare e preparare i pasti per dei lupi quali sono i suoi cuccioli, poi se capita qualche servizio o come lavandaia o stiratrice, si presta volentieri per far quadrare il bilancio.
Lo stato di salute di Antonio non fa che peggiorare ora è quasi impossibile fargli espletare le più semplici mansioni, rifiuta di lavarsi, di andare a scuola, in alcuni momenti vaneggia, i genitori anche se con grandi sacrifici avevano riposto in lui molte speranze dato che per lo studio sembrava proprio portato.
Il medico condotto lo visita e scuotendo la testa dice:
“Così non va bene il ragazzo va curato seriamente.”
La signora Alba guarda il dottore con aria preoccupata e interrogativa
“Ma allora cosa si deve fare?”
“Un ricovero sarebbe la cosa migliore, le preparo subito la richiesta per l’ospedale, naturalmente ci vuole anche il consenso di voi genitori.”
E così Antonio inconsapevole docile come un agnellino si ritrova ricoverato in un manicomio.
Una visita un po’ superficiale sentenzia che il ragazzo è un maniaco depressivo.
I farmaci somministrati in un modo eccessivo rendono Antonio sempre più apatico, assente, tanto da costringerlo spesso a letto con lo sguardo fisso al soffitto.
I medici decidono per una terapia d’urto: elettroshock.
Il ragazzo viene caricato su una barella e portato in una stanza con tante persone in camice bianco che si agitano attorno a una donna ormai incosciente che viene portata via.
È il turno di Antonio che ignaro e arrendevole si adagia su un lettino un po’ stretto, viene legato, gli viene messa una cuffia una salvietta tra i denti ed una scarica improvvisa lo travolge dalla testa ai piedi, il tutto ripetuto più volte fino a lasciarlo senza più nessuna percezione, un abbandono totale delle sue forze, una totale incoscienza.
Quando Antonio si risveglia, non riesce a capire da quante ore si trova in quella stanza, si sforza ma non riesce a ricordare la ben che minima cosa di come si possa trovare in quel letto, l’unico ricordo è quell’orribile tortura che gli è stata praticata.
Un’infermiera arriva con un vassoio
“È ora di mangiare qualcosa.”
“Ho la nausea,” risponde il ragazzo.
“Su su che poi ci laviamo e andiamo nel salone dove ci sono tutti gli altri.”
Quasi trascinato Antonio viene portato in una stanza affollata di persone le quali ognuna fa una cosa diversa, c’è chi se la prende con qualcuno non presente, alcuni battono la testa al muro, altri continuano a far girare un oggetto tra le mani, poi ci sono taluni che si credono dei personaggi famosi, uno va incontro ad Antonio intavola un discorso e non vuole essere contraddetto, certuni sono dentro una specie di recinto guardati a vista dagli infermieri insomma una vera baraonda.
Antonio vede una sedia libera ci si siede ma arriva di corsa una ragazza e gli urla:
“Quella sedia è la mia.”
“Non lo sapevo,” alzandosi di fretta e inciampando si ritrova in terra, un infermiere lo aiuta ad alzarsi,
“Tutto a posto?”
“Si grazie non credevo, quasi a scusarsi, che i posti fossero assegnati.”
Le torture non sono finite, oltre all’elettroshock ora ci sono i bagni, sia bollenti che ghiacciati, ad allietare le giornate della maggior parte dei pazienti, e guai a lamentarsi, il trattamento si prolungherebbe ancora di più.
Giorno dopo giorno Antonio si rende conto di essere completamente nelle mani di altri, che oltre che la dipendenza da farmaci vi è quella psicologica, il non poter far nulla senza l’aiuto di infermieri, assistenti e medici soprattutto che praticano cure che tendono ad indebolire più che il fisico la mente e sentirsi completamente succubi di aiuti deleteri.
Lui che in quell’inferno, ha vissuto in solitudine la masturbazione maniacale, convinto di essere inadeguato per un rapporto con una donna.
La prima cotta a nove anni, con il terrore di manifestarsi ad una bambina con dei riccioli biondi, di nome Gemma, per lui il massimo dell’emisfero femminile e quando per caso lei gli rivolgeva la parola il suo viso diventava paonazzo, non riuscendo più a spiccicare una parola, una di quelle ripetuta fra se e se. Frasi con le quali manifestare tutto il suo amore ma lei fuggiva sempre via attratta dai giochi che qualche bambino un po’ più scaltro gli proponeva.
La situazione non cambia, le regole di quel posto e le persone che vi soggiornano farebbero impazzire anche i soggetti più sani, i sanitari che vi lavorano, sembrano ormai assuefatti alle sevizie che si praticano ai pazienti che anziché guarire peggiorano.
Un medico nuovo, viene assegnato al reparto di Antonio. Lo convoca nel suo studio e gli propone di far parte di un progetto sperimentale, Antonio non dimostra molto interesse, per lui una terapia vale l’altra, la sua apatia non gli consente di fare scelte, le precedenti a cui era stato sottoposto erano state effettuate senza chiedere il suo consenso.
“Ciao Antonio come stai?” Nessuna risposta.
“Domani iniziamo la nuova cura.” Taglia corto il dottore togliendo il paziente dall’imbarazzo.
Un’infermiera il mattino dopo accompagna nello studio del dott. Leonardo, Antonio che in piedi sulla porta non riesce a tenere ferme le mani in preda ad un evidente stato di agitazione.
“Siediti non aver paura i nostri incontri saranno abbastanza frequenti e i farmaci che fino ora ti sono stati somministrati verranno diminuiti, la cosa fondamentale sarà la fiducia che si deve istaurare tra noi.”
Antonio rimane in silenzio in quel posto ha imparato a non esprimere con troppa fretta le sue opinioni, il dottore capisce la sua reticenza e lo scetticismo verso i medici probabilmente dovuto agli incontri fatti in precedenza e lo la lascia libero di ritirarsi dicendo:
“Riprendiamo la prossima volta.”
Il dott. Leonardo non usa sistemi coercitivi e giorno dopo giorno con molta fatica riesce a tirar fuori qualche parola dalla bocca del suo paziente e come magia un giorno lui parla del suo passato.
Antonio torna bambino e rivive la sua difficoltà ad allacciare amicizie, la timidezza che lo allontanava addirittura dai famigliari, la sua disponibilità verso chi aveva bisogno, che agli occhi degli altri lo faceva sembrare uno stupido.
Il dottore capisce di aver finalmente aperto un varco nell’intimo di un uomo che si è costruito una corazza come difesa,
”Continuiamo il discorso domani Antonio.”
La notte è così difficile fare un buon sonno ristoratore compaiono sempre i vecchi fantasmi e le cure che gli sono state praticate.
La paura quando un infermiere gli si avvicina e che lo possa trascinare di nuovo nella stanza delle torture.
Gli appuntamenti con il dottore sono un modo per spezzare una giornata che non finisce mai, visto che le medicine sono state diminuite non ha più quello stato di assenza che non gli faceva avere la cognizione del tempo.
“Antonio ti ricordi a quando risale il periodo del tuo malessere?”
“No dottore però ero ancora un bambino.”
“Ed è successo per un motivo in particolare? o per un torto che hai ricevuto?”
“Io nella mia ingenuità mi sono fidato di una persona, un vicino di casa che come altre volte mi chiamava per aiutarlo nella stalla, lui è stato brutale, violento ed io mi sono portato quella macchia dietro per anni come una colpa.”
“Ma ne hai parlato ai tuoi genitori?”
“Non ho avuto il coraggio.”
Il dott. Leonardo si alza si avvicina ad Antonio gli poggia le mani sulla schiena consolandolo dice:
“Ora che sei riuscito a rimuovere questo doloroso episodio ti sentirai più libero da quei fantasmi che ti vengono a trovare la notte.”
Il peso sicuramente che attanagliava Antonio si è alleggerito, riesce a parlare di se durante i colloqui con meno difficoltà anche perché tra lui e il medico si è istaurata una certa fiducia.
Le sedute hanno un effetto benefico per Antonio, ma soprattutto il calore umano che respira in quella stanza gli comunicano una sensazione a lui sconosciuta o perlomeno dimenticata, accorgersi poi che sta ritrovando un’identità che credeva perduta, che la sua testa non ha più quel senso di vuoto ma che riesce a tenere una conversazione.
Dopo tanto tempo i suoi genitori gli hanno fatto visita, questo lui pensava, ma la mamma dice:
“Non ti ricordi le altre volte che siamo venuti?”
Antonio ci pensa su un attimo poi,
”No non lo ricordo assolutamente.”
La conversazione procede con le domande che m...