Atlante inutile del mondo
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Atlante inutile del mondo

100 luoghi che non hanno fatto la storia

Albano Marcarini

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Atlante inutile del mondo

100 luoghi che non hanno fatto la storia

Albano Marcarini

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Un repertorio di anomalie geopolitiche che raramente hanno avuto un posto nella storia o hanno lasciato un segno nella geografia: repubbliche scombinate, regni effimeri, imprese utopiche, assurdità confinarie, isole perdute o mai nate, città improbabili. Da Benzinopoli alle Formiche di Grosseto, dal Monte Bianco a Semifonte ma anche dall'Isola dei Fagiani alla Caliacra, dall'Hôtel BelvÊdère all'Isola di Gigha, dai Chevsuri al Buganda, dall'Isola Inaccessibile all'Isola Zero.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2021
ISBN
9788836004942

EUROPA

Ada Kaleh
Arne
Arsa e Arsia
Barcelos
Caliacra
Charlottenburg
Combe de l’Â
Cortizza/Khortytsya
Eriskay
Helgoland
Hôtel BÊlvèdere
HuculskĂĄ republika
Isle of Gigha
Isle of Man
Isle of May
Isola dei Fagiani/Île des Faisans
KomaĂącza republika
Kropyvnyc’kyi
La Cure
Merna/Miren
Mont Chaberton
Mont Iseran
Moresnet
Pelagosa/PalagruĹža
Porkkalanniemi
Posnania
Rutenia
SĂ seno/Sazan
The Minkies
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Ada Kaleh

Tavola 24 - Isole44°42’58”N - 22°27’20”E —
Romania
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In rumeno è Orsovei, in serbo Ursova, in tedesco Neu-Orschowa, Aba-I-Kebir in arabo, Porizza in italiano, ma i suoi abitanti turchi la conoscevano come Ada Kaleh, Isola della Fortezza. Nonostante questa poliglotta esibizione, era una lingua di terra, per i malevoli uno sputo di fango - lunga meno di 2 chilometri, larga 400 metri - che stava nel mezzo del Danubio, vicino alle Porte di Ferro, uno dei luoghi più immaginifici nelle pagine dei libri di geografia. Nel 1970 fu sommersa dall’invaso di una centrale idroelettrica e gli abitanti evacuati. Il nome cancellato dalle carte topografiche, come una specie di Atlantide balcanica. Sarebbe inutile parlarne se non fosse per il suo passato, intriso di tragico romanticismo come la versione che affida il significato del nome al sultano Kaleh, così infatuato della concubina Ada da abbandonare l’harem per vivere solo con lei sull’isola felice. Una prospettiva che l’insensibile donna non apprezzò lasciandosi affogare tra i flutti.
Nel 1878 il Congresso di Berlino pose fine alla guerra russo-turca. Nella revisione dei confini Ada Kaleh fu tralasciata nonostante la posizione strategica fra Austria-Ungheria, Serbia, Romania. Qualche malizioso sostenne che squadernando le mappe l’isola figurava talmente piccola da sfuggire alla rapace attenzione dei delegati. Se ne accorsero tardi, con i patti già ratificati dai vari governi. Così Ada Kaleh rimase turca attorniata da territori che il sultano aveva perduto. Anzi, con un moto d’orgoglio, la dichiarò di sua esclusiva proprietà riattando la moschea. Per quasi 50 anni costituì il più avanzato presidio ottomano in Europa, una minuscola spina nel fianco delle potenze continentali. Trattandosi di exclave, i suoi abitanti godettero di privilegi: niente tasse e servizio militare, contrabbando tollerato, porto franco con una vivace produzione di tabacco per una diffusa marca di sigarette: le Ada Kaleh. Nel villaggio di Ezarzia si beveva caffé turco, si fumava il narghilé, si gustavano i lokum e si vendevano tappeti come in qualsiasi luogo dell’Anatolia facendo affluire i visitatori. Fra questi anche Béla Bicsérdy, un ungherese che paragonandola a Shangri-la, vi trovò il luogo adatto dove far regnare la pace e dove professare una strana combinazione di zoroastrismo e veganismo alternato a lunghi digiuni. Quando i suoi seguaci iniziarono a morire di fame, la sua aura s’indebolì. Rifugiatosi in un villaggio del Montana vi morì nel 1951 a 79 anni mentre divorava un doppio hamburger. Nel frattempo, nel 1913, gli ungheresi decisero che era giunto il momento di metter fine a questo anacronismo geopolitico. Un battello sbarcò sull’isola issando i vessilli dell’imperatore Francesco Giuseppe. Dopo la prima guerra mondiale, la Romania ne rivendicò la sovranità che nel 1923 la Turchia riconobbe. Ma i suoi 600 abitanti rimasero turchi continuando a ricevere protezione: nel 1967 Süleyman Demirel, premier turco, vi fece visita promettendo loro una nuova casa nella madre patria quando l’isola sarebbe stata sommersa. Fu un addio doloroso che lasciò rimpianti. Patrick Leigh Fermor visitò Ada Kaleh nel 1934 (Fra i boschi e l’acqua) e scrisse che «vi aleggiava un senso di sopravvivenza primordiale, come se l’isola fosse il rifugio di una specie altrove estinta da tempo». La mappa mostra l’isola prima della sommersione.
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Arne

Tavola 25 - Insediamenti50°41’33” N - 2°02’24” O —
Regno Unito
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Durante la seconda guerra mondiale, si mettevano in atto strani espedienti per trarre in inganno il nemico. Nell’imminenza dei bombardamenti si costruivano esche infiammabili, a cui si dava innesco al momento giusto per simulare una città o un complesso industriale in fiamme, su cui gli aerei avrebbero scaricato inutilmente il loro mortale carico. Tali diversivi lungo le coste inglesi erano chiamati “starfish”, stella marina. Nel 1943 ne erano stati posizionati più di 200, raggiungendo un effetto scenico realistico tanto da risultare efficace. Un trucco nel quale i velivoli tedeschi cascarono per ben 750 volte, contribuendo a limitare il numero delle vittime civili della guerra.
Talvolta, per rendere ancor più credibile la trappola, si arrivava a sacrificare un intero villaggio, ampliandone ad arte la superficie, dopo lo sfollamento degli abitanti. Arne, un pacifico villaggio del Dorset, circa 150 chilometri a sud-ovest di Londra, subì questo triste destino allo scopo di proteggere una fabbrica di munizioni per la Marina britannica, dislocata poco distante. Tubi di paraffina posati a terra, lunghi centinaia di metri, e serbatoi d’olio combustibile a lento rilascio disegnavano nella notte diabolici arabeschi di luce che attiravano l’attenzione dei puntatori dei micidiali bombardieri tedeschi Heinkel 177. Nella notte fra il 3 e il 4 giugno 1942, mentre nel Pacifico si combatteva la battaglia delle Midway, essi colpirono pesantemente l’obiettivo causando un incendio che bruciò per sei settimane. Erano le incursioni che seguivano di pochi giorni il Baedeker Blitz, così chiamato dal titolo della popolare guida turistica stampata a Lipsia e perché rivolto verso i centri storici e culturali dell’Inghilterra. La fabbrica di armi restò indenne, ma Arne fu rasa al suolo, crivellata da oltre 200 crateri provocati dalle bombe.
Nel dopoguerra il villaggio non fu più ricostruito. La natura, grande modellatrice del mondo, riprese il sopravvento e, nel 1966, si decise di farne un’oasi naturalistica: i crateri, col tempo, si sono trasformati in zone umide per gli uccelli migratori, le postazioni delle contraeree divennero luoghi di nidificazione, i bunker osservatori per il birdwatching, alcuni edifici simbolo del villaggio furono rimessi in piedi a imperitura memoria. Oggi, ogni domenica, schiere di appassionati, binocoli alla mano, si dedicano all’osservazione della spatola o della sfuggente magnanina (Sylvia undata), un uccellino insettivoro che ha adottato l’oasi, simbolo vivente della risurrezione di un luogo martoriato dalla guerra.
Esiste una morale in tutto questo? Probabilmente sì. C’è una canzone di Francesco Guccini, immancabile nelle playlist giovanili delle notti d’estate degli anni ’70, che fa al caso nostro: «E dai boschi e dal mare ritorna la vita, e ancora la terra sarà popolata; fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni e ancora il mondo percorrerà gli spazi di sempre per mille secoli almeno, ma noi non ci saremo, noi non ci saremo».
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Arsa e Arsia

Tavola 26 - Acque45°04’05”N - 14°05’30”E —
Croazia
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Ci fu una forte indignazione nei confronti della politica ambientale del governo sovietico quando, sul finire del secolo scorso, annunciò il prosciugamento del Mare, o Lago d’Aral. Non era proprio una pozzanghera visto che aveva una superficie di 68 mila chilometri quadri, quarto lago più grande del mondo. Anche noi però, nel nostro piccolo, abbiamo, senza troppe polemiche, qualche scheletro negli armadi dietro la necessità di debellare la malaria e destinare nuove terre all’agricoltura. Basti pensare al Fucino, in Abruzzo, il cui prosciugamento iniziò con i Romani e durò secoli fino a quando, nel 1856, il principe banchiere Alessandro Torlonia non ebbe a pronunciare la lapidaria frase: «O io prosciugo il Fucino o il Fucino prosciuga me!». Prosciugò il Fucino.
Un altro esempio, meno eclatante ma dagli stessi esiti, riguarda il Lago d’Arsa, o Lago di Čepić, il più grande dell’Istria, prosciugato fra il 1928 e il 1932, quando la penisola era italiana. Come nel Fucino si costruì un emissario artificiale, della lunghezza di 5 chilometri, che una volta rotto il diaframma convogliò le acque verso il mare in circa 30 minuti. L’evento fu celebrato l’11 dicembre 1932 con la consueta retorica, tanto di filmati dell’Istituto Luce e di volti sgomenti della popolazione alla quale non corrispose nulla dei 4000 ettari di nuove terre agricole, consegnate ai combattenti reduci della Grande Guerra. Ai contadini istriani, per tirar su il morale, si prese un villaggio vicino, nominato Čepić, e lo si ribattezzò Felìcia. Operazione toponomastica fra l’altro urgente poiché il corrispondente croato del termine Čepić, tra gli altri significati, ha anche quello di "supposta"... che, a pensarci, sintetizzava bene il trattamento riservato alla popolazione locale.
Gli interventi di regime non finirono lì. La zona era nota per un giacimento di carbone, ampiamente sfruttato dall’Italia fra le due guerre, tanto da progettare nel 1936 Liburnia, che poi si chiamerà Arsia, una delle “città nuove” del fascismo, riservata ai minatori, anticipatrice della sarda Carbonia. Alla fondazione si presentò il Duce. Dando sfoggio di multitasking scese in miniera cimentandosi per una decina di minuti nel duro lavoro del minatore. Ma a parte il tocco esibizionista, Arsia era davvero bella: 150 casette, strade alberate, campo sportivo, Casa del fascio e del Balilla, dopolavoro, spaccio aziendale, mensaalbergo, Poste e Telegrafi, cinema, scuola eccetera. E su tutto una chiesa con la forma di un carrello da miniera rovesciato e un campanile a somiglianza di una lampada da minatore, tanto per restare in tema. Ad Arsia vissero fino a 10 mila abitanti, di cui 6370 minatori. Nel 1938 si estrasse dalle gallerie, lunghe 160 chilometri, un milione di tonnellate di carbone. Il 28 febbraio 1940 un’esplosione in miniera fece 185 vittime e 150 intossicati e di Arsi...

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