Il carcere spiegato ai ragazzi
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Il carcere spiegato ai ragazzi

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Il carcere spiegato ai ragazzi

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Di carcere si parla poco e male. E poco e male, di conseguenza, troppo spesso lo si conosce. Eppure è lì, un edificio concreto a volte perfino al centro delle città che abitiamo, un edificio astratto che racchiude un pezzo della nostra società e che è parte della collettività in cui viviamo.Alcuni episodi (pestaggi e decessi di detenuti) hanno talvolta riportato l'attenzione sul lato oscuro del sistema carcerario. Questo libro si propone di raccontarcelo e di farcelo capire nella sua autentica, dolente realtà. Lo fa con un linguaggio piano e comprensibile anche ai più giovani e con l'aiuto di illustrazioni di grandi vignettisti.Il volume descrive e spiega la realtà della reclusione in tutti i suoi aspetti, rendendola comprensibile al di fuori dei tanti pregiudizi che si hanno su di essa.Spariscono gli stereotipi e il carcere appare per quello che è: un mondo sofferente dove vengono rinchiuse le diverse categorie sociali svantaggiate, dove percorsi individuali difficili trovano un drammatico punto di arrivo.

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Information

Il trattamento
e i benefici di legge
Le pene, lo abbiamo visto nel capitolo precedente, devono tendere alla rieducazione del condannato. Il concetto di rieducazione è un concetto ambiguo, e la parola è stata scelta da chi ha scritto la Costituzione in parte proprio per questo. Evoca un impalpabile cambiamento interiore che dovrebbe collocarsi sullo sfondo di cambiamenti esteriori più concretamente osservabili, quali l’interruzione della vita criminale e la partecipazione ai vari aspetti della vita sociale ordinaria, quello lavorativo innanzitutto. Nell’Assemblea Costituente si potevano distinguere almeno tre anime: la cattolica, la comunista e la liberale. La scelta di riferirsi alla rieducazione del condannato parve una buona mediazione tra le diverse spinte di pensiero. Se volessimo però mantenerci su un terreno più neutro e obiettivo, che non invade la sfera intima del pentimento e del mutamento interno ma si limita a registrare comportamenti effettivi, potremmo parlare di risocializzazione o di reintegrazione sociale. Scopo delle pene è quello di contribuire a che il condannato sia reintegrato nella società, dalle cui regole ha deciso di deviare al momento della commissione del reato.
Chiediamoci dunque: come avviene questo processo di reintegrazione per colui che è condannato alla pena carceraria? Di quali strumenti si servono le istituzioni per tentare di raggiungere l’obiettivo? Tutto ciò che viene fatto per far sì che un condannato alla reclusione non commetta più reati viene chiamato, con un termine non molto bello, «trattamento». Le persone in carcere vengono «trattate» per essere rieducate o risocializzate.
Del trattamento si parla in quella che costituisce la legge fondamentale dello Stato italiano in materia di carcere, e che intende attuare quell’articolo 27 della Costituzione a base dell’intero sistema penale. La legge numero 354 del 26 luglio 1975 dal titolo Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, cui di solito ci si riferisce semplicemente come all’«ordinamento penitenziario», ha costituito la grande riforma del sistema carcerario nel nostro Paese, che prima poteva contare solo su un vecchio regolamento risalente all’era fascista. L’ordinamento penitenziario ha subito negli anni varie modifiche, tra cui molto rilevanti sono quelle introdotte nel 1986 dalla «legge Gozzini», così chiamata dal nome del senatore cattolico Mario Gozzini che vi lavorò e la propose al Parlamento. Ben più di recente, nel 2018, sono stati apportati alcuni cambiamenti normativi che, nelle intenzioni iniziali, avrebbero dovuto avvicinare il più possibile la vita in carcere a quella esterna, nonché puntare maggiormente sulle alternative alla detenzione. L’esito finale della riforma, tuttavia, non ha agito in modo troppo rilevante sulle linee di fondo dell’ordinamento penitenziario.
Il concetto di trattamento è introdotto fin dal primo articolo. Vi si legge che esso deve tendere, «anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale» e che «è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni» delle persone interessate. Il trattamento rieducativo si rivolge ai soli detenuti cosiddetti «definitivi», quelli che già hanno ricevuto una sentenza di condanna. Non è previsto per chi si trova in custodia cautelare in carcere per il quale, presunto innocente, nessuno può permettersi di dare per scontato che ci sia bisogno di rieducazione.
Potremmo grossolanamente distinguere nel trattamento rieducativo due filoni, che variamente cooperano tra di loro: il primo è costituito dall’insieme delle attività che allo scopo vengono organizzate all’interno del carcere e dai contatti che da qui si possono avere con l’ambiente esterno, il secondo dalle opportunità di lasciare l’istituto per periodi più o meno lunghi guadagnando pezzi di libertà a seguito di una buona condotta. La legge penitenziaria è netta nel dire che il trattamento, in entrambi questi suoi aspetti, deve essere individualizzato, vale a dire modellato sulle esigenze di risocializzazione del singolo condannato. A seguito di un’ambiziosa e non meglio precisata «osservazione scientifica della personalità» del detenuto, come viene chiamata nell’ordinamento, si provvede in teoria a tracciare il cammino che dovrebbe condurre all’abbandono del crimine e al rientro nella società. Accade in pratica che il gran numero di detenuti, a fronte dello scarso personale che si occupa del trattamento, renda quasi impossibile una considerazione attenta al singolo percorso da predisporre.
I contatti più importanti con il mondo esterno sono quelli che i detenuti hanno con i propri cari. È per questo che in Italia vige il cosiddetto «principio della territorializzazione della pena», che vuole che la pena carceraria venga scontata, se non ci sono specifici motivi contrari, in istituti vicini alla residenza famigliare, così da facilitare le relazioni in vista del trattamento. A causa del sovraffollamento, della disorganizzazione, a volte della volontà di punire in questo modo i detenuti, la territorializzazione della pena non è sempre rispettata. La distanza dai propri affetti è uno dei problemi maggiormente sentiti da chi è in carcere.
Tranne che in alcuni casi previsti dalla legge e legati a particolari reati, a ciascun detenuto spettano sei ore di colloquio al mese con famigliari e conviventi. Per le cosiddette «terze persone», che non rientrano in alcuna di queste due categorie, ci vogliono autorizzazioni speciali. Gli incontri avvengono in stanze apposite o in spazi all’aperto chiamati «aree verdi». A volte mogli, madri e figli devono affrontare lunghe attese in condizioni disagiate prima di poter accedere. C’è sempre un poliziotto che controlla quello che accade, ma non gli è consentito ascoltare le conversazioni. In particolari circostanze, ad esempio in caso di grave malattia o di figli piccoli, i colloqui possono essere più numerosi o più prolungati. A volte viene consentito di accorpare più ore di visita assieme. Altre volte no, e chi viene da lontano deve sobbarcarsi lunghi viaggi settimanali oppure rinunciare. Allora si possono sfruttare le telefonate: ne spettano una a settimana, ciascuna di dieci minuti al massimo, verso telefoni che devono risultare controllabili. Per gli stranieri i controlli possono essere difficili e talvolta le telefonate semplicemente non vengono autorizzate. Si possono infine scrivere delle lettere, che verranno controllate da un funzionario del carcere nel caso in cui il magistrato lo disponga.
I detenuti non hanno alcun accesso diretto alla posta elettronica, che pur potrebbe essere parimenti controllata e risultare in un più rapido ed efficace strumento di comunicazione. Esiste qualche servizio privato a pagamento che si basa sulla scansione e l’invio delle lettere cartacee. Similmente, la possibilità di effettuare colloqui a distanza attraverso collegamenti audiovisivi non è riuscita ad affermarsi nelle carceri, nonostante fosse stata auspicata dallo stesso Ministero della Giustizia e nonostante necessiti di un supporto tecnologico elementare. Eppure costituirebbe un grande sostegno per tutti coloro che hanno i propri affetti lontano, primi tra tutti i detenuti stranieri. L’amministrazione penitenziaria sembra oggi decisa a risolvere questo problema in tempi brevi.
Le opportunità di accedere alla rete sono in carcere molto limitate, riguardando pochi istituti, gruppi selezionati di detenuti impegnati nello studio, siti controllati. In generale ai detenuti non è permesso di consultare con continuità siti di informazione, nonostante la legge ne garantisca l’accesso. Se vogliono approfondire quanto accade nel mondo esterno devono sperare in qualche giornale cartaceo che talvolta viene spedito agli istituti penitenziari oppure pagarsi un abbonamento con i propri soldi. Chi è in carcere da lungo tempo non avrà avuto modo di costruirsi alcuna abilità informatica. Una volta scontata la pena, si ritroverà scaraventato in un mondo che non sarà capace di usare e decodificare. Tutto ciò non aiuterà certo il suo percorso di reintegrazione sociale.
La legge penitenziaria prevede che il detenuto segua dei corsi scolastici, che lo si faccia lavorare, che lo si coinvolga in attività sportive, culturali, ricreative e anche religiose. A volte però questo non accade e capita invece che i detenuti vivano buona parte della giornata chiusi in cella a non fare niente e senza poter essere minimamente di aiuto a se stessi e alla società. Una delle cause principali di ciò è stato in vari periodi il forte sovraffollamento in cui hanno versato gli istituti di pena, il quale faceva sì che non vi fossero abbastanza spazi né abbastanza personale per organizzare le attività del trattamento.
In Italia il sistema delle pene è un sistema flessibile: la pena ricevuta da un condannato alla fine del processo può venire modificata a seconda dell’atteggiamento da lui tenuto. Il detenuto è invogliato a comportarsi bene e a impegnarsi nel trattamento. Ciò aiuta non solo la sua reintegrazione sociale ma anche il mantenimento dell’ordine interno alle carceri. La legge Gozzini, facendo sì che il detenuto abbia uno specifico interesse nel mostrare una condotta mite, è stata pensata anche allo scopo di contrastare le rivolte penitenziarie che avevano trovato spazio negli anni precedenti. E veniamo così al secondo dei filoni individuati poco sopra, quello che riguarda i benefici penitenziari, vale a dire le opportunità di uscire dal carcere prima del termine segnato nella sentenza.
La legge prevede innanzitutto che, se il detenuto mantiene una buona condotta, possa usufruire della liberazione anticipata, vale a dire di uno sconto di pena di quarantacinque giorni per ogni semestre trascorso in carcere. Durante il periodo di detenzione può inoltre vedersi concedere dei permessi premio di alcuni giorni, fino a quindici consecutivi, per tornare dai propri cari o coltivare interessi culturali e lavorativi. Vi sono infine le misure alternative alla detenzione, che costituiscono l’aspetto più rilevante della flessibilità della pena. La legge penitenziaria prevede che al condannato possa venir concessa l’opportunità di scontare, in parte o interamente, la propria pena al di fuori delle mura carcerarie, seppur sotto il controllo costante delle forze dell’ordine e dei servizi sociali.
Tre sono le misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento, diverse tra loro sia per le modalità di vita che per i criteri con cui vi si accede: l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà. A seconda dei vari casi, al detenuto è offerta l’opportunità di vivere, lavorare, studiare, curarsi all’esterno dell’istituto, rientrando in prigione per la notte o anche dormendo a casa propria.
Sono i giudici che decidono se fare uscire o meno un detenuto – sempre che questi ricada nei criteri previsti dalla legge per poter avere il beneficio, relativi tra le altre cose alla percentuale di pena già scontata in prigione – sulla base di ciò che di lui raccontano gli esperti che lavorano nel carcere. Si tratta di una grande responsabilità. Nessun giudice potrà mai avere la certezza di aver preso la decisione giusta. Nessun medico, d’altra parte, potrà esser certo di non sbagliare sulla malattia diagnosticata e sulla cura decisa. Sono decisioni, tuttavia, che bisogna avere il coraggio di prendere.
Capita che un detenuto in misura alternativa commetta un reato mentre è al di fuori del carcere. Ma – per quanto si tratti di episodi che destano molto clamore e che riempiono televisioni e giornali di cronache e commenti, lasciando nell’opinione pubblica l’impressione che accadano di frequente – se andiamo a consultare le statistiche scopriamo che sono eventi estremamente rari, riguardando meno dell’uno per cento dei casi. Viceversa, uno studio ha rilevato che questo sistema funziona bene anche in quel che garantisce al termine della pena: più del 65% di coloro che la scontano interamente in carcere torna a delinquere, a fronte del 20% di coloro che usufruiscono di un beneficio di legge. La fiducia data al detenuto è quasi sempre ripagata. L’aver trascorso parte della pena impegnato in attività utili alla propria crescita professionale, culturale, affettiva è un aiuto concreto al suo allontanamento dalla vita criminale. I dati ci dicono dunque che i benefici penitenziari, riducendo il numero dei reati commessi, aiutano la sicurezza della società.
Eppure il sistema delle misure alternative non è certo usato quanto potrebbe. Molti sono i detenuti che teoricamente rientrano nei parametri di legge per poter accedervi ma cui i magistrati non concedono la misura. L’ingiustificato allarme creatosi nella società non aiuta una decisione obiettiva. Il giudice sa che, se malauguratamente il detenuto dovesse comportarsi in maniera scorretta, la stampa, la politica, l’opinione pubblica si scaglieranno contro di lui parlando di scarcerazioni facili e mancanza di certezza della pena.
Le misure alternative sono viste dalla maggior parte della gente come più o meno equivalenti alla libertà totale. Questo non è affatto vero. Le misure alternative sono una pena a tutti gli effetti. La persona è sottoposta a moltissime restrizioni, a controlli continui, a obblighi lavorativi, a seguire certi percorsi stradali e non altri, a rispettare rigidi orari e via dicendo. Semplicemente, usa il tempo della propria pena in una maniera più utile – tanto a lui stesso e al suo percorso di risocializzazione quanto alla collettività – rispetto a quella di stare chiuso in una cella a oziare.
Si aggiunga a ciò che l’accesso ai benefici ha subito, dall’approvazione della legge Gozzini a oggi, alcune limitazioni. Nel 1991, a seguito dell’espandersi dei fenomeni mafiosi, si è introdotto nella legge penitenziaria un nuovo articolo, il 4 -bis, volto a precludere permessi premio e misure alternative a coloro che sono in carcere per mafia, terrorismo, sequestro di persona o associazione a delinquere diretta al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, a meno di condizioni molto stringenti legate essenzialmente alla collaborazione del detenuto con la giustizia, vale a dire al suo essere disposto a indicare i nomi dei compagni di crimine di un tempo. Un’ulteriore restrizione introdotta nel 2005 aveva riguardato un numero ben più alto di detenuti.
L’accesso ai benefici di legge era stato limitato per i recidivi, vale a dire per coloro che, terminato di scontare una pena, sono tornati a commettere un reato. In seguito tuttavia il legislatore ha fatto su questo un passo indietro. Le carceri italiane sono piene di recidivi. È tipico della microcriminalità da strada – quella che sempre più caratterizza la nostra popolazione detenuta – macchiarsi di piccoli e ripetuti reati, in uno stile di vita che conduce a entrare e uscire di prigione a ritmi frenetici.
Alla luce delle statistiche sui successi delle misure alternative nella prevenzione del crimine, possiamo dire che le restri...

Table of contents

  1. Prefazione
  2. Cos’e’ il carcere?
  3. Chi sta in carcere?
  4. A cosa serve il carcere?
  5. Il trattamento e i benefici di legge
  6. I poliziotti, gli educatori e tutti gli altri
  7. Le carceri non sono tutte uguali
  8. L’ingresso in carcere
  9. Il gergo carcerario
  10. La cella, la sezione, l’ora d’aria
  11. La violenza
  12. La salute
  13. Il lavoro e l’istruzione
  14. Le attivita’ penitenziarie
  15. Il carcere duro: punizioni e regimi speciali
  16. Gli stranieri detenuti
  17. I detenuti tossicodipendenti
  18. Le misure di sicurezza
  19. Ragazzi colpevoli e bambini innocenti
  20. Anche i detenuti hanno diritti
  21. I media
  22. Gli autori