Prendiamo corpo
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Prendiamo corpo

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Prendiamo corpo

About this book

Sedici autrici e autori di prestigio e un tema di scottante attualità portato in luce dalla pandemia Covid 19: il ruolo del corpo. L'occasione di questo confronto è stato un seminario organizzato dalla rete Effimera. Nelle tre parti del libro si analizza il rapporto tra corpi e lavoro contemporaneo nella smaterializzazione connessa al capitalismo di piattaforma. Si guarda poi alle politiche di disciplinamento conseguenti l'emergenza sanitaria, ma anche alle resistenze espresse dal sociale e alla rivendicazione di libertà e di indipendenza simbolica dal potere. Nell'ultima parte ci si interroga sul rapporto tra corpi e malattia nella sindemia: nuovi bisogni emergono nella crisi economica e del Welfare, nella incertezza del diritto, in uno spazio urbano che esclude donne e "non indispensabili". Tentativi di risposta a domande sulle quali dovremo ancora confrontarci a lungo.

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Information

Parte I
Corpi del capitale

Il sentire del cuore
Introduzione alla prima parte

Cristina Morini

Pensiero che non sente
non pensa veramente.
Solo un forte sentire
lo costringe a capire
la necessaria verità pr
esente1.
“Sentire” inteso non certo solo come capacità di ascoltare suoni e rumori grazie a un organo preposto (l’orecchio), ma come percezione complessiva del corpo. “Provare una sensazione fisica provocata da stimoli interni o esterni”. “Avvertire”. “Avere una certa “sensazione fisica”.
Partirei da questa parola per introdurre questo seminario di studio, il terzo che la rete Effimera ha organizzato sul tema del valore, e con ciò la prima parte dei nostri lavori.
Sentire del corpo, luogo di desideri, sentimenti e memorie, corpo-soggetto che, nella sua fragilità intrinseca e nelle ingiustizie di una società da sempre ineguale, facilmente rischia di essere assoggettato, soprattutto se non conforme non maschio, non bianco, non adulto. Un sistema complesso, biologico, anatomico e sociale, sessuato, in parte materia tangibile in parte pensiero intangibile, laddove la materia, il suo stato (essere in salute/in malattia; essere giovane/vecchio; essere benestante/essere in miseria) influisce sul pensiero e viceversa. Questo corpo, tra leggi naturali e leggi umane, mi consente di interagire con altri e con il mondo. Esso cambia, cresce, ha il potere di riprodurre un altro corpo, invecchia, si ammala, si trasforma. E nel cambiare modula anche il proprio modo di sentire. Ho questo corpo, dunque. Nella sua unicità e differenza da altri corpi. Anche se non è detto che esso corrisponda alla mia identità o a quella che mi viene assegnata. Il corpo non esaurisce l’io, ma è anche altro dall’io. Il corpo è condizionato, nel suo stare nel mondo, da una serie di dispositivi e apparati, regole, norme, gerarchie.
Non mi addentro oltre, non starò qui a pretendere di farvi una storia del corpo in pochi momenti, ma la premessa serve a dire è che questo corpo sensore, e la mente a esso inscindibilmente congiunta, messi entrambi, insieme, alla prova da un virus che sta attraversando i continenti, nella sua materialità interdipendente, è qualcosa con cui non dobbiamo mai dimenticare di fare i conti.
I femminismi hanno messo al centro i corpi. Le donne hanno sentito, parlato del, ascoltato il, esaminato, osservato il loro corpo. Hanno rivendicato di disporre dei propri corpi e della propria autonomia, hanno rivendicato una libertà d’azione e di pensiero espropriata sin dalla notte dei tempi, per farne oggetto accessibile al possesso da parte degli uomini.
Nel pensiero delle donne non c’è cesura tra natura e cultura. La rimozione del corpo è viceversa parte dell’esperienza maschile, così come lo è la riduzione al silenzio del corpo, l’estraneità del corpo, condizione per la fondazione di una individualità disposta secondo leggi dall’essere umano maschio dalle quali la donna, per secoli e secoli, è stata esclusa.
Per capire il nesso tra sapere e potere e per capire a fondo anche l’arcano del valore e della accumulazione capitalistica, “noi dobbiamo abbassarci noi stessi per scrutare lì dove vivono i corpi. Per rintracciare il marchio, la presa sui corpi che le norme producono”2. Per non soggiacere in modo completamente passivo alla presa sui corpi, anche in questo frangente storico ci siamo fatti guidare da una verità soggettiva, come ha scritto Luisa Muraro: “La verità soggettiva è un collegamento vivo, personale, con la realtà che cambia. Come si fa a dirla? […] Il come preciso non lo so ma cerchiamola praticamente nelle cose che facciamo (o non facciamo), combattendo l’inganno e l’auto-inganno”3. Con Foucault si potrebbe parlare della necessità di un lavoro del soggetto su di sé stesso, di cura di sé4. In tutti i casi questa verità è frutto delle esperienze diverse dei corpi ed stataforma di orientamento, tra tanta paura, solitudine e clamore osceno delle spettacolarizzazioni dei mass media, con l’invito a “starsene a casa” rivolto a tutti/e ma in presenza di una elevata percentuale di popolazione che è stata costretta ad andare al lavoro, ad ammalarsi nel lavoro.
Verità soggettiva, dicevo. Donna Haraway afferma che la conoscenza è sempre parziale. Essa è incompleta, dal momento che ogni punto di vista è sempre “situato” e non può cogliere tutto. Ma è anche “di parte”, poiché gli esseri umani non sono semplici dispositivi passivi ma sono guidati da interessi e desideri5.
Tuttavia è venuto il momento di riflettere insieme sul proble ma grande che abbiamo di fronte, un problema di portata storica, un virus sconosciuto, con grandi capacità di propagazione in tutto il mondo. Tutto questo senza smettere di interrogarci sulle forme dell’oppressione. La soggettività non può davvero fermarsi o chiudersi all’interno di sé stessa: proprio nel suo rapporto con la verità, ritrova la possibilità di aprirsi, anche contro sé stessa. Non è questa, dunque, la politica? Il ruolo della politica? Il senso profondo della politica?
È il tempo dell’ascolto, del dubbio, delle domande. Non voglio propugnare la pretesa di ridurre a uno tanta molteplicità, ma certamente credo necessario uno sforzo del pensiero e dell’azione per scoprire un modo di ritrovarci, di ricomporre la frammentazione. La moltitudine precaria ha veramente espresso tutte le proprie varianze, tutti i punti di vista, dovendosi confrontare con un potere che ha apertamente e pesantemente giocato e spalancato definitivamente i meccanismi di inclusione ed esclusione consentiti dall’occasione. Siamo tutte e tutti alle prese con l’esistenza del virus ma non siamo per nulla tutte e tutti uguali di fronte ad esso.
La precarietà esistenziale è risaltata in modo evidente, mostrando il volto di un pianeta dove le divisioni di classe (e le possibilità di proteggersi) si sono approfondite e diversificate e il vivente è in pericolo a causa della pretesa di dominio onnipotente del capitale.
Il capitalismo è in gran forma, i profitti sono aumentati a dismisura. Siamo noi che ci siamo ammalati e nel distanziamento facciamo fatica a vedere come costruire non solo resistenze ma affondi. Certo, gli Stati Uniti e il movimento Black Lives Matter ci dicono che qualcosa stride fortemente e di un meccanismo che sta rischiando di salta re per aria. Ma come avere vera consapevolezza, come organizzare, come esportare, come tradurre l’aggressività contro il vicino di casa (è sua la colpa) verso il nemico comune?
Simone Weil scrive nel 1934 che è necessario “rifiutare di subordinare il proprio destino al corso della storia”. E aggiunge:
“Per risolversi a un simile sforzo di analisi critica basta aver compreso che esso permetterebbe a chi vi si impegnasse di sfuggire al contagio della follia e della vertigine collettiva tornando a stringere il patto originario dello spirito con l’universo”6.
Non è questo, forse, il sentire del cuore? Quel sensibile, come guida, cui mi appellavo in esordio?
Il problema è che il capitale è diventato sempre più onnipotente, dopo le lotte dei Trenta...

Table of contents

  1. Parola di donna
  2. Indice
  3. Introduzione
  4. Manifesto d’intenti
  5. Parte I Corpi del capitale
  6. Parte II Corpi e controllo
  7. Parte III Il corpo malato