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L'ultima spedizione di Shackleton (1914-1917)

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L'ultima spedizione di Shackleton (1914-1917)

About this book

Sarebbe dovuto essere questo lo scopo della spedizione, intrapresa nel 1914, che Sir Ernest Shackleton coltivava da anni. Ma il 20 maggio 1916 tre figure emaciate comparvero sulla banchina della stazione di Stromness, nella Georgia del Sud, da dove due anni prima erano partiti a bordo della Endurance.

Di loro si era persa ogni traccia. La nave, ritrovandosi incagliata nel pack, aveva costretto l'equipaggio a rimanere in balia dei movimenti del ghiaccio per dieci lunghi mesi e poi era andata distrutta.

Da lì l'incredibile epopea della sopravvivenza: un'epopea che viene narrata in un diario di viaggio, capace di conquistare intere generazioni di lettori.

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Information

Nel Mare di Weddell

Decisi di lasciare la Georgia del Sud intorno al 5 di dicembre e, nelle pause tra un preparativo e l’altro, diedi ancora un’occhiata ai piani di viaggio verso i quartieri d’inverno. Che tipo di accoglienza ci avrebbe riservato il Mare di Weddell? I capitani delle baleniere nella Georgia del Sud furono tanto gentili da condividere con me le loro conoscenze relative a quelle stesse acque in cui operavano e, oltre a confermare quanto già sapevo circa l’inclemenza delle condizioni del ghiaccio, mi diedero anche dei consigli su cui riflettere.
È opportuno riportare qui brevemente alcune circostanze che fui costretto a considerare, tanto allora quanto nelle settimane che seguirono. Sapevo già che durante quella stagione il ghiaccio si era spinto molto verso nord e, dopo aver ascoltato i suggerimenti dei capitani delle baleniere, avevo deciso di dirigermi verso le isole Sandwich Meridionali, per poi procedere verso est, fino al quindicesimo meridiano longitudine ovest e, infine, verso sud. I balenieri avevano sottolineato le difficoltà di attraversare il ghiaccio nelle vicinanze di queste isole. Mi dissero di aver visto spesso dei banchi di ghiaccio venire a galla in estate e che, secondo loro, per poter raggiungere il Mare di Weddell, la spedizione avrebbe dovuto aprirsi un varco tra pesanti pack. Probabilmente il momento migliore per addentrarci in quel mare sarebbe stato alla fine di febbraio o all’inizio di marzo. Avendo circumnavigato quelle isole, i balenieri ne conoscevano le condizioni e le loro previsioni mi convinsero ad imbarcare in coperta del carbone in più perché, qualora fosse stato necessario farci strada fino alla Terra di Coats, avremmo avuto bisogno di ogni singola tonnellata di combustibile che la nave era in grado di portare.
La mia speranza era che, dirigendoci prima verso est fino al quindicesimo meridiano ovest, in seguito saremmo stati in grado di spingerci verso sud attraverso del ghiaccio meno compatto, per poi arrivare alla Terra di Coats e, infine, alla baia di Vahsel, dove Filchner tentò di sbarcare nel 1912.
Due erano gli aspetti che mi impensierivano: come prima cosa, l’idea di far trascorrere all’Endurance l’inverno nel Mare di Weddell mi preoccupava per più di un motivo, ma trovare un attracco sicuro poteva rivelarsi molto difficile. Qualora non ne avessimo trovato neanche uno, la nave avrebbe dovuto svernare nella Georgia del Sud. In quel momento l’idea di fare un viaggio attraverso il continente durante la prima estate mi sembrò impossibile, visto che la stagione era già avanzata e le condizioni del ghiaccio probabilmente si sarebbero rivelate sfavorevoli. In vista della possibilità di trascorrere l’inverno tra i ghiacci portammo con noi dei vestiti in più dai magazzini delle varie stazioni della Georgia del Sud.
L’altro fattore che mi preoccupava era il numero di uomini che componevano la squadra di terra. Se la nave avesse dovuto spostarsi durante l’inverno, oppure se si fosse allontanata dai quartieri invernali, una volta realizzato il rifugio e scaricate le scorte sarebbe stato meglio avere a terra soltanto un gruppo ristretto di uomini scelti con cura. Questi ultimi avrebbero poi potuto sistemare i depositi manualmente e fare dei brevi viaggi con i cani, allenandoli per la lunga marcia che li attendeva nel corso della primavera seguente. La maggior parte dei membri della squadra scientifica, invece, avrebbe vissuto a bordo della nave, da dove avrebbe potuto svolgere le proprie attività in condizioni più favorevoli. Se necessario, avrebbe anche potuto intraprendere brevi viaggi utilizzando l’Endurance come base.
Tutti questi progetti avevano come presupposto il fatto che, probabilmente, trovare un luogo adatto dove stabilire i quartieri d’inverno sarebbe stato difficile. Se fosse stato possibile fissare una base davvero sicura sul continente, mi sarei attenuto al programma originario che prevedeva di mandare una squadra verso sud, una verso la Terra di Graham, attorno all’imbocco del Mare di Weddell, e una in direzione est, verso la Terra di Enderby.
Avevamo elaborato i piani relativi alle distanze da percorrere, alla rotta, alle provviste necessarie e così via. Grazie all’esperienza e a uno studio approfondito, la quantità di razioni previste per il viaggio con le slitte era praticamente perfetta. In seguito all’addestramento, i cani sembravano promettere di poter percorrere dai ventiquattro ai trentadue chilometri al giorno trascinandosi dietro delle slitte cariche. A quella velocità, la squadra transcontinentale avrebbe portato a termine il suo viaggio in centoventi giorni, a meno che non fosse sopraggiunto qualche ostacolo imprevisto. Eravamo davvero impazienti di iniziare la marcia – l’ultima grande avventura nella storia delle esplorazioni antartiche. Gli ostacoli che ci separavano dalla partenza, però, agivano da freno contro la nostra irrequietezza. Tutto dipendeva dall’approdo: raggiungendo la stazione di Filchner, non c’era motivo di pensare che una squadra di uomini esperti non avrebbe potuto trascorrere lì l’inverno in tutta sicurezza. Ma il Mare di Weddell era famoso per la sua inospitabilità e sapevamo già che ci avrebbe riservato il suo lato più duro. Dal punto di vista di un navigatore, l’insieme delle condizioni che caratterizzano il Mare di Weddell è da considerarsi sfavorevole: i venti sono relativamente deboli e, di conseguenza, si può arrivare alla formazione di ghiaccio anche in estate. Inoltre, l’assenza di venti forti fa sì che il ghiaccio si accumuli, indisturbato, in massi. Da est, poi, vengono trascinate lungo la costa abbondanti quantità di ghiaccio che, mentre si dirigono verso nord, formando un semicerchio, riempiono la grande insenatura del Mare di Weddell. Senza considerare che, nelle cattive stagioni, parte di questo ghiaccio può arrivare addirittura fino alle isole Sandwich Meridionali. Le correnti, che con la loro forza spingono i blocchi di ghiaccio contro le coste, creano qui una pressione maggiore che in qualsiasi altra parte dell’Antartide; una pressione che deve essere intensa almeno quanto quella nel bacino congestionato del Polo Nord, ma sono propenso a credere che un confronto di questo tipo fra i due poli andrebbe a vantaggio dell’Artico. Ovviamente tutte queste considerazioni erano legate ai problemi che ci saremmo trovati ad affrontare: la penetrazione del pack e l’individuazione di un porto sicuro sulla costa continentale.
Alla fine, il giorno della partenza arrivò. Alle otto e quarantacinque del 5 dicembre 1914, infatti, diedi ordine di levare l’ancora. Ci pensò il suono metallico del verricello a spezzare per noi l’ultimo legame con la civilizzazione. La mattinata era uggiosa e il cielo interessato da nevischio e occasionali turbini di neve. A bordo dell’Endurance, però, gli animi erano sereni. I lunghi giorni di preparazione erano ormai alle spalle: ora ci attendeva l’avventura vera e propria.
Avevamo sperato che da nord qualche piroscafo ci portasse notizie della guerra e magari lettere da casa prima della partenza. In effetti, una nave arrivò la sera del 4, ma senza lettere o informazioni utili. Il capitano e l’equipaggio erano tutti pro Germania e le ‘notizie’ che ci diedero assunsero quindi la forma di deludenti resoconti delle disfatte britanniche e francesi. Non ci sarebbe dispiaciuto ricevere gli ultimi aggiornamenti da una fonte più amichevole. Un anno e mezzo dopo scoprimmo che l’Harpoon, il piroscafo che serve la stazione di Grytviken, era arrivato con della posta per noi non più di due ore dopo che l’Endurance si era messa in viaggio.
La prua dell’Endurance fu rivolta a sud e la nave si immerse nel moto ondoso da sud-ovest. Durante il mattino cadde una pioggerellina sottile, ma più tardi il tempo migliorò tanto che, mentre ci muovevamo a vela e a vapore in direzione sud-est, la vista della costa della Georgia del Sud era buona. La rotta era stata studiata in modo tale da condurci al largo dell’isola e poi a sud delle Thule Meridionali, che compongono l’arcipelago delle Sandwich. Durante il giorno il vento aumentò, quindi tutte le vele quadre furono issate e la vela di trinchetto terzarolata, al fine di consentire una buona visibilità davanti a noi; questo perché non volevamo rischiare di imbatterci in un growler(1) uno di quei pericolosi frammenti di ghiaccio che galleggiano in superficie.
La nave procedeva in modo molto stabile nel mare di tre quarti, ma di certo l’aspetto non era quello chiaro e pulito di quando, quattro mesi prima, aveva lasciato le coste inglesi. A Grytviken avevamo fatto il pieno di carbone e il combustibile in più venne conservato sul ponte, dove però intralciava non di poco il passo. Il carpentiere aveva costruito un falso ponte, che si estendeva dal cassero di poppa alla sala nautica. Con noi, a bordo, avevamo anche una tonnellata di carne di balena per i cani. I pezzi grandi erano appesi tra il sartiame, fuori dalla portata ma comunque non dalla vista degli animali, e così, mentre l’Endurance rollava e beccheggiava, loro – gli occhi avidi – rimanevano in attesa di un colpo di fortuna.
Ero particolarmente soddisfatto dei cani, alloggiati nei punti più confortevoli della nave che avevamo potuto trovare per loro. Erano in ottime condizioni e sentivo che la spedizione disponeva della giusta energia di traino. Si trattava di animali grandi e robusti, scelti per la loro forza e resistenza; se fossero stati entusiasti di trainare le slitte tanto quanto lo erano ora di lottare l’uno contro l’altro, tutto sarebbe andato per il verso giusto. Gli uomini che se ne occupavano svolgevano il loro lavoro con entusiasmo, e l’impazienza che mostravano nel volerne studiare l’indole e le abitudini faceva pensare che gli animali sarebbero stati trattati e avrebbero lavorato bene.
Il 6 dicembre l’Endurance viaggiò senza problemi in direzione sud-est. Durante la notte il vento da nord si era fatto più forte, portando con sé il mare grosso. Il tempo era nebbioso, passammo due iceberg, diversi growler e numerosi banchi di ghiaccio. I membri dell’equipaggio si stavano abituando alla routine dei lavori di bordo. In giro c’erano tanti uccelli; in particolare, tra le varie specie, nelle vicinanze della nave notammo procellarie del capo, sterne, ossifraghe, berte grigie e albatri erratici. La rotta prevedeva il passaggio tra l’isola di Saunders e il vulcano delle isole Candlemas.
Il 7 dicembre, però, ci trovammo ad affrontare il primo ostacolo: alle sei di mattina il mare, che era stato di un colore verdastro per tutto il giorno precedente, improvvisamente diventò di un indaco intenso. La nave si stava comportando bene tra quelle acque agitate e alcuni membri dello staff scientifico si diedero da fare per trasferire, nell’apposita stiva, il carbone che avevamo collocato sul ponte. Nel primo pomeriggio avvistammo sia l’isola di Saunders che le Candlemas e alle diciotto l’Endurance vi passò in mezzo.
Le osservazioni fatte da Worsley indicavano che l’isola di Saunders si trovava a più o meno cinque chilometri a est e otto a nord rispetto alla posizione tracciata sulla carta. A ovest delle isole c’erano numerosi iceberg, per lo più di forma tabulare; come potemmo notare, molti di questi erano gialli, ricoperti qua e là da diatomee. Un iceberg in particolare presentava ai lati delle larghe chiazze di terra di un marrone-rossiccio. La presenza di così tanti iceberg non era di buon auspicio e subito dopo essere passati tra le isole ci imbattemmo in un fiume di ghiaccio. Le vele furono tutte ammainate e procedemmo lentamente a vapore. Due ore più tardi, ventiquattro chilometri a nord-est dell’isola di Saunders, l’Endurance si trovò di fronte a una cintura di pack larga ottocento metri, che si estendeva tanto a nord quanto a sud. Al di là del pack l’acqua era limpida, ma il forte moto ondoso da sud-ovest lo rese impenetrabile nel punto in cui ci trovavamo. La situazione era sconcertante. A mezzogiorno ci eravamo trovati ad una latitudine di 57° 26´ Sud e non mi sarei mai aspettato di trovare una banchisa così tanto a nord, sebbene i balenieri avessero parlato di ghiaccio fino alle isole Thule Meridionali. Quella notte la situazione si fece pericolosa. Con la nave ci spingemmo tra il pack nella speranza di raggiungere le acque libere, salvo poi ritrovarci a notte fonda in un bacino che andava restringendosi. Nella violenza del moto ondoso il ghiaccio intorno all’Endurance si andava frantumando e, preoccupato, rimasi in attesa di un qualche segnale che indicasse un cambiamento del vento a est – un vento che ci avrebbe guidati verso la terra. Io e Worsley rimanemmo sul ponte per tutta la notte, intenti a schivare il pack. Alle tre di mattina ci dirigemmo verso sud, sfruttando alcune aperture che ci si erano presentate davanti, ma ci imbattemmo in una grossa banchisa, chiaramente di vecchia formazione, di cui una parte era stata vittima di una forte pressione. Proseguimmo a vapore verso nord-ovest, ma poi avvistammo acque libere a nord-est. Allora puntai la prua in direzione di quell’apertura nei ghiacci e, procedendo a tutta velocità, ci allontanammo. Poi ci spingemmo verso est, nella speranza di trovare ghiaccio migliore e cinque ore più tardi, dopo qualche deviazione, ci lasciammo il pack alle spalle e fummo in grado di continuare a navigare a vela. A tratti, quello scontro iniziale con il pack si era rivelato eccitante: pezzi di ghiaccio e di iceberg di tutte le dimensioni che, nel pesante moto ondoso da sud-ovest, si urtavano e si spingevano l’uno contro l’altro. Nonostante tutta la nostra attenzione, l’Endurance non riuscì comunque ad evitare l’urto contro grossi banchi di ghiaccio, anche se le macchine furono arrestate in tempo e non registrammo danni. Il panorama e i suoni di quel giorno furono eccezionali: il moto ondoso che urtava contro i fianchi di iceberg enormi, balzando direttamente in cima alle loro pareti di ghiaccio; poi, verso sud, c’era l’isola di Saunders, con i suoi pendii che riuscivano a sbucare tra il vortice di quella nebbia che li avvolgeva per la maggior parte del tempo; c’era anche il rumore del mare che andava a morire nelle caverne di ghiaccio, o l’infrangersi del moto ondoso contro un pack non compatto; infine, l’elegante movimento del pack interno per effetto dello stesso moto ondoso, il cui slancio veniva qui smorzato dalle masse di ghiaccio sopravvento.
Costeggiammo l’estremità nord del pack accompagnati da una buona visibilità, una leggera brezza da sud-ovest e cielo coperto. Di iceberg ce n’erano tanti. Nel corso della mattinata del 9 dicembre una brezza da est portò con sé nebbia e neve, e alle sedici e trenta ci imbattemmo nell’estremità di una banchisa alla latitudine di 58° 27´ Sud e longitudine di 22° 08´ Ovest. Si trattava di ghiaccio vecchio un anno, esteso da ovest-sud-ovest a est-nord-est e misto a un pack ancora più vecchio, il tutto ricoperto da uno strato abbondante di neve. Penetrammo il pack alle diciassette ma, non riuscendo ad andare avanti, alle diciannove e quaranta ci allontanammo di nuovo. Poi ci dirigemmo verso est-nord-est, trascorrendo il resto della notte costeggiandolo. Durante il giorno avevamo visto dei pinguini di Adelia e dei pinguini antartici, oltre a diverse megattere e balenottere com...

Table of contents

  1. Frontespizio
  2. Colophon
  3. L’autore
  4. Dedica
  5. 1. Nel Mare di Weddell
  6. 2. Nuove terre
  7. 3. I mesi invernali
  8. 4. La perdita dell’Endurance
  9. 5. Ocean Camp
  10. 6. La marcia intermedia
  11. 7. Patience Camp
  12. 8. La fuga dai ghiacci
  13. 9. Il viaggio per mare
  14. 10. Da un capo all’altro della Georgia del Sud
  15. 11. Il salvataggio
  16. 12. L’isola dell’Elefante
  17. 13. La squadra del Mare di Ross
  18. 14. L’inverno nel canale di McMurdo
  19. 15. Il collocamento dei depositi
  20. 16. L’Aurora alla deriva
  21. 17. Gli ultimi soccorsi
  22. 18. La fase finale