La Terza repubblica della TV
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La Terza repubblica della TV

Grillo, Celentano, Baudo e molto prima Guglielmo Giannini: quelli che fecero l'impresa. Senza saperlo.

Gennaro Pesante

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La Terza repubblica della TV

Grillo, Celentano, Baudo e molto prima Guglielmo Giannini: quelli che fecero l'impresa. Senza saperlo.

Gennaro Pesante

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Nell'immaginario collettivo la Terza Repubblica nasce in anni recenti, e comunque dopo il 2013.
Siamo davvero certi di questo? Esistono davvero queste 'tre repubbliche'?
Chiediamoci, piuttosto, se negli anni Ottanta l'Italia è stato un Paese 'scalabile'.
Sono gli anni d el grande potere della televisione, dei grandi show del sabato sera e dei personaggi che tenevano incollati milioni di persone davanti a giochi e balletti. È il periodo dei 'sermoni' e dell'incitamento alla disobbedienza nei confronti della politica. Da Beppe Grillo ad Adriano Celentano. Il 'Vaffaday' è ancora lontano.
L'Italia degli anni Ottanta è una potenza economica. I governi cambiano spesso, ma la classe dirigente è solida. La politica estera è granitica e fa innervosire pure gli alleati più potenti.
Nel frattempo, il mondo sta cambiando, ma in pochi se ne accorgono.
È in questo periodo che comincia la lunga marcia della rivoluzione digitale, che non partirà dalla Silicon Valley, ma dal cuore della vecchia Europa.
Insomma, tutto sta per cominciare. E tutto avverrà. Trent'anni dopo.

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Information

Year
2021
ISBN
9788869347481

Per capire meglio 1

Il caso Moro

Per capire meglio qual è il clima di sospetto di questo periodo vale la pena di raccontare dell’uscita di un film dedicato ad Aldo Moro, lo statista democristiano rapito e ucciso dalle Brigate Rosse otto anni prima.
Il film esce nei giorni della polemica su Fantastico, Grillo e Baudo. È diretto da Giuseppe Ferrara e il protagonista è il ‘principe’ degli attori cosiddetti ‘impegnati’, ovvero Gian Maria Volonté, che impersona Aldo Moro, appunto. Ebbene, nei suoi primi giorni di distribuzione si decide di mandare l’attore in giro per i programmi tv per pubblicizzare il film. E quale occasione migliore di una ‘ospitata’ nel contenitore di punta della rete ammiraglia di Stato, Raiuno, ovvero nel programma Domenica In quell’anno condotto dalla amatissima Raffaella Carrà?! Considerata peraltro una sorta di alter ego di Pippo Baudo con il caschetto biondo?!
Gian Maria Volonté a poco meno di dieci anni dal caso Moro va in tv per parlare di un film che non può non interessare al grande pubblico italiano. Intervista, applausi, la Carrà è una che sa coinvolgere il pubblico. Quindi la gente andrà al cinema. Missione compiuta.
E invece, praticamente all’ultimo momento, la Rai comunica che la partecipazione di Volonté al programma è stata cancellata. Motivo? L’attore era stato invitato per parlare di sé, non del film. E dato che il film è appena uscito nelle sale il rischio è che, nel poco tempo a disposizione, l’intervista finisca per essere centrata su questo e non sulla vita privata e artistica del personaggio, che tutto il Paese aspetta che venga raccontata!
Versione singolare, dato che l’intento è proprio quello di fare promozione al film e non al personaggio Volontè. Il rischio che il dibattito su un film che racconta una vicenda drammatica e ancora troppo opaca possa scuotere violentemente politica e opinione pubblica ci sta tutto. Anzi, è esattamente lo scopo. Evidentemente, però, non tutti sono d’accordo.
Negli stessi giorni, sui giornali e nel dibattito politico, Beppe Grillo e Gian Maria Volontè occupano le cronache e sono il tema preponderante delle dichiarazioni dei politici. E sono davvero in pochi a difenderli.
La televisione deve rimanere disimpegnata.

Sigonella, Andreotti e la Libia

A questo punto è importante chiarire il contesto. L’Italia degli anni Ottanta non è il Paese in affanno di oggi. Nell’87 (superando il Regno Unito) diventa la sesta economia mondiale, dopo Usa, Urss, Giappone, Germania Ovest e Francia. E tende a crescere. La lira è forte e il sistema politico è solido. Per non parlare della politica estera dove, al netto dei rapporti storici generati (leggi anche: disastrati) dal secondo conflitto mondiale, i nostri ministri non hanno nulla da invidiare a nessun altro Paese. Proprio per questo, molto probabilmente, l’Italia è un Paese che può generare qualche fastidio. E che, anzi, in qualche occasione può aver generato molto più che un fastidio. Nella data di cui sopra diciamo piuttosto che abbiamo sfiorato un cruento incidente diplomatico con il rischio di un conflitto tra soldati italiani e statunitensi.
7 ottobre 1985. Un transatlantico italiano, l’Achille Lauro, è protagonista di un drammatico abbordaggio da parte di quattro terroristi palestinesi. A bordo ci sono 545 passeggeri. La missione dei terroristi si svolgerà nel porto israeliano di Ashdod. L’obiettivo è quello di ottenere la liberazione di 50 compagni imprigionati proprio in Israele.
La nave attraversa le acque egiziane quando i quattro vengono scoperti dal personale di bordo. A questo punto si potrebbe pensare ad una operazione di prevenzione anti-terrorismo. Ad agenti sotto copertura modello serie tv Usa. Niente di tutto questo. La missione si complica in modo banale: un componente dell’equipaggio nota per puro caso quattro personaggi improbabili alle prese con quattro fucili del tipo AK-47! Un’arma che pesa circa quattro chili ed è lunga un metro e venti centimetri circa. Meglio conosciuta come kalashnikov. Insomma, quattro cannoni che non potevano passare inosservati! A questo punto i terroristi sono costretti a uscire allo scoperto.
Ebbene, di 545 passeggeri riescono a uccidere soltanto una persona, ma si tratta di un ebreo americano, per di più in sedia a rotelle! A questo punto si può solo immaginare il seguito. Peraltro, decenni di filmografia americana ci insegna che in qualunque parte del mondo venga torto anche un solo capello a un cittadino Usa, il governo Usa perseguirà il responsabile fino a quando non lo avrà individuato e punito in modo esemplare.
I terroristi scoperti minacciano di far esplodere la nave. La crisi diplomatica che ne scaturisce è destinata a essere un pezzo di storia ‘epica’.
Dopo una lunga trattativa che ha l’obiettivo di mettere i quattro su un aereo perché vengano consegnati alle autorità italiane, si avvia un durissimo braccio di ferro tra Italia e Stati Uniti. Il governo italiano vuole i terroristi sul proprio suolo per processarli, dato che la nave è italiana – quindi il crimine è avvenuto su suolo italiano – mentre gli Usa li vogliono dall’altra parte dell’Oceano perché l’unica vittima è americana.
Bettino Craxi, in questo momento Presidente del Consiglio dei ministri, stabilisce la supremazia della prima tesi, ovvero che su suolo italiano vale la giurisdizione italiana. Scatenando l’ira americana.
Quando l’areo con a bordo i terroristi arriva in Italia e atterra nella base di Sigonella, in Sicilia, l’incidente diplomatico è l’ultimo dei problemi. Decine di militari italiani e statunitensi si ritrovano intorno al velivolo fermo sulla pista. E tutti con le armi spianate in attesa di ordini. Ma Craxi non si lascia impressionare e tiene duro. Il Presidente americano Ronald Reagan alla fine è costretto a richiamare i suoi per chiudere la vicenda ed evitare un vero e proprio conflitto. D’altra parte in quella situazione non ci sarebbe stata davvero altra soluzione se non quella “pacifica”.
Lo stesso Andreotti, che è intervenuto sfruttando la sua amicizia con Arafat, nei suoi diari ha spesso richiamato alla grande tensione con gli Usa su questo caso, e dello strappo che c’era stato. Il governo italiano è stato definito “protettore dei terroristi” e “irriconoscente con gli alleati”. Tanto per citare qualche appunto polemico.
In definitiva, comunque, lo schiaffo diplomatico che ne consegue fa male allo stesso Craxi, perché il suo governo cade subito dopo anche a causa del ritiro del sostegno del Partito Repubblicano di Giovanni Spadolini che non gli può perdonare l’aver tenuto testa agli Usa. Il governo cade ma Craxi succede a sé stesso. E dopo il Craxi I arriva il Craxi II. Ma questa è un’altra storia.
Comunque, che l’Achille Lauro fosse una imbarcazione vagamente sfigata si scoprirà solo alla fine, quando – nel 1994 durante una crociera tra Genova e Sudafrica – si inabisserà a causa di un incendio che tra le altre cose causerà la morte di due persone. Ciò che ne resta si trova ora a circa cinque chilometri sott’acqua davanti alle coste della Somalia. Peggio di così?!
Non era bastata Sigonella, pochi mesi dopo ci pensa direttamente lui, il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, a complicare ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti.
15 aprile 1986. Gli Usa sono pronti a scaricare sulla Libia qualcosa come 232 bombe – per mezzo di 45 aerei – per colpire alcuni obiettivi con lo scopo principale di eliminare uno dei loro principali nemici mediorientali: Mu ‘ammar Gheddafi. I dodici paesi della Comunità Europea, Italia in testa, sono nettamente contrari all’operazione, anche se sono sotto gli occhi di tutti le azioni terroristiche di matrice libica di cui gli americani sono chiaramente l’obiettivo.
Ciononostante, i fatti dicono che sarebbe stato proprio qualcuno del governo italiano ad aver telefonato in Libia per limitare i danni avvisando del bombardamento in arrivo. E che la telefonata sarebbe stata fatta proprio da Andreotti, storicamente amico della Libia. Il bombardamento avviene lo stesso, ma c’è il tempo per mettere Gheddafi al riparo.
La storia racconta che il Presidente Reagan, tra Sigonella e la Libia, ci abbia messo molto buon senso per evitare una crisi diplomatica ufficiale. Anche perché l’Italia è un paese solido, una potenza economica e industriale. E forse, per questa volta, si poteva perdonare e guardare avanti. Almeno questa è la ricostruzione ufficiale. E se le cose non fossero andate in questo modo?
Se l’Italia fosse stato un paese sudamericano, uno di quelli dove è piuttosto semplice intrufolarsi e destabilizzarne la politica interna? Nel giro di qualche tempo il governo sarebbe stato rovesciato. Agenti segreti sparsi sul territorio avrebbero riportato le peggiori nefandezze sui giornali col solo intento di screditare e destabilizzare. Niente di più semplice, in un contesto debole. Ma non è il caso italiano. Craxi e Andreotti, che avevano solidissime relazioni internazionali, erano – paradossalmente – più coperti nel Medio Oriente che verso Occidente. E gli sgambetti di metà decennio avrebbero potuto produrre molto di più che qualche tensione diplomatica se...

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