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CADUTA
L’idea di caduta compare nei miti, nelle tradizioni e nelle religioni di moltissimi popoli, e presenta un gran numero di temi tra loro collegati di primaria importanza nella storia del pensiero religioso. In generale la caduta viene considerata un incidente verificatosi dopo la genesi o creazione del mondo, tale da recare conseguenze che incidono sull’attuale condizione umana. Tale incidente dà ragione della nuova situazione del mondo, riconosciuta come uno stato di declino o di degradazione, se messa a confronto con la condizione originaria dell’uomo e del cosmo.
Questa concezione di fondo della caduta assume forme differenti all’interno di culture e religioni diverse.
Punti di vista sul mito della caduta. Il tema della caduta può venire considerato dai seguenti punti di vista: 1) del tempo storico e del suo dispiegarsi; 2) della teogonia; 3) della cosmogonia; 4) dell’antropogonia, che comprende la creazione dell’uomo e la sua condizione attuale.
Tempo storico. Se considerata dal punto di vista temporale, la caduta si colloca a metà strada fra Urzeit e Endzeit, fra l’inizio e la fine della creazione. All’interno del tempo storico, si trova molto da presso agli inizi del tempo, concepiti come un’età dell’oro rispetto alla quale la caduta e le sue conseguenze rappresentano una rottura ovvero una degradazione. Questa concezione storica e temporale della caduta si può rinvenire in varie tradizioni popolari, come pure nei miti dell’età dell’oro e del paradiso perduto.
Teogonia. L’aspetto teogonico della caduta si occupa della degradazione del divino e si ritrova nei numerosi miti che riguardano l’origine degli dei, la loro vittoria sopra il Caos, ovvero la vittoria delle forze più recenti del campo divino su quelle più antiche. Coestensiva alla creazione, la caduta, così come la teogonia la presenta, comporta l’identificazione del male con il Caos da un lato e della salvezza con la creazione dall’altro. Questa concezione della caduta si rinviene specialmente nei miti teogonici sumero-accadici, che narrano la vittoria dell’ordine sul Caos preesistente; nonché nel mito egizio della lotta fra Seth e Horus. In senso stretto questi miti teogonici non sono autentici miti della caduta, ma due dei temi in essi ricorrenti giustificano la loro inclusione in una tipologia dei miti su questo argomento. In primo luogo, essi pongono l’accento sulla celebrazione rituale del mantenimento della creazione e dell’ordine cosmico, come nella festa di Akitu a Babilonia. In secondo luogo presentano, attraverso una varietà di miti, il tema della degradazione della divinità, derivante dalla caduta di una qualche parte della sostanza divina entro la materia, il corpo o l’oscurità. Questo tema si rivela come centrale nelle tre forme più importanti di dualismo religioso: l’Orfismo, lo Gnosticismo e il Manicheismo.
Cosmogonia. Dal punto di vista della cosmogonia la caduta viene percepita come un incidente che si verifica dopo la genesi del mondo, che comporta l’intervento delle forze cosmiche e dà conto della condizione attuale della terra ovvero dell’universo. Sono esempi di questo punto di vista cosmogonico sulla caduta i miti che narrano la progressiva degradazione dell’universo, e la sua distruzione e ri-creazione nel corso di cicli che si susseguono. Un importante elemento di questo tipo di caduta è il diluvio, e le tradizioni religiose del mondo intero ne contengono numerosi esempi.
Antropogonia. Il punto di vista più denso di significato sulla caduta è tuttavia quello fornito dall’antropogonia. Secondo questa prospettiva la condizione umana attuale – uno stato di degradazione in confronto con l’età dell’oro dell’umanità – viene spiegata come conseguenza di una caduta, un evento tragico che fece irruzione nella storia dell’uomo. Intorno a esso si raggruppano quei miti e quei simboli che cercano di spiegare le origini della malattia e della morte e la natura tragica della condizione umana in seguito alla caduta.
A partire da questi quattro punti di vista è possibile sviluppare una tipologia che consenta di rendere comprensibili le miriadi di miti della caduta presenti nelle culture del mondo intero. Perdipiù, tali prospettive illuminano l’aspetto fondamentale dell’idea di caduta e il significato che essa comporta, così come emerge da tali miti: la condizione umana attuale trova una spiegazione grazie all’incidente che si verificò dopo la creazione, ponendo termine all’età dell’oro.
I miti della caduta mostrano con chiarezza tre elementi essenziali: 1) l’idea di un’età dell’oro primordiale; 2) l’incidente che costituisce una rottura ovvero una degradazione dell’armonia originaria; 3) la spiegazione della condizione umana attuale. Prendendo spunto da questi tre elementi è possibile tratteggiare un quadro storico-fenomenologico delle tradizioni che si occupano della caduta. Tuttavia è necessario aggiungere un’ultima osservazione prima di poter procedere all’analisi di tale quadro. La comprensione della complessità dei problemi relativi alla caduta non deve far perdere di vista l’intima relazione di tale concetto con il problema del male; ogni concezione della caduta implica qualcosa riguardo all’origine del male, come pure lascia intendere che sarà possibile in un certo qual modo sconfiggerlo, tramite il recupero di quella condizione che esisteva prima della caduta stessa. Pertanto una dimensione etica e filosofica si innesta sull’idea della caduta e ne diviene coestensiva, giungendo a costituire parte integrante di un’impostazione ermeneutica che si sforza di fare i conti con le sue relazioni con l’errore, ovvero la colpa. L’estensione concessa a questo articolo non consente comunque di prendere in considerazione anche questi aspetti della caduta.
Religioni arcaiche e tradizioni orali. Il mito di un paradiso terrestre, in cui l’uomo gode dell’immortalità, fa parte della cosmogonia e delle descrizioni dei primordi del mondo in molte culture. Il tema dominante di questo mito, che presenta molte variazioni, è quello dell’uomo primordiale che fruisce di una beatitudine e di una libertà che sarà destinato a perdere in seguito alla caduta.
La cosmogonia jorai delle popolazioni autoctone dell’Indocina ci fornisce una descrizione idilliaca dell’uomo delle origini. Vivendo insieme al dio Oi Adei, l’uomo godeva di un’esistenza immune dalla morte in un paradiso all’interno del quale poteva volare come un uccello e discorrere con le piante e gli animali, in cui fasci di vimini intrecciati crescevano sugli alberi e le vanghe rivoltavano da sole le zolle. All’uomo non restava che nutrire i propri strumenti da lavoro; ma egli preferì ubriacarsi e trascurò quest’incombenza, di modo che gli strumenti si ribellarono. Nella cosmogonia sre dell’Indocina l’uomo non ha bisogno di lavorare nel paradiso terrestre, dal momento che il dio Ong Ndu lo ha reso immortale; ma quando la coppia primordiale si sottrae all’ordine divino di scavare un pozzo, viene punita per la sua disobbedienza mediante il dolore, la vecchiaia e la morte.
Le cosmogonie dei Bantu della regione di Mayumbe, a nord del fiume Congo, culla dell’antica civiltà omonima, comprendono alcuni racconti significativi sulla caduta. Nella tradizione yombe, a porre termine all’età dell’oro dell’uomo è Nzondo, uno spirito responsabile anche della creazione magica del fiume Zaire in seguito a un diluvio. Nzondo condusse via gli uomini dalla loro dimora originaria, disperdendoli sopra la terra, e mettendo in moto la catena di disastri che da allora perseguitano la razza.
Secondo un mito dogon del Mali, il cielo e la terra si trovavano un tempo molto vicini. Ma il dio li separò rendendo gli uomini mortali, dopo essere stato disturbato dallo strepito delle donne che frantumavano il miglio. Similmente, in un mito del Camerun e del Burkina Faso (Alto Volta), la volta celeste era un tempo a portata di mano dell’uomo, ma quando una donna che portava un carico di legna sul capo la urtò e chiese al dio di levargliela di torno, questi la spostò tanto in alto da abbandonare l’umanità in preda alla morte. Questi miti ci raccontano di un paradiso perduto; ma pongono anche l’accento sul rifiuto divino di un’umanità disobbediente, di un dio che consegna l’uomo alla morte come punizione per una quantità di peccati, che spaziano dalla violazione di una proibizione divina alla menzogna, al furto, a rivalità domestiche, a mancanza di carità. La morte viene interpretata come il castigo divino provocato dalla disobbedienza umana. Miti di questo tipo si rinvengono tra i Diola in Senegal, i Nupe in Nigeria, i Bena Kanioka nello Zaire e gli Anyi nella Costa d’Avorio.
I miti che interpretano la caduta come un destino, sebbene siano meno frequenti di quelli che la considerano piuttosto un castigo, sono presenti significativamente anche nell’Africa subsahariana. Comportano come archetipo un messaggio trasmesso in maniera errata – un messaggio divino di immortalità che raggiunge gli uomini troppo tardi, o che viene abbreviato o ricevuto in forma alterata. Qui la separazione originaria tra cielo e terra prende il posto del paradiso terrestre al cui interno il dio e l’uomo vivevano insieme; è dio che dal cielo manda messaggi all’uomo sulla terra. In un mito degli Tsonga è un camaleonte a recare il messaggio divino della vita eterna, mentre la lucertola gigante Galagala porta il messaggio della morte. La lucertola che si muove più in fretta arriva per prima, e l’uomo diviene mortale. In una versione bete dello stesso mito, proveniente dalla Costa d’Avorio, la lucertola raccomanda al camaleonte di procedere più lentamente. In questi miti i messaggeri sono sempre rappresentati da animali e il messaggio della mortalità è sempre il primo ad arrivare. Altri miti spostano l’accento sul mutamento o sul deterioramento del messaggio nel corso del processo di trasmissione; si trovano esempi di questo genere tra i Mousi nel Burkina Faso, gli Ashanti nel Ghana, i Kabiye nel Togo e i Kikuyu in Kenya.
In Australia, gli Aranda considerano i propri antenati totemici come fondatori eroici di civiltà che diedero forma al paesaggio naturale, ripartendo tra gli uomini le esistenze individuali mediante la creazione di embrioni separati e destinati a vivere in una mitica età dell’oro, senza essere toccati dalle pene proprie del genere umano dei nostri giorni. Tali progenitori erano immortali e quelli che apparentemente morivano in battaglia in realtà andavano in cielo, per divenire tjurunga, entità sacre dotate di potenza e capacità creatrice, in grado di viaggiare avanti e indietro, sopra e sotto la terra. Una volta esaurito il loro compito di creazione, esausti e in preda a una stanchezza che ne soverchiava le forze, questi antenati mitici sprofondavano nelle viscere della terra. Ma prima di scomparire riuscivano a imporre, mediante qualche loro azione, i rudimenti della morte, in modo da far conoscere agli uomini a un tempo la morte e le pene della condizione umana. Il mito della gazza Urbura spiega la permanenza della morte. Quando il primo mortale cercò di lasciare la propria tomba, Urbura lo colpì con gli artigli, gli conficcò in gola una lancia e lo inchiodò a terra, stabilendo così per sempre la condizione umana come soggetta alla morte. [Vedi MORTE.]
Comune ai miti della caduta e alla nostalgia di una età dell’oro irrimediabilmente perduta è il punto di vista secondo il quale la condizione umana originaria sarebbe stata di tipo paradisiaco. [Vedi ETÀ DELL’ORO.] Il cielo era vicino alla terra e l’uomo poteva recarvisi solamente salendo su di una montagna, un albero, una scala o una liana (Eliade, 1960). Godendo dell’amicizia tanto degli dei quanto degli animali – di cui riusciva a parlare la lingua – l’uomo viveva una vita immortale, libera, spontanea e perfettamente felice.
Una seconda opinione comunemente condivisa è quella secondo la quale tale paradiso sarebbe stato perduto a seguito di una caduta. Quest’ultima si configura spesso come un incidente, come in Australia, dove i miti della tribù Aranda si limitano a darne notizia. In varie tradizioni africane l’incidente viene equiparato al sonno: il dio aveva chiesto agli uomini di rimanere desti durante la notte, in attesa di un messaggio da parte sua, ma quando il messaggio arrivò essi erano addormentati. Se il sonno viene concepito come simbolo della morte, l’incidente del sonno spiega a un tempo sia la precarietà della ...