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Händel
The Messiah
Introduzione
Similmente a quanto premesso al Magnificat di Bach, ed in modo forse ancora più estremo, con le pagine che seguiranno non intendiamo proporre né un’analisi completa, né una lettura innovativa, né, tantomeno, uno studio musicologico sul Messiah di Händel, brano immensamente noto, studiato, approfondito, amato e già sviscerato in numerosissime delle sue infinite potenzialità da musicologi e musicisti che vi hanno dedicato anni ed anni della loro vita e della loro professionalità.
In modo del tutto informale, familiare e confidenziale, ci piace assumere qui il ruolo di chi presenta un amico ad un amico, di chi vuol condividere qualcosa che ama con qualcuno a cui tiene. Desideriamo solo, quindi, condividere una lettura personale, di musicista e di credente, con quanti avranno piacere di percorrere con noi questo pezzo di cammino; le semplici eco suscitate in chi scrive dalla frequentazione ammirata e costante di un capolavoro assoluto potranno forse trovare qualche riverbero nella disponibilità curiosa ed aperta di coloro che vorranno accoglierle.
Così, anche le brevissime parole introduttive sul genere ed il contesto compositivo del Messiah sono solo rapide annotazioni, che vorrebbero suscitare l’interesse per un approfondimento ulteriore da parte del lettore, e non possono né desiderano configurarsi come un’adeguata presentazione musicologica.
Nella terminologia musicale, l’Oratorio è un ampio lavoro vocale, di argomento normalmente religioso, ma la cui struttura interna si avvicina a quella dell’Opera (avremo quindi presenza di Arie, Recitativi, Duetti, Cori, brani strumentali ecc.). Händel compose questo spettacolare lavoro, su libretto allestito dal parlamentare inglese Charles Jennens, per un’esecuzione benefica che ebbe luogo a Dublino nel 1741; da allora il Messiah è uno dei brani più amati della letteratura musicale1, e, nei Paesi anglosassoni, persino moltissime parrocchie ne organizzano una performance durante il periodo natalizio. Da noi, viceversa, non è frequentissimo ascoltare questo Oratorio nelle sale da concerto: la maggioranza delle persone conosce soltanto il celeberrimo Hallelujah che conclude la II Parte.
L’Oratorio si suddivide infatti in tre grandi parti, della durata di circa 45 minuti ciascuna: la prima riguarda l’attesa, la nascita e la vita pubblica di Gesù, la seconda la Passione, e la terza la Risurrezione di Gesù e quella dell’intera umanità.
A differenza della maggior parte degli Oratori, il Messiah utilizza esclusivamente testi tratti dalla Bibbia, e ciò costituisce un pregio non indifferente dell’Oratorio stesso. In luogo di testi un po’ datati composti da oscuri poeti di provincia, troviamo la vicenda di Gesù narrataci direttamente dalla Scrittura. Un altro aspetto assai interessante, dal punto di vista anche pastorale e catechetico, è il fatto che tali testi non sono tratti solo dai Vangeli, ma, molto più spesso, raccontano la storia di Gesù attraverso le profezie precedenti, e ci mostrano, in tal modo, la strettissima relazione che lega l’Antico al Nuovo Testamento.
L’attenzione di Händel nei confronti della scelta dei testi da mettere in musica è ben nota. Essa in parte gli derivava dalla sua grande esperienza di operista, e dal fatto che egli stesso rinnovò profondamente il genere dell’oratorio, creandone praticamente una nuova sottospecie. In parte, e per quanto riguarda gli argomenti sacri, siamo a conoscenza sia della sua profonda conoscenza della Bibbia (egli si rivolse perentoriamente all’Arcivescovo di Canterbury, che gli proponeva un testo da musicare, dicendo: «Conosco a fondo la Bibbia e sceglierò da me»!), sia dell’importanza che ebbe la sua formazione luterano-pietista, unita alla frequentazione costante di ambienti cristiani di altre confessioni (la curia romana, in particolare, ed il mondo anglicano).
Fra le principali caratteristiche del pietismo, movimento devozionale nato all’interno del mondo riformato, annoveriamo la sottolineatura conferita all’ispirazione divina accordata ai laici, l’enfasi posta sulla pietà personale (a volte a discapito dell’aspetto comunitario), ed una mentalità piuttosto «ecumenica», per usare un anacronismo, che si avvaleva di taluni aspetti dottrinari di altre confessioni cristiane, così come, a livello pratico-pastorale, faceva costante uso di produzioni musicali e poetiche non originali e provenienti anche dal mondo cattolico (oltre ai canti dei Fratelli Boemi, setta nata dalla riforma hussita del Quattrocento ed ai canti dei soffiatori di vetro ugonotti, per citarne due, essi facevano anche ampio uso di testi della mistica cattolica medievale).
Le prime esecuzioni del Messiah, come molte di quelle che seguiranno, inserirono inoltre un aspetto di novità del quale, ancora una volta, possiamo trovare giustificazioni e motivazioni a livello biografico. Il Messiah venne infatti spesso eseguito in ambienti diversi dalle chiese o dai luoghi di culto, ed in ogni caso non aveva la contestualizzazione liturgica che caratterizzava, per esempio, le Passioni o le Cantate bachiane coeve.
Punto nodale del pietismo era infatti l’idea di una lode divina che pervadesse l’esistenza degli aderenti al movimento: vi erano inni destinati ad essere cantati dai contadini sui carri agricoli, altri pensati per i salotti, altri per esecuzioni estemporanee all’aperto. In modo non del tutto dissimile, anche san Filippo Neri aveva intuito le potenzialità catechetiche e pastorali del canto comunitario non liturgico, e la sua congregazione dell’Oratorio aveva dato origine, per l’appunto, al genere musicale dell’Oratorio a partire da analoghi presupposti.
Fra i principali oratori handeliani precedenti il Messiah, e dopo Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, possiamo ricordare La Resurrezione (Roma, 1708), in cui gli eventi della Pasqua cristiana sono narrati senza porre in scena la figura di Cristo come personaggio dell’oratorio, Saul ed Israel in Egypt, in cui utilizza, come nel Messiah, testi tratti dalla Bibbia.
La composizione del grande oratorio di cui ci occuperemo nelle prossime pagine avvenne in tempi davvero brevissimi (probabilmente circa tre settimane, benché non tutto il materiale musicale potesse dirsi completamente nuovo). Il librettista, Jennens, era un possidente inglese che sperimentava una situazione di emarginazione per questioni politico/religiose, essendo un non-juror ed un esponente della cosiddetta ortodossia anglicana. La collaborazione fra lui e Händel, benché caratterizzata da frequenti e talora forti scontri, fu tuttavia contraddistinta dalla proficua situazione di equilibrio fra un compositore esperto di librettistica e teologia ed un librettista a sua volta esperto di musica.
La prima esecuzione dell’oratorio avvenne a Dublino, nel 1741, e se ne narrano numerosi aneddoti: tra essi, la richiesta scritta alle dame convenute di astenersi dall’indossare crinoline e guardinfanti, che avrebbero ridotto la... capienza della sala, nonché il divieto di partecipare all’esecuzione imposto ai coristi della sua parrocchia da un tal Jonathan Swift, più noto per altri motivi. Nel 1743 il Messiah venne presentato a Londra, con il titolo A sacred Oratorio; le polemiche, tuttavia, non mancarono né prima né dopo, a causa della commistione fra argomento sacro ed interpreti operistici, Bibbia e teatro, Cristo ed impresari... L’inizio della straordinaria fortuna del Messiah si deve infatti far risalire a diversi anni dopo, e specificamente all’esecuzione benefica in favore del Foundling Hospital (1749).
Il libretto di Jennens venne fatto precedere da due citazioni bibliche ed un motto virgiliano. «Majora canamus», dall’Egloga IV, è un omaggio al poeta latino, alcuni dei cui versi, come è noto, sono stati letti come predizioni o profezie della nascita di Cristo. Dalla prima lettera a Timoteo e da quella ai Colossesi sono invece tratti i due frammenti paolini posti i...