Dizionario delle religioni dell'Oceania
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Dizionario delle religioni dell'Oceania

About this book

Questo volume è dedicato alla trattazione dei fenomeni religiosi che si sono sviluppati nel continente nuovissimo dell'Oceania, cioè in Australia e nelle numerosissime isole che punteggiano l'Oceano Pacifico. Si tratta di un territorio che per la sua storia culturale ha fornito un contributo particolarmente ricco alla ricerca etnologica e antropologica (sia sul piano della documentazione sia su quello della teorizzazione) e che ancora oggi propone, nelle sue più remote propaggini, alcune sorprendenti scoperte. Il volume, dunque, tratta soprattutto di fenomeni religiosi di popolazioni aborigene che fino ad alcuni decenni fa vivevano ancora «a livello etnologico». Ma di queste popolazioni opportunamente analizza anche il faticoso e spesso tormentato ingresso nella modernità, che si sta ancora realizzando fra tragiche perdite di identità e orgogliose rivendicazioni delle radici culturali. Complessa e significativa è infine la storia della diffusione in Oceania del Cristianesimo (cattolico e protestante), dai primi tentativi missionari fino all'attuale organizzazione delle Chiese e allo sviluppo di nuove esperienze religiose.Nel volume si alternano ampie voci generali dedicate alle tradizioni religiose indigene, raggruppate in base alle consuete partizioni geografiche, e voci più specifiche dedicate alle credenze e alle pratiche religiose di singole popolazioni o gruppi di popolazioni, oppure di particolari isole o arcipelaghi. Alcuni lemmi prendono in esame le principali figure divine e mitologiche dell'Oceania o particolari concezioni e comportamenti religiosi tipici o esclusivi, o ancora alcuni tra i principali etnologi che queste religioni hanno studiato.Le bibliografie di ciascuna voce sono state riviste e aggiornate dai curatori, che hanno dedicato particolare attenzione alle indicazioni accurate delle edizioni originali e delle eventuali traduzioni italiane.

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Information

Publisher
Jaca Book
Year
2021
eBook ISBN
9788816802971

A

ALL-FATHER

I resoconti ottocenteschi sull’Australia sudorientale parlavano della diffusa credenza in uno spirito maschile al di sopra degli altri in questa parte del continente. Si diceva che questo spirito, conosciuto con diversi nomi, tra i quali Baiame, Bunjil, Daramulun, Kohin e Mungan-ngaua, vivesse in cielo (sebbene prima si fosse trovato in terra). Gli Aborigeni gli attribuivano grandi imprese – aver dettato le leggi, aver istituito le cerimonie d’iniziazione maschili, aver dato forma alla terra e aver insegnato le arti della vita.
L’antropologo dilettante A.W. Howitt (1830-1908), che raccolse molti dei dati che possediamo sull’argomento, pur tenendo conto delle differenze nel nome e nei particolari, individuò alcune somiglianze di fondo e propose che questo spirito venisse identificato con il termine All-Father. Howitt negava che questo essere fosse divino, mentre altri fecero notare che uno spirito simile probabilmente rifletteva l’influenza cristiana sugli Aborigeni. L’estensione dei territori nei quali erano diffuse le credenze nell’All-Father rendeva quest’ultima ipotesi non plausibile persino allora (anche se è probabile che alcune descrizioni avessero delle tinte di cristianità).
A partire dagli anni ’40 del secolo scorso, l’autenticità dell’All-Father è stata sostenuta da prove che la rendono altamente probabile, cioè i resoconti dell’esistenza di una All-Mother in Australia settentrionale. [Vedi AUSTRALIA, RELIGIONI DELL’, articolo Panoramica generale]. Evidentemente gli Aborigeni non avevano difficoltà a concepire uno spirito che stesse al di sopra dell’ordine sociale nel senso che esso era in relazione allo stesso modo con tutte le persone; per ragioni oscure questo essere è maschile e paterno in alcune regioni, mentre è femminile e materno in altre.
La negazione da parte di Howitt della divinità di All-Father a quanto pare si basava sull’assenza di culti e forse, in maniera più sottile, sull’assenza delle proprietà elevate idealmente attribuite al dio cristiano. Tuttavia, nel suo Native Tribes of South-East Asia (1904), Howitt ammetteva decisamente che All-Father fosse un essere soprannaturale e proponeva la teoria che la sua genesi fosse legata all’incarnazione ultraterrena di un capo tribù, «che possiede conoscenza e saggezza tribale, è onnipotente nella magia, della quale egli è la fonte, e ha virtù, debolezze e passioni così come le concepiscono gli Aborigeni» (pp. 500s.).
Di maggiore interesse rispetto alle questioni relative alle definizioni è il ruolo di All-Father nella vita degli Aborigeni (in passato, poiché la credenza è adesso quasi sicuramente scomparsa). A questo proposito dobbiamo molto a Howitt e al suo giovane contemporaneo Robert Hamilton Mathews (1841-1918), anch’egli antropologo dilettante. Tutti gli Aborigeni sudorientali sapevano qualcosa di All-Father, ma una conoscenza più approfondita veniva rivelata a coloro i quali partecipavano alle cerimonie d’iniziazione maschile. Una donna anziana del popolo Theddora raccontò a Howitt che lo spirito discendeva col rumore del tuono quando i ragazzi venivano iniziati. Le cerimonie in se stesse erano, per la maggior parte degli uomini, il principale canale di conoscenza relativa a All-Father. Non solo si diceva che fossero state istituite da lui, ma esse contenevano molti riferimenti simbolici alla sua figura e a volte si fingeva che avvenisse un reale incontro con lui. Il Burbung del popolo Wiradthuri, per esempio, era una cerimonia d’iniziazione che si supponeva fosse stata istituita da All-Father dopo che egli aveva ammazzato uno spirito minore il quale era solito uccidere e mangiare alcuni ragazzi che All-Father portava a farsi estrarre i denti (l’operazione che rendeva uomini). Avendo intrappolato la voce del mostro negli alberi, All-Father scoprì che poteva riprodurla con lostrumento musicale bull-roarer. Disse quindi ai capi che da allora in poi avrebbero dovuto iniziare i ragazzi e usare i bull-roarer. Le donne e i bambini dovevano continuare a credere che il mostro distruggesse i ragazzi e che poi li riportasse in vita.
L’aspetto di All-Father era illustrato in varie immagini usate in questa e in altre cerimonie. In un Burbung al quale partecipò Mathews nel 1893 venne modellata con della terra una figura umana che rappresentava All-Father. La figura dell’uomo era distesa a faccia in giù con le braccia aperte, come dopo essere inciampato e caduto mentre dava la caccia a un emù che egli aveva ferito con la lancia. La figura era lunga 6,6 metri, larga 1,7 metri e 0,5 metri nel punto più alto. Questa concezione antropomorfica è confermata anche da incisioni nella roccia e figure stilizzate incise sugli alberi.
Una comunicazione ancora più esoterica tra l’umano e il soprannaturale (che anche gli uomini più esperti sembravano considerare in senso letterale e non semplicemente simbolico o di fantasia) avveniva nel processo di formazione dei maghi. Si credeva, almeno in alcune parti dell’Australia sudorientale, che All-Father svolgesse un ruolo essenziale in questo processo, che era di per sé fondante dell’ordine morale e politico. Ai candidati che comparivano di fronte a All-Father (senza dubbio in uno stato onirico o di trance), veniva mostrato come utilizzare i cristalli di quarzo a scopi magici, e All-Father «cantava» questi e altri oggetti nei loro corpi. Un uomo del popolo Wiradthuri che aveva fatto questa esperienza descrisse All-Father a Howitt come «un grandissimo uomo anziano con una barba lunga… dalle sue spalle partivano due grandi cristalli di quarzo rivolti al cielo sopra di lui» (Howitt, 1904, p. 408).
BIBLIOGRAFIA
L’importantissima, unica fonte sul ruolo di All-Father nella magia, nella cosmologia e nel rituale è A.W. Howitt, The Native Tribes of South-East Australia, London 1904. In essa lo studioso ha raccolto molte osservazioni altrui così come le proprie. Riguardo all’acceso dibattito sul significato e sull’autenticità di All-Father, la fonte più accessibile è M. Eliade, Australian Religions. An Introduction, Ithaca/N.Y. 1973 (trad. it. La creatività dello spirito. Un introduzione alle religioni australiane, Milano 1990), che fornisce preziosi riferimenti bibliografici alla letteratura etnografica e al dibattito accademico. K. Maddock, The Australian Aborigines. A Portrait of Their Society, London 1972, colloca le credenze su All-Father e le relative cerimonie d’iniziazione maschile in un più ampio contesto australiano mitico e rituale. E.A. Worms, Australische eingeborenen Religionen, in H. Nevermann, E.A. Worms e H. Petri (curr.), Die Religionen der Südsee und Australiens, Stuttgart 1968, pp. 125-322, è ugualmente utile, specialmente per le sue stimolanti analisi linguistiche.
KENNETH MADDOCK

ANIMA (concezioni nelle religioni primitive)

Mentre nel contesto cristiano l’anima umana è concepita e valutata in relazione al corpo, nel pensiero tradizionale delle cosiddette società arcaiche si ammette l’esistenza di un potere immanente, di un principio vitale, di un dinamismo individualizzato, non solo nell’uomo, ma anche in altri esseri materiali e biologici. Si immagina che tutto ciò che si muove, tutto ciò che ha vita, sia dimora di una o più anime.
In questa sede tratteremo essenzialmente di ciò che concepiamo come principio spirituale dell’essere umano, prototipo degli «esseri-forze» della natura, e non degli spiriti, degli dei o dei geni più o meno antropomorfizzati, né dei poteri che si suppone abbiano, come substrato costante, i minerali, gli animali o i vegetali.
L’essenza dell’anima è il potere, al punto che il potere, l’anima e la vita diventano categorie intercambiabili. Ma a proposito delle società tradizionali non possiamo veramente parlare né di unicità dell’anima, né di concetti omogenei e sempre precisi. Gli equivalenti linguistici di cui facciamo uso restano molto approssimativi. Dal momento che l’idea di anima è raramente oggetto di trattazione metafisica in queste società, risulta difficile stabilire se ciò che gli Aborigeni designano come «spirito dell’uomo», o come «spirito nell’uomo» corrisponda a realtà separate, a funzioni distinte della stessa realtà o a potenzialità intrinseche a una determinata sostanza. Nondimeno, il fatto che l’uomo primitivo si ritenga un essere illimitato per quanto riguarda le potenzialità fisiche, dimostra che egli esamina se stesso per impadronirsi della propria essenza nascosta, che va molto al di là del suo corpo.
Nelle spiegazioni relative all’argomento, osserviamo il costante interesse per il dettaglio concreto e il rifiuto delle astrazioni, che si risolvono in corrispondenza tra pluralismo ontologico e pluralità di fenomeni; ma nulla viene rappresentato come puramente materiale o puramente spirituale. Il carattere quantitativo del potere dell’anima viene accentuato da questa pluralità di anime personali e dall’identificazione del grado di forza di cui ciascun individuo dispone, ad esempio, nel suo rapporto con gli spiriti maligni, nel suo potere generativo e nell’influenza che esercita sopra i suoi simili. Ciascuno di questi poteri individuali tende a liberarsi e a manifestarsi in modo indipendente: ad esempio, attraverso il cuore nelle gesta eroiche in battaglia o attraverso la mente nella saggezza della parola. L’anima non appare mai come pura essenza, ma viene identificata negli oggetti e negli esseri attraverso cui si manifesta. Il suo potere può variare da individuo a individuo e anche nello stesso individuo nel corso della vita.
Elaborazioni teoretiche. La maggior parte degli etnologi della religione si sono interessati ai problemi relativi all’anima, ma furono E.B. Tylor (Primitive Culture, 1871) e Lucien Lévy-Bruhl (L’âme primitive, 1927) a formulare le principali teorie in merito. In The Golden Bough, James Frazer si mantenne in linea con le concezioni di Tylor. R.R. Marett, criticando sia Tylor che Frazer, coniò il termine animatismo, per descrivere la tendenza della mente a considerare gli oggetti inanimati come viventi e dotati di sensazioni e di volontà proprie.
Secondo Tylor, uno tra i primi a proporre una teoria sulla religione primitiva, l’evoluzione dei sistemi religiosi si originò da un primitivo animismo, definito come credenza in esseri spirituali. La nozione di anima sorse dalla fusione dell’idea di un principio vitale con un doppio, o fantasma impalpabile, che aveva il potere di separarsi dal corpo cui assomigliava. La credenza in un doppio-fantasma traeva origine dall’esperienza di immagini indipendenti di individui distanti o defunti, che si manifestavano in sogni notturni o in fantasie diurne.
Ma gli studi storico-religiosi non hanno convalidato le ipotesi di Tylor. È stato dimostrato che la sua interpretazione progressiva (credenza in un doppio, attribuzione di un’anima ad animali e poi a oggetti, culto degli antenati e degli spiriti, feticismo, idolatria, politeismo, monoteismo) non è corretta; l’importanza da lui attribuita, per l’origine del mito e della religione, alle rivelazioni ricevute in sogno è stata contestata; e l’evidenza storica prova che il monoteismo apparve assai prima di quanto Tylor pensasse.
Secondo Lévy-Bruhl, l’anima primitiva va vista come parte di un principio unico. Tutti gli esseri fungono da veicoli e da incarnazioni, diversamente specificate, di una forza anonima e impersonale che la sociologia ha reso popolare con il nome melanesiano di mana. La partecipazione al mana, che è al tempo stesso sostanza, essenza, forza e unità di qualità diverse, conferisce a cose ed esseri un carattere sacro e misterioso che anima la natura e mantiene l’interazione fra tutte le sue parti. La credenza in un’essenza comune a certi esseri e oggetti è stata definita totemismo. Ma Lévy-Bruhl vide anche le anime come poteri multipli e variabili, distribuiti nell’universo in maniera disuguale. Accanto alle forze-emanazioni e ai poteri della natura si collocano le forze-esseri, le anime personificate, dotate di intelligenza e di volontà.
Va tuttavia sottolineato che sia Lévy-Bruhl che Marett sbagliano nel concludere che i primitivi concepiscono come animato tutto ciò che si trova in natura, anche se credono che qualunque cosa serva come strumento di animazione in circostanze specifiche. L’idea che tutto sia anima è una costruzione teoretica. L’idea che l’anima individuale non esista e che si fonda con il cosmo o con il gruppo risulta del pari erronea, perché, da un lato, l’identificazione dell’uomo con il mondo vegetale, animale o divino non esclude la differenziazione di poteri e, dall’altro, l’anima collettiva (o lo spirito della famiglia) appare, per molte popolazioni africane (i Kikuyu del Kenya, ecc.) del tutto distinta dall’anima individuale.
Anche l’idea che il pensiero primitivo ignori ogni tipo di dualismo che separi il corpo dall’anima non trova conferma. Numerosi esempi mostrano che esiste una distinzione notevole tra l’elemento corporeo e la diversità di quelle entità spirituali che per comodità chiamiamo «anime», entità che possono avere una corporeità o che, come il doppio dell’ego, costituiscono ciò che Frazer chiamava l’«anima esterna».
Varietà dell’anima. In mancanza di termini più adatti e più vari, utilizziamo qui il termine anima al singolare, per riferirci a concezioni differenti fra loro più di quanto lo siano Shinto e Cristianesimo; anima indica spesso, nel caso di un singolo essere vivente, entità molteplici, che gli stessi popoli autoctoni distinguono per spiegare ciò che considerano forze spirituali indipendenti. Dal momento che le credenze di un gruppo etnico possono contraddire quelle di un altro, risulta difficile immaginare una tipologia valida per tutto un continente o anche solo per una vasta area culturale; di conseguenza, sembra più appropriato illustrare la diversità delle anime – la complessità e l’ambiguità di queste credenze – con alcuni esempi.
I Fang del Gabon distinguono sette tipi di anima: 1) eba, principio vitale situato nel cervello, che scompare dopo la morte; 2) nlem, il cuore, sede della coscienza, che ispira gli atti dell’uomo e con lui scompare al momento della morte; 3) edzii, di carattere individuale, che dopo la morte conserva una sorta di individualità; 4) ki (o ndem), simbolo dell’individuo e al tempo stesso forza che lo perpetua dopo la disincarnazione; 5) ngzel, principio attivo dell’anima finché questa è nel corpo; 6) nsissim, ombra e anima insieme; 7) khun, spirito disincarnato, che può apparire come un fantasma.
Da questo esempio si vede che l’anima non viene mai concepita come sostanza amorfa; piuttosto, viene rappresentata da organi funzionali (cervello, cuore), attraverso immagini (ombra, fantasma), simboli (nome, segno della personalità), o dalle sue attività. La differenziazione delle anime può anche avvenire in relazione a criteri etici o sessuali o alle loro modalità di azione.
Gli Mbua del territorio del Rio Branco in Brasile (il litorale di San Paolo) credono che in ciascun individuo esistano un’anima benefica e un’anima malefica, che si manifestano attraverso la comunicazione, ovvero attraverso il discorso e un processo impulsivo paragonabile alla telepatia. Inoltre, c’è un terzo tipo di anima, chiamata nee, che costituisce il nucleo iniziale della personalità e ha il ruolo di spirito protettivo. Quest’anima resta vigile mentre gli uomini dormono nella foresta; ma a differenza dell’angelo custode, non è un essere distinto dall’uomo. Se le tre anime abbandonano simultaneamente il corpo, la persona muore. I Mossi del Burkina Faso (Alto Volta) credono che la morte provenga dalla separazione nell’anima (siga) di due princìpi indivisibili, uno maschile (hirma) e l’altro femminile (tule)....

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Avvertenza
  6. Dizionario delle religioni dell’Oceania
  7. Elenco delle voci
  8. A cura di Mircea Eliade
  9. Altri titoli di Mircea Eliade