Capitolo primo
TEMPO E STORIA NELLA TRADIZIONE DELL’INDIA: KĀLA E KARMAN*
«Al di sopra del tempo è stato posto
un vaso, pieno fino a traboccare»1
L’esistenza dell’universo – e quindi la storia dell’uomo e del cosmo – è sotto il dominio di due potenze superiori: kāla (il tempo) e karman (l’azione).
La prima parte di questo saggio sarà quindi dedicata al Tempo, e la seconda, più breve, alla Storia. Affronteremo il problema del tempo seguendo i diversi rivoli di una tradizione così riassunta da Bhartrhari: «La visione del tempo varia a seconda che esso sia considerato una potenza o il Sé o una divinità. Nello stato di ignoranza [il tempo] è la prima realtà a manifestarsi, ma nello stato di sapienza esso scompare»2.
Tempo
1. Il tempo come frutto dell’azione rituale
Nella più antica esperienza dell’India dei Veda, il tempo era percepito come l’esistenza concreta degli esseri che definiamo appunto temporali. Non esiste qualcosa come un tempo vuoto. «Il tempo» è una astrazione che non esiste. Ciò che esiste è il flusso (cronologico) degli esseri; ed è proprio questo processo a rendere possibile il sacrificio.
Il tempo è nato insieme al sacrificio, ed è tramite il sacrificio che esso viene di nuovo distrutto. Questa idea sta alla radice del rapporto intrinseco tra culto e tempo, e ci fornisce la chiave per comprendere il ruolo centrale del sacrificio e dell’apporto umano al dispiegarsi del tempo. In questo senso, il tempo è un prodotto realizzato dall’Uomo in stretta collaborazione con gli Dèi: il tempo, ossia l’esistenza continuativa degli esseri, è un manufatto teandrico3.
Nei Veda del periodo Saṃhitā troviamo vari termini che designano il tempo, ad esempio āyus, tempo della vita, arco dell’esistenza4, oppure ṛtu, tempo propizio per i sacrifici, stagione5. Il tempo astratto non riveste alcun interesse per i ṛṣi, i poeti/savi dei Veda, per i quali non c’è continuità temporale se non nell’azione rituale o nell’atto di un Dio (Indra, per esempio).
Questo tempo (…) non ha realtà, cioè efficacia, se non nei momenti in cui vengano concertati gli atti divini o sacri (…). In questa successione di atti che connettono momenti, sarebbe inutile cercare una certa continuità: la continuità non è altro che il prodotto della attività costruttiva che ricomincia giorno dopo giorno6.
Nei Veda, l’unità di misura del tempo è il giorno, che costituisce il centro di ogni esperienza temporale7. L’alba e il tramonto sono «giunzioni», i momenti più «critici» dell’intera giornata. È «di giorno in giorno» (dive dive)8 e grazie al sacrificio quotidiano, l’agnihotra, che il tempo resiste e l’esistenza continua. Di qui il celebre detto: «Se il sacerdote non offrisse ogni mattina il sacrificio del fuoco, il sole non sorgerebbe»9.
Più avanti, man mano che il sacrificio diventava sempre più elaborato, e la costruzione dell’altare del fuoco – nei Brāhmaṇa – si protraeva per oltre un anno, come unità di misura superiore venne adottato l’anno. Il sacrificio rimase comunque a fondamento della struttura temporale, con ogni mattone corrispondente a un giorno dell’anno.
Affinché il mondo potesse esistere, in principio fu immolato il Puruṣa, l’Uomo cosmico, nel Ṛg-veda10, e Prajāpati nei Brāhmaṇa: il mondo esiste solo in virtù di questo atto sacrificale primordiale11. Come secondo atto – attuato però in ordine inverso – è il sacrificio a ricostituire il Signore degli esseri viventi. E dato che Prajāpati viene identificato con il tempo, simboleggiato nell’anno12, questa ri-costituzione corrisponde al consolidamento del tempo, alla strutturazione dell’anno. Nei Veda, questa attività è spesso paragonata a quella della tessitura13. È la trama ordita da giorno e notte14 e dai momenti cultuali15.
Un’altra antichissima immagine per raffigurare il ritmo del tempo è la ruota (cakra), simbolo del ciclo solare. Un’immagine che ancora ha un ruolo vitale sia nelle speculazioni sul tempo, sia come simbolo popolare del «ciclo» dell’esistenza.
Insomma, in questa visione intuitiva dei Veda sul tempo, anzitutto, c’è un’idea così stretta del rapporto tra il tempo e l’atto di adorazione (karman nel senso più interiore del termine) che non esiste l’uno senza l’altra. In secondo luogo, l’Uomo vedico – diversamente da quello dei periodi successivi – aspira o a una lunga vita o a un certo genere di continuità che non sembra essere garantito dagli eventi cosmologici16.
2. Il tempo come potenza cosmica
Una seconda, fondamentale idea intuitiva di tempo, comunque affine alla prima, si spinge fino a considerare il tempo come una potenza cosmica che è fons et origo della realtà. Questo concetto non solo è molto antico, con degli analoghi in altre civiltà, ma è soprattutto molto popolare, e probabilmente appartiene allo strato meno brahmanico della tradizione ìndica. Ciò spiegherebbe perché quasi tutte le scuole «ortodosse» abbiano reagito vigorosamente contro quella che definivano kālavāda, cioè la dottrina che pone il tempo al centro della realtà e gli attribuisce una causalità universale. Ogni veemente negazione presuppone appunto l’esistenza, o addirittura il predominio di ciò che viene negato; per cui la tendenza marcatamente a-temporale e trans-temporale di un certo induismo potrebbe essere giustificata proprio dalla rilevanza del «tempo assoluto» nella cultura dell’epoca.
3. Il tempo come principio assoluto: il fato
Non ci occuperemo della questione se il concetto di tempo assoluto sia stato importato in India da Babilonia o dalla Grecia17, e in che misura tale concetto sia riconducibile a influssi iranici18. Ciò che ci preme sottolineare è l’importanza di questa dottrina a partire dall’epoca dell’Atharva-veda. L’esaltazione del Grande Tempo contenuta in due inni di questo Veda rappresenta la più precoce espressione dell’idea del Tempo come «creatore del creatore» Prajāpati, il quale è niente meno che brahman (il principio ultimo dell’universo):
1. Il Tempo traina (il carro come) un cavallo con sette redini,
con mille occhi, carico di frutti e immune all’età.
A cavalcioni vi sono poeti che comprendono i canti ispirati.
Le ruote sono tutto ciò che esiste.
2. Così il Tempo trae sette ruote,
ha sette mozzi, l’asse portante è (chiamato) non-morte.
Su questa sponda di tutte le cose che esistono
esso avanza, primo tra gli Dèi.
3. Un vaso colmo è stato posto sopra il Tempo.
Noi vediamo (il Tempo) anche se esso è
in molti luoghi (simultaneamente).
Di contro a tutte queste cose che esistono
il Tempo (è anche seduto), dicono, nel sommo firmamento.
4. In unità il Tempo ha portato in grembo questi esseri,
in unità li ha circondati.
Il Tempo padre è divenuto il tempo loro figlio.
Nessuno possiede maggior gloria di lui.
5. Il Tempo ha generato il Cielo lassù,
il Tempo anche (ha generato) le Terre che vediamo.
Poste in moto dal Tempo, le cose che erano
e che saranno hanno un posto assegnato.
6. Il Tempo ha creato la Terra; nel Tempo arde il Sole;
nel Tempo (sì), il Tempo, l’occhio vede tutti gli esseri da lontano.
7. Nel Tempo è consapevolezza; nel Tempo,
respiro; nel Tempo si concentra il nome.
Mentre il Tempo si dispiega
tutte le creature gioiscono in lui.
8. Nel Tempo è (sacro) fervore, nel Tempo (sì), nel Tempo
è concentrato l’onnipotente brahman.
Il Tempo è Signore di tutte le cose,
il Tempo fu padre di Prajāpati19.
Tutta la realtà dipende dal Tempo; al Tempo è subordinato perfino il sacrificio, che altrove nei Veda era considerato la potenza suprema. È importante notare il rapporto, stabilito in praticamente tutti i testi sul tema, tra tempo assoluto e tempo empirico, tra creatore e creatura, tra padre e figlio20, tra causa ed effetto. Qui lo spazio risulta sostenuto dal tempo ed esteso nel tempo21. Addirittura, le realtà interiori – consapevolezza e respiro – si trovano sotto il dominio del tempo22. Un dinamismo universale mette in movimento tutte le cose. Per farla breve, qui kāla è la divinità suprema, non soggetta né al creatore personificato (Prajāpati) né alla potenza cosmica impersonale del sacrificio o di brahman: «Dopo aver conquistato tutti i mondi con la Parola, il Tempo avanza, Dio supremo»23.
Nella Maitrī-upaniṣad, che riflette diverse concezioni di tempo, si trova una citazione derivata dalla dottrina del tempo assoluto (kālavāda): «Dal Tempo fluiscono gli esseri, attraverso il Tempo invecchiano, nel Tempo sono distrutti: il Tempo informe assume una forma»24. In base a questa dottrina, abbiamo due aspetti del tempo: quello trascendentale e quello incarnato nel sole, nei pianeti e nelle suddivisioni empiriche del tempo.
È però difficile stabilire con esattezza i collegamenti tra questa antica dottrina kālavāda e i testi, molto posteriori, del Mahābhārata, dato che ciò che sappiamo della prima deriva in gran parte da citazioni riportate in testi che si sforzano di confutarla25.
Inoltre, nel Mahābhārata si riflette soprattutto una concezione popolare, che probabilmente ebbe un profondo influsso sull’atteggiamento dei circoli meno «vedici», vale a dire la concezione del tempo come Fato26. Una certa passività hindū, sempre sull’orlo del fatalismo, e troppo frettolosamente attribuita all’influsso musulmano sulla cultura indiana, ha le sue radici in questa visione del tempo.
Il testo di area kālavāda citato più spesso è: «Il tempo matura le cose, il tempo avvolge le creature; il tempo veglia mentre tutte dormono. È difficile superare il tempo»27.
Anche se dal Mahābhārata emerge chiaramente che sono state elaborate tante diverse teorie sul tempo, l’idea predominante sembra però quella del fato ineluttabile.
(Il tempo è) il Signore che opera il cambiamento negli esseri: ciò che non può essere compreso e dal quale non vi è ritorno. Il tempo è il destino [il flusso: gati] di ogni cosa; se uno non lo seguisse, dove potrebbe andare? Che tu ti sfo...