Estoy dentro el ojo: el pozo
donde desde el principio un niño
está cayendo, el pozo cuento
lo que tardé en caer desde el principio…
Sto dentro l’occhio: il pozzo
In cui dall’inizio un bambino
Cade, il pozzo in cui misuro
Il tempo che passo a cadere dall’inizio…
Octavio Paz, Pasado en claro
«Ecco dunque, fratelli carissimi, le spiegazioni che vi avevo promesso sulla semplicità della teologia mistica»: erudito, matematico, diplomatico, sempre in movimento, Nicola Cusano scrive dal Tirolo, più precisamente da Brixen o Bressanone (un lato tedesco, uno italiano, come lui). Nominato vescovo nel 1450, è stato incaricato di riformare questa diocesi di montagna, posizione strategica tra la zona tedesca e i principati italiani. Si scontra con la maggioranza del clero, ostile verso questo straniero, un Renano imposto dal papa, e con le truppe di Sigismondo d’Austria, conte del Tirolo, che lo farà imprigionare nel 1460. Nell’ottobre del 1453, dunque, invia ai monaci insediati sulle rive del bel lago Tegernsee, nelle Alpi bavaresi, il trattato che ha promesso loro e che lui stesso intitolerà L’Immagine o L’Icona, ma che è conosciuto come De Visione Dei sive De icona1.
Per quasi dieci anni (1451-1460), L’Icona è al centro di un dibattito regionale. Tra il Trentino, la Baviera meridionale e la Bassa Austria, i testi circolano al ritmo delle stagioni e delle attività3. Salgono attraverso il Brennero, discendono lungo l’Inn o il Danubio e compongono un reticolo di luoghi: l’abbazia di Tegernsee, un vivaio di uomini di valore (Gaspard Aindorffer, l’abate, e Conrad de Geissenfeld, Bernard de Waging, ecc.), ardenti sostenitori del Cusano, che passa da loro all’inizio del giugno 1453; l’abbazia di Melk, vicino a Sankt Pölten, sulla riva destra del Danubio, centro di un movimento di riforma che ha conquistato tutta la Germania meridionale (e, nel 1426, anche Tegernsee) e che diffonde la mistica renana; la recente certosa di Aggsbach (sulla riva sinistra del Danubio), il cui priore Vincent, prolifico autore di manoscritti che giungeranno anche a Melk, disputa senza fine contro l’intellettualismo di Gerson o del Cusano; la facoltà di teologia di Monaco in cui insegna, «autorevole ed erudito», il professore e decano Marquard Sprenger4. Al passaggio di Nicola Cusano, un intreccio locale impone la sua cornice di presupposti, alleanze e lotte: il suo trattato fa seguito a una richiesta di Tegernsee sulla teologia mistica; le sue lettere rispondono a domande o a stizze. Lo stile della corrispondenza appartiene al «dialogo», privilegiato nei trattati cusaniani, ma qui montagne e fiumi separano gli interlocutori e rendono visibile, quand’anche nella stessa regione, la natura delle relazioni.
Un luogo è fatto tanto di complicità quanto di conflitti che proliferano intorno a L’icona. Nel 1448, Nicola Cusano era già stato attaccato e il suo trattato maggiore, il De docta ignorantia (1440), ridicolizzato da un buon teologo conciliarista, Johannes Wenck, in un ironico pamphlet il cui titolo, De ignota literatura, potrebbe essere tradotto: «Dimenticare Cusano». Il professore di Heidelberg, nemico giurato del «cieco» Aristotele e dell’«opaco» Platone, indirizzava al suo avversario una protesta su come deve essere una «buona» teologia e su quali autorità fondarla5. Disputa universitaria e non monastica. Scena renana e non alpina. Nella sua risposta, l’Apologia doctae ignorantiae (1449), un’autobiografia intellettuale sotto forma di dialogo con un discepolo (italiano) scandalizzato dall’«insolente» professore, Nicola Cusano, lasciando sfavillare tutta la sua erudizione e il vasto orizzonte delle sue investigazioni (da Platone a Meister Eckhart), tenta di definire quella che chiama la «caccia» («venatio») filosofica – termine chiave che per tutta l’opera ripete l’impellenza e il desiderio. No, non si tratta dei «teologi» prigionieri di «autorità» che si accontentano di riprodurre senza pensarle: «Si credono teologi perché sanno ripeterne altri che hanno assunto come loro autori»6. Quanto gli viene opposto, intorno al 1448, è una teologia positiva; intorno al 1453, sarà una teologia affettiva. Tra questi due modi di ipostatizzare un luogo o un’esperienza particolare – la Facoltà o il monastero, l’attenzione letterale ad «autori» selezionati o il sentimento di una «devozione» –, si cimenta il percorso cusaniano che è stato correttamente designato come una «teosofia»7.
La scena tedesca di questi «affari» riguarda anche la teoria. Indebolito al proprio interno e all’esterno, il «Sacro Romano Impero» si regionalizza. Si separa definitivamente dall’investitura pontificia che siglava il suo carattere «universale». All’inizio del secolo, l’espressione ufficiale deutscher Nation, aggiunta al titolo tradizionale, delimita e afferma un nazionalismo del Reichsvolk in paesi in cui, nei testi amministrativi e giuridici, il latino è stato da tempo rimpiazzato dal tedesco. I pregiudizi degli umanisti italiani contro la Germania, contro i costumi «barbari», contro il suo idioma (un «gergo», dicono) o contro la sua incapacità speculativa, come pure le razzie di manoscritti a cui si abbandonano nei monasteri bavaresi o renani inaspriscono, nei letterati tedeschi, una coscienza nazionale alla ricerca di una propria legittimità8. Il De Germania di Tacito assegna a questa ricerca di un’identità il riferimento e il linguaggio di un patrimonio autonomo. Grande esperto di archivi «maltrattati e perduti negli armadi» di inconsapevoli proprietari9, Nicola Cusano è «il primo uomo dell’epoca moderna» a conoscere questo testo ancora ignorato la cui scoperta verrà paragonata da Humboldt a quella dell’America: lo ricopia parzialmente e, come pare si facesse un tempo con le reliquie, lo sottrae all’abbazia di Fulda per inviarlo a Poggio Bracciolini, collezionista erudito e segretario della curia romana a cui porta regolarmente dal 1427 al 1429 manoscritti rari10. Chi serve o chi tradisce sottraendo questo tesoro «perduto» e assicurandogli, così, attraverso la deviazione italiana, un ruolo di catalizzatore in Germania? Egli gioca su più regioni. Non si identifica alla legge di un luogo.
Ma questa legge nemmeno la nega. Afferma la sua appartenenza alla nazione germanica. Sottolinea alcune comunanze: così, Ugo di San Vittore è per lui «il nostro Tedesco», «il nostro eminente Sassone»11. Certo, originario della regione della Mosa, è anzitutto lotaringio. Studente, firma «Nicolas di Treviri» le sue annotazioni sul De mystica theologia di Gerson e sul commento al Parménide di Proclo12. La sua formazione iniziale, l’apprendimento delle «arti» a Heidelberg, l’insegnamento del diritto a Colonia, l’attività di decano a Coblenza, e fino alla lettura di Meister Eckhart a Magonza13: tutta questa esperienza è renana, assillata dal Reno sempre presente («stabiliter»), fiume turbolento o limpido («jam turbulentior, jam clarior»), permanenza che attraversa tutte le province dell’opera14.
Dopo i primi soggiorni in Italia, si considera e si dichiara «Tedesco» (Germanus). Nella prefazione al De concordantia catholica (1433), si scusa per lo «stile» lontano dall’eleganza degli «Italiani» che sono, dice, Latini «per natura» e legati ai Greci da parentela. «Noi Tedeschi, anche se nessuna posizione contraria delle stelle ci ha reso inferiori agli altri quanto all’ingegno […], non senza un’immensa fatica (labor maximus), facendo in qualche modo violenza alle resistenze della natura, riusciamo a parlare correttamente il latino». Lingua ancora universitaria, il latino, ieri regola della «cultura», pende dal lato di una «natura» e di una genealogia mediterranee. Si nazionalizza. L’opera presentata da un Tedesco alle «altre nazioni», dunque, non deve essere giudicata secondo il criterio della sua conformità alle regole e a un’eleganza locali, cioè secondo i costumi di una «nazione», ma secondo «l’ingegno» che si esprime in uno stile «senza arte (incultus)» e «senza artificio (absque fuco)»: «Il senso è più evidente là dove la maniera di parlare è più dimessa»15. Dietro l’ironia dell’emigrante che deve usare una lingua straniera si afferma una differenza tra l’universalità dell’ingegno («ingenium») e la diversità etnica delle lingue (le «positività»). L’«humile eloquium» cusaniano, se da un lato si ispira ancora alla concezione agostiniana di un «s...