Capitolo primo
SILENZIO… DESERTO… PREGHIERA
Dan Herr, editore del Critic, diceva un giorno: «Non si fanno più i ritiri… sono di moda i deserti!». Sarà forse presuntuoso da parte mia, ma credo che questa piccola frecciata mi riguardasse almeno in parte. Perché, per quanto ne so io, non ci sono poi tante altre persone nel continente nord-americano che scrivano sul deserto o vi si ritirino.
In questi ultimi anni ho molto parlato e scritto sul silenzio, la solitudine, i deserti, e continuerò a scrivere su quest’argomento perché lo credo d’importanza vitale per la nostra civiltà urbana tecnologica che sta crescendo e mutando. È evidente che l’umanità deve far fronte a molti problemi, che dovrà anzi affrontarne ancor di più, e che sono problemi che turbano profondamente l’anima di tutti gli uomini. È altrettanto certo che noi non possiamo, che noi non dobbiamo respingere questo mondo nuovo, strano, rischioso, inquietante, che si apre davanti a noi… che è già qui. Noi cristiani, in particolare, non lo possiamo: perché il Cristo si è inserito in questo mondo, e noi siamo i suoi, il suo corpo, e quindi anche noi, come lui, apparteniamo a questo mondo delle macchine IBM, a questo mondo della cibernetica, che presenta al nostro spirito, al nostro cuore e alla nostra anima problemi ogni giorno più vasti. Perché la scienza progredisce sempre più in fretta, molto più in fretta di quanto l’uomo di oggi – o anche l’uomo di domani – sia capace di cogliere, di capire o di assimilare.
Nel suo modo implacabile, la scienza continua a distruggere quelli che possiamo chiamare i falsi miti, le superstizioni e le aggiunte che circondano non soltanto la religione cristiana, ma Dio stesso, aggiunte che sono rimaste incollate alla veste della Chiesa. In un certo senso, la scienza fa un buon lavoro, e noi dovremmo rallegrarci delle sue scoperte, valutando sempre però queste scoperte alla luce della vera rivelazione del Cristo risorto.
Questo giudizio è particolarmente necessario nell’epoca in cui viviamo. Tanta gente va a cercare il Cristo in tanti luoghi. È quello che egli aveva predetto: «Se vi si dice, ‘Eccolo nel deserto!’ – non vi andate; o se vi si dice, ‘Ecco dove s’è nascosto!’ – non credetelo» (Mt 24,26). I padri della Chiesa, i vescovi, hanno ricevuto dallo Spirito Santo delle grazie per giudicare con discernimento. Qui dobbiamo essere vigilanti.
Molte scoperte scientifiche «ultrasegrete» e ancora inedite possono fare dell’uomo un robot. Sentiamo dire addirittura che è possibile modificare geneticamente l’uomo, e sottometterlo grazie al lavaggio del cervello. E nello stesso tempo l’universo della scienza si conserva col rinnovamento spirituale, invita l’uomo (centro della creazione) a fare, della «libertà dei figli di Dio», un’esperienza raramente conosciuta prima.
L’uomo può veramente incontrare la realtà e risalire fino alla fonte stessa – fino all’Origine che non ha origine. Perché il mistero dell’uomo in mezzo al mondo, alla natura, alla tecnica e all’urbanizzazione è intrinsecamente un mistero divino. Ma è sempre sulla croce che Dio si rivela a questa civiltà scientifica e tecnologica che è la nostra. Come sempre, egli è vicino e lontano. Come sempre, rivela sé stesso per mezzo di ciò che non è lui stesso, in modo che anche l’uomo moderno possa riconoscere la pienezza della verità – immagine di Dio manifestata nel mondo e nella sua temporalità.
Ma bisogna anzitutto comprendere che questo Mistero non lo si ritrova nel mondo come tale. Lo si trova e lo si coglie nel cuore degli uomini che lo cercano senza negarne l’esistenza. È perché l’uomo è essenzialmente spirito – aperto all’assoluto del Divino – che non è mai soddisfatto, in un modo o nell’altro, delle realtà create. La natura non è divina. Essa è soltanto un segno di Dio, un grido verso Dio.
Può sembrare strano, ma ciò che può aiutare l’uomo moderno a trovare risposta al suo mistero e al mistero di colui a cui immagine egli è stato creato, è il silenzio, la solitudine – in una parola, il deserto. Sono cose queste di cui l’uomo moderno ha ben più bisogno degli eremiti di una volta.
Se dobbiamo rendere testimonianza al Cristo sulle piazze di oggi, là dove la nostra persona è interamente sottoposta a incessanti sollecitazioni, abbiamo bisogno di silenzio. Se vogliamo essere costantemente disponibili, non solo fisicamente, ma per empatia, simpatia, amicizia, comprensione e una caritas senza fine, abbiamo bisogno di silenzio. Per essere in grado di dare un’ospitalità gioiosa, instancabile, non soltanto quella del tetto e del pane, ma quella del cuore, del corpo e dell’anima, abbiamo bisogno di silenzio.
Il vero silenzio, per l’uomo, è la ricerca di Dio.
Il vero silenzio è un ponte sospeso gettato dall’anima amante di Dio sui dirupi orrendi e tenebrosi del proprio spirito, sugli abissi strani della tentazione, sui precipizi insondabili delle proprie paure che ostacolano il suo cammino verso Dio.
Il vero silenzio è un colloquio di amanti. Perché solo l’amore conosce la sua bellezza, la sua pienezza e l’assoluto della sua gioia. Il vero silenzio è un chiuso giardino, solo nel quale l’anima può incontrare il suo Dio. È una fontana suggellata di cui egli solo può rompere il suggello per placare la sete infinita che l’anima ha di lui.
Il vero silenzio è la chiave del cuore immenso e acceso di Dio. È l’inizio di un idillio divino che finirà solo nel silenzio amoroso, fecondo, creatore ed immenso dell’unione definitiva con l’Amato.
Sì, un silenzio così è santo, è una preghiera al di là di ogni preghiera, che guida all’ultima preghiera, quella della presenza continua di Dio, in quell’alto punto di contemplazione in cui l’anima, infine in pace, vive della volontà di colui che essa ama totalmente, assolutamente e completamente.
Questo silenzio allora si manifesterà in una carità che traboccherà in servizio al prossimo, quale che ne sia il costo. Recherà testimonianza al Cristo, in ogni luogo e in ogni tempo. Essere disponibile diventerà piacevole e facile, perché in ogni persona l’anima vedrà il volto del suo Amore. L’ospitalità sarà profonda e vera, perché un cuore silenzioso è un cuore che ama, e un cuore che ama è un asilo per il mondo.
Questo silenzio non è prerogativa esclusiva dei monasteri o dei conventi. Questo silenzio semplice, impregnato di preghiera, è il silenzio di tutti e di ciascuno – o, se non lo è, dovrebbe esserlo. Esso appartiene al cristiano che ama Dio, all’ebreo che ha sentito in cuore gli echi della voce di Dio nei suoi profeti, a tutti coloro la cui anima si è messa alla ricerca della verità, alla ricerca di Dio. Perché dove regna il rumore – il rumore interiore e la confusione – Dio è assente!
Deserti, silenzio, solitudini, non sono necessariamente luoghi ma stati della mente e del cuore. Questi deserti si possono trovare nel centro delle città, e nel quotidiano della vita. Basta che li cerchiamo e che prendiamo coscienza dell’enorme bisogno che ne abbiamo. Saranno piccoli deserti, piccole solitudini, minuscole fontane di silenzio, ma, per poco che siamo disposti a penetrarvi, l’esperienza che ci procureranno può essere esaltante e santa come quella di ogni deserto del mondo, anche di quello in cui Dio si ritirò. Perché è Dio che dà la santità alla solitudine, ai deserti e ai silenzi.
Prendete la solitudine del ritorno a casa, la sera, dopo la metropolitana o l’autobus, quando le strade sono più calme e ci sono pochi passanti. Prendete la solitudine della vostra camera, quando andate a cambiarvi per stare a vostro agio, per mettervi addosso qualcosa di più comodo dei vestiti d’ufficio o di lavoro. Prendete la solitudine della casalinga, sola nella sua cucina, che si concede il tempo di mettersi a sedere e di bere una tazza di caffè prima di cominciare il lavoro del giorno. Pensate alle solitudini offerte da certe umili faccende domestiche, come fare le pulizie, stirare, cucire.
Uno dei primi passi in direzione della solitudine è una partenza. Se doveste partire per un autentico deserto, avreste certo bisogno di prendere l’aereo per arrivarci, o il treno, o la macchina. Ma noi siamo ciechi a quelle «piccole partenze» che riempiono le nostre giornate. Spesso ci sono delle «piccole solitudini», giusto dietro una porta che possiamo spingere, o in un angolino dove possiamo fermarci per guardare un albero preservato chissà come nella neve e nella sporcizia delle strade. C’è la solitudine di trovarsi in macchina quando si torna dal lavoro, sballottati nel traffico e negli ingorghi. Anche questo può essere un «punto di partenza» verso un deserto, un silenzio, una solitudine.
Ma il nostro cuore, il nostro spirito e la nostra anima hanno bisogno di essere accordati, di essere avidi e coscienti di questi momenti di solitudine che Dio ci dà. Per essere così accordati, occorre che perdiamo la nostra superstizione del tempo. Dio se la ride del tempo, perché se le nostre anime gli sono aperte, disponibili, egli può invitarle, cambiarle, elevarle, trasformarle in un istante! Egli può dire a chi guida la macchina nella confusione del traffico: «Io ti guiderò nella solitudine, e là parlerò al tuo cuore» (Os 2,16).
Non c’è solitudine senza silenzio. È vero, il silenzio è talvolta assenza della parola – ma è sempre l’atto di ascoltare. La semplice assenza di rumore (se non è riempita dall’attenzione che portiamo alla voce di Dio) non è silenzio. Una giornata piena di rumori e di voci può essere una giornata di silenzio, se i rumori divengono per noi l’eco della presenza di Dio, se le voci sono, per noi, messaggi e richiami di Dio. Quando parliamo di noi stessi e siamo pieni di noi stessi, allora dimentichiamo il silenzio. Quando ripetiamo quelle parole interiori che Dio ci ha lasciato dentro, allora il nostro silenzio resta intatto.
Il silenzio è verità nella carità. Il silenzio risponde a chi domanda. Ma non deve rispondere che con parole piene di luce. Il silenzio, come tutto il resto, o ci obbliga a darci interamente, oppure diventa tirchieria e avarizia, in ciò che serbiamo per noi stessi. La Scrittura dice che dovremo render conto di ogni parola. Forse dovremo rispondere anche delle parole che avremmo dovuto dire e che abbiamo taciuto!
Deserti, silenzio, solitudine. Per l’anima che si rende conto dell’urgente necessità di queste tre cose, le occasioni si presentano da sé nel bel mezzo degli ingorghi e degli ingombri di tutte le enormi città del mondo.
Ma come si può arrivare effettivamente a questa solitudine? Immobilizzandosi. Immobilizzarsi, e lasciare che la strana, mortale agitazione della nostra epoca terribile si distacchi e cada da sé come la cappa consunta e polverosa che essa è in realtà – una cappa che avevamo trovato bella un tempo. Avevamo visto l’agitazione come il tappeto magico di domani, ma adesso la vediamo realmente per quello che è: una fuga da sé stessi, un distogliersi da questo viaggio interiore che ogni uomo deve intraprendere per raggiungere Dio che dimora nelle profondità dell’anima.
Immobilizzarsi, ed esaminare in profondità le motivazioni della propria vita. Sono tali da poter ricevere le fondamenta di un’autentica santità? Perché, in verità, l’uomo è stato messo al mondo per essere un santo – un amante dell’Amore che è morto per noi! Non c’è che un unico dramma: quello di non essere un santo. Se le motivazioni della sua vita non sono tali da costituire delle vere fondamenta per la santità, l’anima deve ricominciare tutto da capo e trovare altre motivazioni. Questo è possibile. Questo è necessario. Non è mai troppo tardi per una nuova partenza.
Immobilizzarsi e, levando il cuore e le mani verso Dio, chiedergli che il soffio potente del suo Santo Spirito venga a spazzare l’anima da tutte le ragnatele della paura, dell’egoismo, della cupidigia, della meschinità del cuore; chiedergli che le sue lingue di fuoco vi scendano per darle il coraggio di una nuova partenza.
È possibile immobilizzarsi in tal modo nel bel mezzo del fracasso esteriore della vita quotidiana e delle obbligazioni del nostro stato. Perché quest’immobilità porterà dell’ordine nell’anima, l’ordine di Dio, e l’ordine di Dio porterà la tranquillità, la sua tranquillità. E porterà il silenzio.
Porterà il silenzio dell’amante che ascolta con tutto sé stesso i battiti del cuore dell’amato. Il silenzio della sposa che nella sua grande gioia ascolta nel suo cuore l’eco di ogni parola dell’amato. Il silenzio di una madre, così profondo, così interiore, che ascolta in esso la voce dei suoi bimbi che giocano in cortile, sensibile, senza sforzo, alla minima alterazione di ogni voce. Il suo è un silenzio attento che accompagna il compiersi competente, efficace e amoroso dei suoi compiti quotidiani.
Così questo silenzio s’impadronirà anche dell’amante, della sposa, della madre, del lavoratore, dell’infermiera, dell’apostolo, del prete, della suora – se in mezzo alle loro occupazioni quotidiane la faccia della loro anima sarà volta verso Dio.
All’inizio tali silenzi saranno rari e distanziati l’uno dall’altro. Ma, se è nutrito da una vita di preghiera liturgica e di preghiera mentale, dalla vita sacramentale della Chiesa, a poco a poco, come il nuovo getto di un grande albero, il silenzio crescerà e verrà nell’anima sempre più spesso. E poi, di colpo, un bel giorno, vi resterà per sempre.
Allora l’anima si volgerà da sola verso il suo Amato. Ed egli verrà, avanzando a passi silenziosi sulla via incandescente del silenzio. La sua venuta – una volta sperimentata – farà ormai del silenzio una cosa di grande valore. Questo si farà allora più profondo, e, prendendo l’uomo interamente, farà di lui un suo possesso.
Eppure, stranamente, una volta che il silenzio si sia stabilito definitivamente in un’anima – come una Maria di Magdala ai piedi del Cristo – la parola diventerà più facile per coloro la cui anima sia totalmente raccolta – in quel silenzio – nel Signore. La parola e anche il lavoro. Ci si comporterà in mezzo agli uomini con benevolenza, con dolcezza, con pazienza. L’amore risplenderà in ogni gesto, in ogni parola. Ci sarà sempre il tempo per fare qualcosa di più per qualcuno da qualche parte.
Nutrita dalle acque del silenzio, la caritas comincerà a cantare il suo canto d’amore, in modo che tutti, uomini e donne, si spenderanno letteralmente gli uni per gli altri – a casa propria e fuori casa, in tutti gli stati di vita di ogni genere, in tutte le strade e su tutte le pubbliche piazze del mondo. E allora, vedete! Ecco che la loro forza – e così la loro giovinezza – si rinnoverà come quella di un’aquila!
A poco a poco, in modo impercettibile, il mondo intorno a loro cambierà. Perché il silenzio che è in loro diventerà parte del silenzio di Dio, silenzio amoroso, possente, creatore e fruttifero. Per mezzo loro si farà sentire la sua voce. E si vedrà il suo volto nel loro! E la sua luce diventerà una luce sui passi del loro prossimo!
È così che il silenzio porterà a tutti la pace. La preghiera del silenzio si farà sentire da tutte le parti nel nostro paese. E l’Amato verrà una volta di più per restare fra gli uomini, perché la sua vigna – il mondo – gli sarà resa. Sì, «fermatevi e conoscete che io sono Dio» (Sal 46,11).
Per grazia infinita di Dio, uomini e donne di questi anni ’70, lasciando dietro di sé la «morte di Dio», la questione della loro «competenza o incompetenza», si volgono oggi verso la preghiera. E forse non volgono soltanto la faccia, ma anche lo spirito e il cuore e l’anima. Il cuore affamato dell’uomo non ha potuto sopportare lo spaventoso deserto che gli si stendeva intorno. Gli era necessario riprendere contatto con Dio – gli era necessario rimettersi a pregare.
Così dunque, la preghiera è «di moda». Le famiglie ne parlano. I giovani ne discutono. I religiosi contemplativi ne dibattono. Tutti gli ordini religiosi si sforzano di comprenderla. Vari tipi di libri per imparare a pregare diventano dei best-sellers. Si intraprendono pellegrinaggi per trovare qualcuno che possa insegnare a pregare. La gente ricerca le case di preghiera, la solitudine, l’isolamento in cui pensano di poter realmente pregare. Sì, la bontà di Dio si manifesta ancora una volta in questa sete di preghiera, in questa fame di poter comunicare con lui. Ancora una volta ci rendiamo conto che «senza di lui non possiamo far nulla».
Ma c’è qui un rischio simile a quello già menzionato. Come non si sa fare distinzione tra silenzio e solitudine fisica, così si rischia di non distinguere tra preghiera e solitudine. Sono questi due aspetti della vita spirituale. La preghiera, certamente, è la vita di ogni cristiano. Senza preghiera, senza contatto con Dio, questa vita perisce. La solitudine, d’altro canto, costituisce una vocazione speciale, che non concerne tutti, ma un piccolo numero di persone. Eppure tanta gente oggi pensa a case di preghiera e a piccoli luoghi di solitudine fisica. Tanti preti, tante suore e frati, la cui vocazione è in verità una vocazione attiva, hanno deciso di colpo di essere capaci di abbracciare la solitudine del monaco certosino. Nella maggior parte dei casi, non è altro che un sogno a occhi aperti, una tentazione romantica nella vita spirituale. Francamente, questa è un’evasione dalle tensioni che bloccano oggi preti, suore, famiglie e giovani in una specie di stretta implacabile. A...