La rivoluzione americana
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La rivoluzione americana

Pagine dal block-notes di un lavoratore negro

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La rivoluzione americana

Pagine dal block-notes di un lavoratore negro

About this book

Pubblicato negli Stati Uniti nel 1963 e in Italia da Jaca Book nel cruciale 1968, quando l'aggettivo «negro» era ancora invalso in molti ambienti, questo libro costituisce una preziosa chiave di lettura per comprendere, a distanza di oltre mezzo secolo, movimenti attuali come «Black lives matter» e campagne come «Fight for 15$», che hanno riportato al centro dell'attenzione mondiale il tema dei diritti civili e sociali connessi al lavoro. Nato nel sud rurale degli USA, James Boggs ha trascorso quasi tutta la sua vita nella capitale dell'auto Detroit, lavorando come operaio per ventott'anni. La rivoluzione americana ci offre una prospettiva unica sui movimenti radicali afroamericani per i diritti civili e sociali negli anni del secondo dopoguerra, prefigurando con lucidità fenomeni come la massiccia automazione dei processi produttivi e la conseguente disoccupazione tecnologica.

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I
IL SORGERE E IL DECLINO DEL SINDACATO

Negli ultimi vent’anni negli Stati Uniti c’è stata una rivoluzione industriale che si è sviluppata ad un ritmo molto più rapido che in qualsiasi altro paese del mondo, e che ha trasformato gli strati sociali di questo paese in una maniera di cui non ci si sarebbe mai sognati prima. Questa rivoluzione industriale si è sviluppata così velocemente che il 60% dei posti di lavoro che oggi sono nelle mani della popolazione operaia durante la prima guerra mondiale non esistevano nemmeno, mentre il 70% dei posti di lavoro esistenti nel paese nel 1900 oggi non esistono. Non solo le qualifiche professionali sono fondamentalmente cambiate, ma le forze del lavoro sono aumentate dai 20 milioni del 1900 ai 40 milioni del 1944 e ai 68 milioni di oggi. Questo cambiamento non si riscontra solo nelle cifre. Più di 20 milioni dei lavoratori oggi sono donne, e ci si aspetta che nel 1970 il numero delle lavoratrici salirà a 30 milioni: una forza di lavoro femminile che sarà una volta e mezzo l’intera forza lavoro del 1900.
Gli Stati Uniti si sono trasformati così rapidamente da paese agricolo a paese industriale e come paese industriale hanno subito delle rivoluzioni industriali così rapide che il problema dell’appartenenza dei singoli alle varie classi diventa sempre più vasto e sempre più complicato. Il borghese di oggi è il figlio o la figlia dell’operaio di ieri.
Quand’ero piccolo la massima aspirazione di mia madre era di imparare a leggere e a scrivere, perché se fosse stata capace di leggere e di scrivere avrebbe potuto diventare una cuoca di classe in una ricca famiglia di bianchi. Questo, per lei, avrebbe significato il successo e la realizzazione di un’aspirazione che per lei e per i suoi tempi era una grossa aspirazione. Per me sperava che ricevessi un’istruzione tale da non dover fare le cose che lei aveva dovuto fare. In America, più che in qualsiasi altro paese, le rivoluzioni delle tecniche produttive si sono sempre accompagnate a dei cambiamenti nella composizione e nella posizione delle classi. Oggi la maggior parte degli operai hanno frequentato le scuole superiori e alcuni perfino l’università. Tutti prevedono o desiderano mandare i loro figli all’università: i figli, perché così non dovranno lavorare in fabbrica e fare un lavoro che essi considerano banale e meccanico; le figlie perché così non siano obbligate a sposare il primo venuto (sic!) e possano guadagnarsi da vivere ed essere libere di decidere se sposarsi o no, libere, non come erano nel passato, quando la grande aspirazione era quella di tirar su una ragazza finché potesse incontrare e sposare un buon lavoratore che provvedesse a lei e ai figli.
Da ciò si vede come l’America sia ad uno stadio in cui le classi non sono dei blocchi omogenei isolati come in tempi passati in Europa quando, appena superato il feudalesimo, il controllo era nelle mani di pochi grossi proprietari di terre e di fabbriche, mentre il resto della popolazione serviva la classe che governava, nelle maniere più svariate. Né è simile agli Stati Uniti di prima della guerra civile quando nel Sud c’erano i grossi proprietari terrieri con milioni di schiavi sorvegliati da pochi capoccia, mentre nel Nord c’erano gli artigiani nelle piccole botteghe, agricoltori e operai tessili. Né è simile agli anni Venti quando l’agricoltura si stava meccanizzando e la popolazione rurale si riversava nelle grandi città per fornire manodopera ai macchinari e alle catene di montaggio delle industrie della produzione in serie, che avevano incominciato a sorgere dalla prima guerra mondiale.
Negli anni Trenta, mentre il paese affrontava una profonda crisi economica, i vecchi sindacati artigianali entrarono in una fase di declino e la gente, disillusa e in preda al panico, incominciò a dar vita a nuove forme organizzative. Erano spinti da un’amministrazione che si chiamava New Deal e che, per salvare il paese dal collasso totale, aveva dato il via a certe riforme, creando con ciò lo spazio d’azione delle masse popolari. Questo condusse ad un’ondata di ulteriori riforme sociali e alla nascita della CIO1, che in quel momento era il maggior movimento di riforma sociale che mai si fosse visto in America. Per la prima volta dei gruppi radicali disponevano di una forza di massa in azione con cui poter far circolare e tener vive le proprie teorie e idee, idee che per la maggior parte si basavano sui concetti europei di organizzazione e sulla teoria della lotta di classe di Marx, Lenin e Trotsky. Migliaia di giovani intellettuali, per la maggior parte figli di immigrati europei, incominciarono a prender parte e a divenire parte del movimento operaio. A quel tempo la validità della loro concezione era rafforzata dal fatto che la grande massa dei lavoratori americani erano ancora «operai non specializzati» con funzioni non diversificate – operai delle industrie automobilistiche, tessili, della gomma e lavoratori agricoli.
Che cosa è avvenuto da allora? I figli degli operai e dei minatori sono diventati insegnanti, ingegneri, disegnatori, scienziati, assistenti sociali. Infatti oggi nemmeno i radicali pensano più che i loro figli lavoreranno al loro posto nelle catene di montaggio, o nelle miniere con la piccozza e la pala in mano, o dietro a un trattore. Oggi la grande massa di lavoratori organizzati nel paese è formata da camionisti, spedizionieri, ecc., nella industria dei trasporti. L’altra grande massa, per lo più non organizzata, è formata dagli insegnanti. C’è un esercito sempre più numeroso di tecnici e ingegneri che oggi nell’industria occupano le stesse posizioni che nelle industrie di ieri occupavano i lattonieri, carpentieri e gli operai specializzati. Questo è quello che sono, niente di più niente di meno.
Anche nel Sud si sta verificando questa trasformazione e non solo fra i bianchi, ma anche fra i negri. Ci sono molte decine di migliaia di giovani negri all’università oggi e sono proprio quelli che guidano le lotte per la libertà nel Sud. Sono i figli degli ex-GI, uomini che hanno lavorato nelle acciaierie, nelle ferrovie, nelle fabbriche, nelle miniere, ma sono decisi a fare in modo che i loro figli non facciano lo stesso.
Oggi la classe operaia è così dispersa e cambiata proprio per la natura dei mutamenti produttivi, che è pressoché impossibile riconoscere in ogni singolo settore operaio la classe lavoratrice nel vecchio significato del termine. Oggi qualcosa come il 15% degli impieghi nelle industrie è nella industria bellica – nella produzione di missili, serbatoi, fucili, razzi – e in queste industrie uomini e donne svolgono le stesse mansioni. Alcune di queste negli anni passati li avrebbero fatti rientrare nella classe borghese; alcuni guadagnano dei salari che superano quelli di certi dirigenti d’azienda. I figli degli sterratori di ieri oggi sono ingegneri, scienziati, fabbricanti di utensili, tecnici elettronici, fisici nucleari, insegnanti, assistenti sociali, programmatori, esperti nell’analisi dei costi, tecnici di laboratorio, infermiere negli ospedali, segretarie di persone importanti, e anche dattilografe, impiegati generici, centralinisti. Solo le madri e i padri sono rimasti a fare quei mestieri che una volta erano considerati le mansioni tipiche della classe puramente operaia. E ogni anno le mansioni tipicamente operaie diminuiscono via via che l’automazione avanza e le fagocita.
Comunque non è solo la diversificazione del lavoro che ha cambiato la classe operaia. La classe operaia si sta ingrandendo come aveva predetto Marx, ma non è la vecchia classe operaia dei radicali, quella che loro continuano a credere che farà la rivoluzione e si impadronirà del controllo della produzione.
Questa vecchia classe operaia è il «gregge che sta scomparendo»2. Sono rimasti solo 12 milioni di questi operai nell’industria americana, su una forza lavoro totale di 68 milioni.
Inoltre poiché i negri sono stati gli ultimi ad essere assunti per questi lavori inferiori, più del 30% dei lavoratori di questo tipo (cioè circa 4 milioni) sono negri. Così i negri, cui i radicali generalmente non pensano come a degli operai, rappresentano una grossa percentuale di questa forza della classe operaia che generalmente è considerata la forza rivoluzionaria, mentre i bianchi locali che sono riusciti a fare dei passi avanti via via che la produzione cambiava sono sempre meno presenti nella forza lavoro operaia.
Esaminando la storia della CIO, della rivoluzione industriale, della disoccupazione, possiamo farci un’idea dei cambiamenti rivoluzionari che sono avvenuti così rapidamente in America, portando direttamente a dei cambiamenti nella natura del lavoro, nella composizione sociale dei vari strati della popolazione, delle classi all’interno di essa, e della sua cultura.
La CIO venne alla ribalta verso gli anni Trenta. Arrivò quando gli Stati Uniti che avevano combattuto nella guerra del 1917 e avevano costruito un’industria su larga scala sfruttando i progressi tecnologici di quella guerra, erano in uno stato di collasso economico, con oltre 12 milioni di disoccupati. Gli operai degli stabilimenti cominciarono a organizzarsi in maniera clandestina, come avviene solitamente in movimenti simili prima di una grande riforma sociale: nelle cantine, nei bar, nei garage, proprio come si erano incominciati ad organizzare gli abolizionisti, una minoranza contro le opinioni della comunità. Chi si occupava di far procedere questo movimento erano comunisti, socialisti, wobblies3, radicali di ogni tipo, insieme a predicatori e a un nuovo strato di operai militanti. Gli scioperi bianchi si diffusero improvvisamente in tutto il paese. Vi partecipavano tutti i lavoratori dell’industria automobilistica, ad eccezione di quelli della Ford, e il movimento si propagò alle industrie collegate.
Per afferrare il significato sociale della CIO bisogna capire chiaramente che gli operai diventavano influenti ma non avevano in mano il potere.
Diventavano influenti solo negli stabilimenti. Non avevano il potere nel governo dello Stato, o nel governo della nazione, o nella polizia cittadina, o nella guardia nazionale, o nell’esercito. Ma nei loro scontri con la polizia e spesso con truppe federali, essi mobilitavano un settore della popolazione che non era direttamente interessato ma che sentiva di avere anch’esso qualcosa da guadagnare partecipando alla lotta. Gente di ogni strato sociale cominciò a sostenere queste lotte concentrandosi intorno agli operai, spesso partecipando sia fisicamente che finanziariamente.
E parimenti dovrebbe essere chiaro che i lavoratori non agirono tutti come un blocco unico, né misero in atto lo sciopero bianco come un blocco unico, né si unirono tutti al movimento come un blocco unico. Quando il movimento dello sciopero bianco incominciò nelle officine, alcuni operai rimasero lì senza lavorare, altri invece se ne andarono a casa ad aspettare di vedere come sarebbero andate le cose. Il grosso stabilimento della Ford a River Rouge, dove c’era la maggiore concentrazione di operai del paese, non si mosse affatto. Fu solo quattro anni dopo, nel 1941, che la Ford Motor Company aderì al sindacato. È necessario comprendere che erano più gli operai che venivano incanalati dentro al sindacato di quelli che spontaneamente vi aderivano. La lotta per il sindacato era anche una lotta contro i crumiri. Alcuni operai furono costretti ad aderirvi da quelli che avevano visto e sentito i vantaggi di questa grande organizzazione sociale.
Dal 1935 fino all’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1941, abbiamo passato il periodo dei più grandi conflitti industriali e delle più grandi lotte operaie per il controllo della produzione cui mai si sia assistito negli Stati Uniti.
Abbiamo osservato un numero mai visto di persone diventare partecipi e interessate al movimento dei lavoratori come movimento sociale. Quelli che lavoravano negli stabilimenti sotto una nuova Magna Charta del lavoro, il grande Wagner Act4, non solo avevano una nuova visione del significato della loro stessa vita, ma avevano anche il potere di intimorire la direzione, dai capi operai fino ai capi gruppo, obbligandoli a cedere alle loro richieste ogni volta che si mettevano in discussione gli standard di produzione. Quando la direzione non cedeva, gli operai spegnevano gli interruttori e interrompevano la produzione finché non ottenevano soddisfazione. Così ampio era il loro controllo sulla produzione, che essi obbligavano la direzione ad assumere migliaia e migliaia di operai che altrimenti non sarebbero stati assunti. Però bisogna ricordare che anche allora, al culmine del suo potere nel campo della produzione, la CIO non risolse mai il problema della disoccupazione. Ci volle la Seconda Guerra Mondiale per ridare un lavoro ai milioni di persone che per tutti gli anni Trenta erano rimaste disoccupate. Al culmine del potere della CIO, c’erano più disoccupati di quanti ce ne sono oggi, sia in assoluto che in proporzione.
La prima seria mossa falsa della CIO si ebbe nel 1938 e si trasformò in contratto nel 1939. Ciò avvenne quando il sindacato si mise d’accordo con gli industriali per mettere fuori legge lo sciopero bianco all’interno degli stabilimenti. Gli operai per non essere scavalcati dal contratto del sindacato trovarono subito una nuova formula che più tardi si sarebbe dimostrata uno strumento di opposizione sia al sindacato che agli industriali. Cominciarono a scioperare senza l’autorizzazione del sindacato. Nel 1939 e 1940 con l’ombra della guerra che minacciava l’Europa il contratto stabiliva che il sindacato non avrebbe provocato o istigato scioperi bianchi o scioperi in genere negli stabilimenti. Lo NRLB5 venne istituito a Washington e, in seguito a Pearl Harbour, il War Labor Board6. I capi del sindacato si impegnarono col governo a non scioperare e qui seguì uno dei più grossi dibattiti che ci sia mai stato nel sindacato sul problema se i sindacati dovevano conformarsi a quest’impegno oppure no. Malgrado le proteste di migliaia e migliaia di operai, che si rendevano conto che la libertà che avevano appena conquistato, veniva limitata, la CIO e tutti gli altri sindacati, ad eccezione di quello dei minatori, soccombettero. Ma per tutto il periodo della guerra gli operai continuarono a sabotare la produzione anche se molti avevano figli nell’esercito. Fu in questa occasione che i capi dei sindacati cominciarono anche ad usare mezzi di pressione extra-sindacali, tra cui l’attività di alcuni membri del War Labor Board, per persuadere gli operai a ritornare al lavoro per la buona riuscita dello sforzo bellico.
Comunque, nel clima della Seconda Guerra Mondiale gli operai crearono all’interno degli stabilimenti una forma di vita e di rapporti migliori di quanto si fosse mai ottenuto nella società industriale. In primo luogo la guerra provocò la comparsa negli stabilimenti di operaie, di operai negri e di gente di tutti i tipi, compreso professori, artisti e radicali che prima non sarebbero mai entrati in uno stabilimento per via della loro razza o del loro sesso, della condizione sociale o della mentalità radicale. Via via che la guerra continuava, nello stabilimento si verificava una fusione sociale, un calderone di diverse esperienze e mentalità sociali, politiche, culturali e regionali.
Fianco a fianco con quello che stava accadendo nella fabbrica sorgeva anche l’organizzazione del sindacato e quella che oggi è la burocrazia del sindacato. Con un solo problema da risolvere – quello di far sì che gli operai lavorassero – i capi dei lavoratori incominciarono ad accorgersi della loro potenza. Essi, che ieri erano operai al bancone, adesso sedevano a un tavolo insieme alla direzione e ai delegati di Washington. Se a Washington, al primo posto, Roosevelt «was clearing things with Sidney»7 e viceversa, a livello locale i capi dei lavoratori con migliaia di operai sotto controllo si sentivano importanti. Questi capi dei lavoratori spesso usavano gli intellettuali radicali come consiglieri di strategia e di tattica. Trovavano utili questi radicali per presentare una faccia militante agli operai. Alla vigilia della guerra, la burocrazia sindacale accettò il contratto dei sindacati manifatturieri dove si chiedeva che ogni operaio dello stabilimento diventasse membro del sindacato. Per la prima volta la «macchina» politica di uno stabilimento veniva organizzata dallo stesso sindacato e la direzione mise a disposizione delle stanze nello stabilimento apposta per i funzionari del sindacato.
Per tutta la durata della guerra gli operai continuarono a rinfacciare al sindacato l’impegno a non scioperare stipulato con il governo. Si svolsero migliaia e migliaia di scioperi non autorizzati. (Nel 1943 e 1944 soltanto, ci furono 8708 scioperi che interessarono 4 milioni di operai). Questi scioperi avvenivano per dei problemi come: il diritto di fumare una sigaretta (per la prima volta le società furono costrette a permettere agli operai nei grandi stabilimenti di fumare, cosicché non fu più necessario masticare il tabacco); il diritto della direzione di licenziare gli individui accusati di dormire nelle ore di lavoro, o che se la prendevano troppo comoda o che non tenevano il passo con la produzione; il diritto di mangiare durante il lavoro, di leggere durante il lavoro, e a...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Introduzione dell’autore all’edizione italiana
  6. Premessa dell’editore americano alla seconda edizione
  7. Introduzione
  8. I: IL SORGERE E IL DECLINO DEL SINDACATO
  9. II: LA SFIDA DELL’AUTOMAZIONE
  10. III: LA SOCIETÀ SENZA CLASSI
  11. IV: GLI OUTSIDERS
  12. V: PACE E GUERRA
  13. VI: LA «CADUTA DELL’IMPERO» DEGLI STATI UNITI
  14. VII: RIBELLI CON UNA CAUSA
  15. VIII: LA RIVOLUZIONE AMERICANA