La nascita di Cristo ha sconvolto la storia dell'umanità con l'idea che un Dio, nel pensiero delle grandi religioni trascendente e diverso, può diventare un uomo come gli altri. La teologia e l'arte, la liturgia e la pietà hanno dato ampio spazio al dogma cardine del cristianesimo. A un mondo che a tutte le latitudini celebra ormai il Natale come una festa di cui spesso dimentica, o addirittura ignora, il significato originario, si contrappone il plurisecolare discorso per immagini dell'arte cristiana. Il volume riflette sul tema spaziando tra la solenne iconografia degli Orienti cristiani e i capolavori dell'Occidente. La più antica immagine raffigurata risale al IV secolo e la più recente al 1975. Ogni opera è arricchita da un commento descrittivo, che valorizza il contesto storico, le risorse dell'esegesi e i commenti patristici, oltre alla storia dell'arte e della teologia. I due autori, un'equipe consolidata sui rispettivi temi e che collabora su svariati progetti, si sono impegnati per rendere la scoperta sulla natività di Cristo nell'arte un affascinante viaggio tra estetica e teologia.
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La Natività di Cristo e i tre Magi, Bassorilievo, sarcofago, IV secolo, Musée de l’Arles et de la Provence Antique, Arles
L’incarnazione del Verbo di Dio in Gesù di Nazareth fu confessata fin dalle origini del cristianesimo, secondo quanto riportato dai quattro Vangeli e celebrato con stupore e solennità dalla liturgia: «Venite, esultiamo per il Signore, esponendo questo mistero. Il muro di separazione che era frammezzo è abbattuto; la spada di fuoco si volge indietro e i cherubini si ritirano dall’albero della vita… Poiché la perfetta immagine del Padre, l’impronta della sua eternità, prende forma di servo, procedendo da Madre di nozze, senza subire mutamento: ciò che era è rimasto: Dio vero; e ciò che non era ha assunto, divenendo uomo per amore degli uomini»12. Ma, tra l’elaborazione di tale aspetto della Buona Novella e la sua traduzione in immagini, trascorsero almeno due secoli. Tale constatazione vale d’altra parte per la quasi totalità degli articoli del Credo. La prima Vergine con il Bambino potrebbe essere una pittura murale delle catacombe di Priscilla di fine III secolo. La prima Natività, nel senso precisato nell’introduzione, o almeno quella più anziana che ci è pervenuta, è probabilmente il rilievo del sarcofago del IV secolo scoperto recentemente e conservato ad Arles (Provenza, Francia). Queste due opere illustrano che la prima arte cristiana fu essenzialmente legata all’arte funeraria: il luogo privilegiato in cui le raffigurazioni comparvero fu l’affermazione della fede in occasione delle esequie, nei luoghi e sugli oggetti che conservavano le spoglie dei fedeli. Attorno a questi, i primi cristiani erano soliti riunirsi e pregare sia durante tutto il periodo delle persecuzioni ma anche dopo l’Editto di Milano del 313 che riconobbe il cristianesimo come una religione lecita. I lati dei sarcofaghi, in particolare, furono per svariati secoli (dal III all’VIII) il luogo in cui non solo furono manifestate le idee cristiane sulla vita ultraterrena e sui beati ma anche elementi essenziali della fede cristiana al punto che alcuni sono qualificati come “sarcofaghi dogmatici”, in particolare due conservati nel museo del Laterano a Roma. Effettivamente su di essi sono scolpite non solo delle raffigurazioni di Cristo e di alcuni suoi miracoli ma anche delle immagini della Creazione del mondo e di Adamo e Eva per mano di Dio con l’assistenza del suo Logos.
La scena della Natività rappresentata su questo sarcofago è una tra le rappresentazioni del fregio che ne ornano il lato lungo. È contornata da altre immagini, in particolare nella parte inferiore vi sono i tre Magi, con il tipico berretto frigio13, che indicano con il dito la stella che si è fermata sul tetto sotto cui riposa il Bambino nel registro superiore14. La presenza della Natività su questo tipo di oggetto contribuisce all’affermazione silenziosa di un legame a tutto tondo tra il defunto e la sua fede in Cristo e ovviamente anche di un rapporto più specifico tra lui e il Bambino nella mangiatoia. Infatti, al centro della scena si trova Gesù non seduto sulle ginocchia di sua Madre ma appena nato, nudo avvolto in fasce. Questo tipo di bende rimanda, a livello simbolico, sia a quelle del defunto, la cui salma per secoli fu avvolta in bende piuttosto che posta in un lenzuolo, sia alle numerose rappresentazioni di Lazzaro morto e avvolto in fasciature da cui, una volta risuscitato, potrà liberarsi solo con l’aiuto di coloro cui Cristo si rivolge per sbendarlo. Dunque una tale Natività, posta su un sarcofago, fu indubbiamente interpretata dai contemporanei come una chiara allusione al fatto che il defunto all’interno della bara era diretto verso la vita in modo simile al Bambino Gesù. Le bende richiamano anche il Cristo crocifisso che, posto nella tomba e avvolto in lini, era rinato per sempre. Queste sono quindi investite del compito di annunciare una promessa d’eternità.
A sinistra del Bambino, seduta accanto a un letto a forma di mangiatoia, avvolta anch’ella in una tunica, vi è Maria, che porta la mano destra al mento in maniera preoccupata. È la prima testimonianza di un gesto che ricorre spesso nelle opere consacrate a questo soggetto: molte immagini della Madre di Dio dell’arte cristiana la mostrano immersa in una riflessione grave o rattristata, mentre medita sul destino che attende suo Figlio. È interessante soffermarsi sulle proporzioni dei corpi che non sono rispettate. Infatti, il Bambino appena nato è anormalmente grande in rapporto a sua Madre: è il segno che l’arte cristiana non è primariamente un’arte della mimèsis, dell’imitazione scrupolosa della realtà e dell’aspetto di persone e oggetti ma un’arte della significazione, che si adopererà affinché le figure siano immediatamente leggibili e identificabili senza fatica, privilegiando la trasmissione del significato cui le comunità cristiane aderivano. Un altro effetto di tale primato di senso è la forma degli occhi, sia di quelli umani sia animali. Le loro pupille attentamente scavate con il trapano pongono l’accento sull’aspetto rivelativo di questa scena: si tratta chiaramente di un’epifania.
La presenza del bue e dell’asino non è menzionata in nessun racconto evangelico della Natività di Gesù. Essa reclama il suo legame con la letteratura profetica veterotestamentaria («Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone», Is 1,3) e si spiega soprattutto grazie alla diffusione dei testi apocrifi, in particolare lo Pseudo Vangelo di Matteo15, che acquisì una certa autorevolezza su tale soggetto, agevolata dal tacito consenso della Chiesa gerarchica e dall’approvazione unanime del popolo cristiano. Si trattò di un’autorità tale che la raffigurazione del presepe non fu dispensata, fino ai nostri giorni, dalla presenza dei due animali che si ritiene abbiano riscaldato con il soffio delle loro narici il corpo del nuovo nato. Le precisazioni sull’arte che seguirono il concilio di Trento rarificarono per qualche tempo la loro presenza nei dipinti ma, richiesti dai fedeli, il bue e l’asino riapparvero nel XVIII secolo nelle raffigurazioni della Natività e specialmente dei presepi.
Il personaggio in piedi sulla destra, giovane, leggermente abbigliato, che compie un gesto di acclamazione e di riconoscenza non è Giuseppe, il padre adottivo di Gesù, solitamente raffigurato come un uomo anziano nell’arte cristiana primitiva. È chiaramente caratterizzato come un pastore, grazie al suo bastone che tiene come un’insegna… la sua gioia fa pendant con la riflessione inquieta di Maria.
12Liturgia della Natività secondo la carne del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, in Anthologhion di tutto l’anno, vol. I, Lipa Edizioni, Roma 2012, p. 1154.
13 Cfr. J. Guyon, «La naissance de Jésus dans la première art chrétien», in G. Dorival, J.P. Boyer (a cura di), La Nativité et le temps de Noël, cit., p. 86.
14Ivi, p. 88.
15 Cfr. il contributo di E. Norelli, «La formation de l’imaginaire de la naissance de Jésus aux deux premiers siècles», in G. Dorival, J.-P. Boyer (a cura di), La Nativité et le temps de Noël, cit., pp. 51-63 sull’antichità dei racconti apocrifi e sul ruolo che questi ebbero nel processo di formazione dei racconti canonici.
2. PITTURA MURALE, CASTELSEPRIO, IX SECOLO
La Natività di Cristo, Pittura murale, IX secolo, Santa Maria Foris Portas, Castelseprio, Varese
L’affresco della Natività di Cristo presente nella chiesa di Santa Maria Foris Portas a Castelseprio è frutto di un incontro tra Oriente e Occidente. Il ciclo di pitture nell’abside principale – riscoperto nel 1944 da Gian Piero Bognetti sotto altri affreschi del XV-XVI secolo – fu ed è tuttora oggetto di discussioni circa la cronologia, la committenza, l’origine dell’artista. Gli affreschi riproducono scene dell’infanzia di Cristo ispirate ai Vangeli apocrifi dell’infanzia, in particolare il Protovangelo di Giacomo. La peculiarità del loro stile bizantino-ellenico, in un contesto longobardo nemico di tale impero, ha acceso il dibattito tra gli studiosi sulla datazione della costruzione della chiesa e della realizzazione dei primi affreschi. La maggior parte degli studiosi li collocò inizialmente nell’VIII secolo16, ma questa datazione fu contestata dal mondo accademico statunitense17. In particolare Kurt Weitzmann propose l’inizio del X secolo, mentre altri storici dell’arte altrettanto famosi optarono per un’epoca intermedia, l’80018. Non mancarono sostenitori di una datazione più antica, il VI secolo19. In ogni caso, fino alle recenti indagini del 2012 la discussione rimase aperta. La recente ricerca sistematica20 – che ha previsto un’analisi stratigrafica delle murature e dei rivestimenti, uno studio storico-artistico del ciclo di affreschi dell’abside orientale, complesse datazioni 14C di legni e malte – ha permesso sostanzialmente di risolvere l’enigma e di datare la costruzione della chiesa al IX secolo e il ciclo di affreschi attorno alla metà del X secolo. L’artista che realizzò gli affreschi, lo sconosciuto maestro di Castelseprio, riprese dunque uno stile noto come “neoellenismo”, una corrente artistica che si diffuse probabilmente nel periodo imperiale degli Ottoni, tra il 900 e il 1000.
Le straordinarie raffigurazioni dell’abside principale si articolano su tre registri. Nel registro superiore sono rappresentate, l’Annunciazione, nella quale Maria riceve l’annuncio dell’angelo mentre è intenta a filare, secondo lo schema tipico bizantino derivato dai racconti apocrifi; la Visitazione, di cui rimane solo una parte; la Prova delle acque amare, mezzo per testare l’eventuale infedeltà, superata sia da Maria sia da Giuseppe. Sopra la finestra centrale, vi è il medaglione con Cristo Pantocratore, cui segue la scena del sogno di Giuseppe e il viaggio a Betlemme. Il racconto continua nel registro centrale con l’episodio della Natività; sulla parete che separa la conca absidale dalla navata è rappresentata l’adorazione dei Magi, sormontata dalla scena dell’etimasia, il trono vuoto su cui siederà Cristo nel giorno del Giudizio; nella parte centrale dell’abside la Presentazione di Gesù al tempio.
L’iconografia della Natività di Cristo riprende i canoni bizantini. Attorno al nucleo principale sono raccolti i diversi episodi accaduti in tempi successivi: la Madre sdraiata21 al centro della scena, Giuseppe all’angolo inferiore destro, le levatrici, l’annuncio dell’angelo ai pastori. Sul lato sinistro è raffigurata la Madre di Dio in una scena raramente riprodotta: vestita di una tunica azzurra e con un nimbo dorato che le incornicia il capo, è sdraiata su un giaciglio, sullo sfondo di una grotta, con le gambe leggermente divaricate mentre una donna, posta sull’estremità sinistra, stende la mano verso di lei per verificarne la verginità dopo il parto. I vangeli canonici non menzionano la grotta, che risale a una tradizione posteriore, testimoniata già da Giustino (100-164 circa) nel Dialogo con Trifone (78,5). L’episodio, narrato nel Protovangelo di Giacomo, prende spunto dalla notizia confidata dall’ostetrica che aiutò Maria a partorire, Salomè, a un’amica: «Ho un miracolo inaudito da raccontarti: una vergine ha partorito, ciò di cui non è capace la natura»22. La reazione di questa fu l’incredulità e la sfida: «Se non ci metto il dito e non esamino la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito»23. Questo frangente è ripro...
Table of contents
Copertina
Frontespizio
Copyright
INDICE
Introduzione
1. Bassorilievo, Arles, IV secolo
2. Pittura murale, Castelseprio, IX secolo
3. Miniatura, Evangeliario di Bernward di Hildesheim, 1015 circa
4. Mosaico, Cappella Palatina, 1143
5. Pittura murale, Cappadocia, fine XI-inizio XII secolo
6. Pittura murale, Monastero dei Siriani, XII secolo
7. Vetrata, Chartres, inizio XIII secolo
8. Miniatura, Messale di Stammheim, 1160-1170 circa
9. Affresco, Cappella degli Scrovegni, 1303-1305
10. Pittura su pannello di legno, Duccio, 1308-1311
11. Pittura murale, Creta, XIII-XIV secolo
12. Mosaico, San Salvatore in Chora, 1313-1315
13. Affresco, Monastero di Studenica, 1313-1314
14. Miniatura, Matenadaran, 1323
15. Affresco, Monastero di Marko, fine XIV secolo
16. Pittura su pannello, Rogier Van der Weyden, 1445-1448 circa
17. Tempera su tavola, Filippo Lippi, 1458-1460
18. Icona, scuola di Rublëv, XV secolo
19. Icona, scuola di Pskov, inizio XVI secolo
20. Olio su tela, Federico Barocci, 1597
21. Olio su tela, Georges de La Tour, 1648 circa
22. Olio su tela, Giovanni Battista Pittoni, 1740 circa
23. Icona, Russia centrale, prima metà XVIII secolo