SIRIA: LA STRATEGIA DEL CAOS SOTTO I NOSTRI OCCHI
di Paolo Sensini
Il conflitto che è esploso in Siria nel marzo 2011 non è una semplice «guerra civile» che ha contrapposto tra loro delle comunità, ma uno scontro all’ultimo sangue tra due progetti di società. Da un lato una Siria laica e secolarizzata, rispettosa delle diversità etniche, culturali, religiose e politiche, dall’altro una Proxy war che mirava a ristabilire il califfato attraverso il jihad1.
Già tra il 1978 e il 1982 la Siria dovette affrontare un ciclo omicida di attentati, fino alla sconfitta del braccio armato dei Fratelli Musulmani ad Hama, città a 150 chilometri da Aleppo2.
Nel 1979, con l’aiuto dell’Arabia Saudita e sotto il comando di Osama bin Laden, gli americani decisero di usare i Fratelli Musulmani e i salafiti per combattere contro il governo comunista afghano sostenuto dall’URSS3. L’intenzione, per citare una celebre frase di Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, era quella di «dare all’URSS il suo Vietnam», tenendo le forze sovietiche impantanate in un territorio ostile a combattere una guerra impossibile da vincere4. Gli Stati Uniti vedevano nei mujaheddin un alleato importante nel loro «Grande gioco» contro l’Unione Sovietica. E, in effetti, si riferivano a questi militanti chiamandoli «combattenti per la libertà». Il presidente Ronald Reagan si spinse addirittura al punto di paragonarli ai «Padri fondatori americani»5.
Durante la Guerra Fredda e oltre, le brigate internazionali di bin Laden furono impiegate nella ex Jugoslavia (Bosnia-Erzegovina e Serbia), in Iraq e poi nel Caucaso russo (Cecenia)6. Ciò che tuttavia all’epoca nessuno aveva preso in considerazione era la possibilità che questa banda raffazzonata di combattenti internazionali riuscisse a sconfiggere l’Unione Sovietica. I mujaheddin non solo scacciarono le forze sovietiche dell’Afghanistan, ma, abbandonando le loro aspirazioni nazionaliste e unendosi come un solo corpo nel perseguimento di una causa comune, diedero origine a un nuovo tipo di movimento militante transnazionale nel quadro del mondo islamico: il jihadismo7.
Nel 2005 il Qatar raccolse l’eredità dei sauditi. Con questa nuova sponsorizzazione, la Fratellanza musulmana convinse alcuni occidentali, tra questi soprattutto uno dei grandi sostenitori della «Primavera araba», il generale e poi capo della CIA David Petraeus, che era cambiata trovandosi nella condizione di poter esercitare il potere. Inizialmente sedotti, tunisini, egiziani, libici e siriani si rivoltarono presto contro il giogo dei Fratelli Musulmani8.
Nonostante l’opposizione di al-Qa‘ida che non riteneva ancora giunto il momento, un ulteriore passo venne compiuto con la decisione dell’ISIS di proclamare il Califfato nel giugno 2014. A poco a poco in Africa, Asia, Vicino e Medio Oriente, la moltitudine di gruppetti fanatici ispirati ai Fratelli si è allineata alla spada insanguinata del «Califfo». Dopo gli assassinii politici e le operazioni paramilitari, i jihadisti hanno proceduto a realizzare una pulizia ideologica su vasta scala, epurando la comunità sunnita e massacrando tutte le altre, per regnare poi su un immenso cimitero9.
Dai tempi dell’«Emirato Islamico di Bab Amr» (2012) a Homs, in tutte le zone occupate della Siria − comprese quelle sotto il controllo del cosiddetto Esercito siriano libero (FSA), che i Paesi occidentali hanno qualificato come «opposizione legittima» − le scuole sono state chiuse se non bruciate, l’alcol vietato, le donne impossibilitate a uscire di casa senza il velo e se non accompagnate da un parente maschio, la poligamia legalizzata. Ovunque, il diritto di voto è stato abrogato, il patrimonio comune distrutto, gli omosessuali defenestrati e la schiavitù ripristinata10.
L’ISIS teorizza che ai non musulmani, fra cui vanno annoverati gli sciiti, dev’essere offerta la scelta fra convertirsi, andare in esilio o morire. Lo Stato Islamico sostiene apertamente che in una società «islamizzata» dev’essere ristabilita anche la «pratica della schiavitù su vasta scala», e irride i musulmani che ritengono la schiavitù un semplice portato sociale dei primi secoli. «Prima che Satana riveli i suoi dubbi ai deboli di mente o di cuore – ha scritto «Dabiq», la rivista patinata dell’ISIS – ciascuno ricordi che ridurre in schiavitù le famiglie degli infedeli e prendere le loro donne come concubine è un aspetto della legge islamica stabilito in modo fermo. Se qualcuno lo negasse e lo mettesse in ridicolo starebbe negando e mettendo in ridicolo i versetti del Corano e gli insegnamenti del Profeta (pace e benedizione su di lui) e pertanto sarebbe apostata dell’Islam»11.
La Siria, indipendentemente da ogni valutazione di carattere politico, confessionale o economico, è una repubblica in cui il governo e il suo presidente vengono eletti con suffragio universale. Il fatto che il popolo siriano abbia partecipato in massa alle elezioni del 3 giugno 2014 e che queste, nonostante la guerra in corso, siano state riconosciute valide dai diplomatici e osservatori internazionali presenti a Damasco, è sufficiente a dimostrarlo12.
Ma i disegni geostrategici sull’area erano così vasti e ambiziosi da giustificare qualsiasi sforzo, anche se il presidente Bashar al-Assad era stato riconfermato dal popolo siriano con l’88,7% di voti a suo favore13.
Gli Stati Uniti, dopo un lavoro di anni, sono riusciti a costruire una politica islamista condivisa con Arabia Saudita, Qatar e Fratellanza musulmana. Tali piani, secondo la visione di Washington e Fratelli Musulmani alleati, puntavano al controllo di una vasta area comprendente Egitto, Libia, Siria e Tunisia. Anche la Turchia di Erdoğan era una grande sostenitrice di questo progetto, prima della «sterzata» in politica estera avvenuta verso la metà del 201614. Tuttavia, i poteri in Siria riuniti attorno al presidente Assad, l’entrata in forze sul campo dei russi e l’ascesa del generale Abd al-Fattah al-Sisi in Egitto nel luglio 2013, hanno sconvolto i piani della Fratellanza15.
Dopotutto, l’intervento degli Stati Uniti e alleati in Afghanistan, Iraq, Siria e Libia ha portato all’avanzata della shar’ia e all’islamizzazione della società a tutti i livelli coincidendo con un processo di «regressione premoderna che è andato di pari passo con quello di pauperizzazione»16. Gli stessi USA hanno sostenuto lo «stato di diritto islamico» nei primi anni ’80 in Sudan dove i neri africani divennero dhimmi, cioè si trovarono a vivere l’umiliante e insostenibile condizione dei non musulmani nelle terre governate dall’Islam17.
Ovvio che tutto questo non è accaduto per caso, ma è frutto di un lavoro che si è protratto nel tempo. Le influenze dei Fratelli Musulmani nell’amministrazione Obama si palesarono già nei primi mesi del 2013, quando «la storia del “22 dicembre” pubblicata nella rivista egiziana “Rose el-Yussef” fu tradotta in inglese per l’Investigative Project on Terrorism (IPT). Vi si può leggere che la Casa Bianca è divenuta “da ostile a gruppi e organizzazioni islamiche nel mondo” al più grande e importante sostenitore dell...