Dizionario dei luoghi del sacro
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Dizionario dei luoghi del sacro

Mircea Eliade

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Dizionario dei luoghi del sacro

Mircea Eliade

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Non c'è religione, né cultura religiosa, che non abbia un luogo del sacro. In esso si concentrano le tre costanti: simbolo, mito e rito. Come attestano i più affermati studiosi della materia nelle voci che compongono questo "Dizionario dei luoghi del sacro", esso designa semplicemente un luogo «separato», adibito a consentire il rapporto tra gli uomini e il divino. Lo scopo a cui il luogo è destinato prevale dunque sul modo in cui è progettato e costruito. Per gli antichi greci come per gli indiani, era sufficiente accendere un falò destinato ai sacrifici rituali all'interno di un quadrato tracciato nel terreno per ergerlo a luogo sacro, attribuendovi in tal modo un rilievo speciale. Le straordinarie inventività e creatività umane col passare dei millenni hanno poi diversificato i luoghi del sacro in forme diversissime e sorprendenti, toccando in molti casi vette nel campo dell'architettura e dell'arte. I templi e i complessi monumentali delle grandi civiltà euroasiatiche, mediterranee, dell'Estremo Oriente, fino alle Americhe e all'Oceania sono tutti il prodotto della volontà umana di assegnare a specifici luoghi «deputati» l'incontro tra umano e soprannaturale, tra umano e divino.
Questo volume prende in considerazione non solo le «grandi religioni» ma anche i culti che, a torto, in passato sono stati considerati «minori», in cui sempre si incontrano le tre costanti del sacro: simbolo, rito e mito.

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Information

Publisher
Jaca Book
Year
2020
ISBN
9788816800526

DIZIONARIO DEI LUOGHI DEL SACRO

A

AFRICA

Panoramica generale. In Africa, prima dell’arrivo del Cristianesimo e dell’Islam, i popoli a sud del Sahara avevano elaborato i loro sistemi religiosi e questi formavano le basi della maggior parte della loro vita sociale e culturale. Oggi, le religioni indigene, modificate dall’esperienza coloniale e postcoloniale, continuano a coesistere a fianco del Cristianesimo e dell’Islam e a svolgere un ruolo importante nell’esistenza quotidiana di questi popoli.
Altari, templi e arte religiosa. Gli altari e i templi sono canali di comunicazione con il mondo spirituale e possono anche essere i luoghi in cui divinità e spiriti risiedono. Gli altari possono avere una forma semplicemente naturale, come le foreste, le ampie rocce, i fiumi e gli alberi, dove le divinità e gli spiriti possono vivere. Ogni paesaggio africano ha luoghi di questo tipo che costituiscono il centro dell’attività rituale. Gli altari realizzati dagli uomini variano nella forma. Un semplice ramo di albero piantato nella terra è, tra i Nuer, l’altare di uno spirito della famiglia. Tra gli Ashanti invece un edificio rettangolare funge da cappella per i seggi degli antenati. Qualsiasi sia la forma, l’altare africano agisce da incrocio simbolico, luogo dove i percorsi della comunicazione tra mondo spirituale e mondo umano si intersecano. Se l’altare serve da tempio, cioè da luogo dove risiede un essere spirituale, viene costruito a forma di casa, come i «palazzi» degli antenati reali in Buganda. Questi altari abitualmente erano costituiti da due parti: la sezione frontale, dove il sacerdote e i fedeli si raccolgono, e la sezione posteriore, dove risiede il dio o lo spirito. L’altare si erge tra le due sezioni e le unisce assieme. Gli altari e i templi spesso contengono immagini scolpite che raffigurano divinità, spiriti e antenati; talvolta queste immagini funzionano esse stesse da altari. Le figure scolpite possono fungere da altari per la comunicazione con gli esseri spirituali e come luogo dell’incorporazione fisica degli spiriti stessi. I Baule della Costa d’Avorio scolpiscono figure che rappresentano lo sposo spirituale, che ogni individuo ha nell’aldilà già prima d’essere nato. Le figure con fattezze umane sono quindi un altare attraverso cui si può propiziare lo spirito. I popoli di lingua dan della Liberia e della Costa d’Avorio scolpiscono maschere lignee per rappresentare e incorporare spiriti della foresta in modo che possano poi apparire alla gente dei villaggi.

BIBLIOGRAFIA

J. Beattie e J. Middleton (curr.), Spirit Mediumship and Society in Africa, London 1969.
N.S. Booth, Jr. (cur.), African Religions. A Symposium, New York 1977.
J.S. Mbiti, African Religions and Philosophy, New York 1969.
T.O. Ranger e LN. Kimambo (curr.), The Historical Study of African Religion, Berkeley 1972.
B.C. Ray, African Religions. Symbol, Ritual, and Community, Englewood Cliffs/N.J. 1976.
BENJAMIN C. RAY

AFRICA OCCIDENTALE

Luoghi di culto. In generale, in Africa occidentale si è rivolta maggiore attenzione più all’altare come luogo del divino che al santuario costruito per ospitarlo. Vi sono eccezioni: in Nigeria, Benin, Ghana e Mali esistono edifici religiosi nei quali una parte è destinata al pubblico e il resto a custodire gli oggetti del culto (con «pubblico» si intende qui i fedeli che sono stati o saranno iniziati).
Di solito l’accesso alla parte pubblica del santuario è aperto ai fedeli che sono stati introdotti alla conoscenza dei misteri evocati dal luogo di culto. La parte riservata è accessibile solo agli alti dignitari della comunità di un culto specifico. In pratica, questa separazione indica che la religione non solo pone problemi di fede e di aderenza ad un sistema di credenze ma – cosa più importante – solleva questioni relative alla conoscenza e al potere. La religione è divisa in molti settori, che o si escludono o si completano a vicenda, così come vi sono diversi campi di conoscenza.
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Il collegamento tra religione e conoscenza, particolarmente importante in Africa occidentale, non sorprende. In effetti, si può dire che esso costituisca il tratto caratteristico delle culture subsahariane. Più è alta la propria posizione nella gerarchia religiosa, più conoscenza si possiede. Maggiore sarà la conoscenza, più è probabile che si verrà investiti di potere religioso. Tutto ciò rivela, da una parte, il collegamento tra la conoscenza sacra e il potere (incluso quello politico) – ogni saggio esercita un potere reale sulla comunità di cui fa parte – e, dall’altra parte, i modi in cui questa conoscenza viene distribuita. Per esempio, durante i riti di iniziazione, la conoscenza viene rivelata agli adepti «goccia a goccia», come se questa instillazione fosse l’unico metodo possibile di istruzione. Se si usasse qualsiasi altro metodo pedagogico, gli adepti rifiuterebbero la conoscenza, proprio come il loro corpo rifiuterebbe l’introduzione di un elemento estraneo, come il sangue di un gruppo sanguigno diverso. Tuttavia, vi è un’altra ragione per la quale la conoscenza è distribuita a poco a poco. L’adepto viene messo alla prova ad ogni livello per vedere come reagisce, per verificare che non faccia cattivo uso del potere così acquisito. In molte società dell’Africa occidentale, per esempio, il potere sacro di curare l’afflizione attraverso la manipolazione dei poteri spirituali e di sostanze materiali non è molto lontano dalla pratica della stregoneria. Sia la stregoneria che la pratica della guarigione spesso implicano l’uso di tecniche simili e di sostanze medicinali; ciò che le distingue l’una dall’altra è l’intenzione di chi le pratica di fare del bene o del male. Perciò, prima di fornire a un adepto la conoscenza religiosa, è necessario prendere delle misure per assicurarsi che lui o lei userà questo potere per il bene della comunità. Un uomo o una donna che possieda la conoscenza sacra e si lasci ingannare dal proprio potere, dall’avidità, dall’invidia o dalla malevolenza, può avere effetti disastrosi sulla comunità.
I luoghi di culto, vari e numerosi, si possono classificare in relazione ai quattro elementi: acqua, terra, aria e fuoco. In tutta l’Africa occidentale, l’acqua ispira sentimenti di incertezza, paura, rassicurazione e sicurezza; è vista soprattutto come fonte di vita. Ogni corso d’acqua ha il proprio spirito. Usando una metonimia, il corso d’acqua è una sorta di «dio d’acqua» venerato dai popoli fluviali e rappresenta un tempio d’acqua nel quale i fedeli, portando offerte, si immergono. Per esempio, la parte del fiume Niger che attraversa il territorio dei Bambara è considerata il corpo di Faro, lo spirito d’acqua, che è responsabile della fecondità, della moltiplicazione e proliferazione di tutti gli esseri viventi. Presso gli Yoruba della Nigeria si pensa che Yemọja, figlia di Ọbatala e di Oduduwa, abbia generato tutte le acque del Paese e sia la patrona del fiume Ogu, suo santuario preferito. Per gli Edo della Nigeria le acque della regione appartengono ad Oba. Nel Ghana e in Costa d’Avorio i fiumi, i ruscelli e i laghi sono proprietà di Tano e Bia. L’acqua dolce, che per sua natura favorisce la vita, è umana. L’acqua marina è invece inumana e selvaggia, e bisogna addomesticarla. È possibile che questa visione negativa dell’acqua marina si sia formata durante l’era della colonizzazione e della schiavitù (dato che i primi Europei e commercianti di schiavi arrivarono dal mare); più probabilmente, però, è possibile che derivi semplicemente dal profondo attaccamento alla terra che è diffuso in Africa.
I santuari dedicati alla terra sono tanto vari, se non di più, quanto quelli associati all’acqua. Bisogna tenere presente che almeno il 90% della popolazione dell’Africa occidentale è costituita da agricoltori sedentari per i quali la terra è la vera depositaria della vita. I santuari dedicati alla terra hanno una caratteristica comune: non sono templi nel senso vero e proprio della parola, perché la terra non ha edifici. La terra è di per sé un monumento religioso e sacro e quindi sarebbe inappropriato cercare di limitarla, pretendere di racchiuderla all’interno di mura. I santuari della terra si trovano dovunque gli esseri umani compiano atti di deferenza verso il terreno che li nutre. Le montagne, le grotte, le rocce, le pietre che colpiscano l’immaginazione religiosa si prestano tutte perfettamente ad essere trasformate in luoghi di culto. I campi coltivati in particolar modo sono designati ad essere sacri.
I templi legati all’aria, in particolare gli alberi e i boschetti sacri, sono i luoghi di culto più numerosi e i più vicini al sentimento religioso degli abitanti dell’Africa occidentale. Si ritiene che abbiano una natura aerea perché essi sono in armonia con i cambiamenti atmosferici e con le stagioni. In Africa occidentale non vi è una sola comunità che non tenga in grande considerazione questo tipo di vegetazione. L’albero funge da intermediario tra l’essere umano e le potenze spirituali. Questa mediazione è spesso così centrale che l’uomo viene considerato un’emanazione della vegetazione. I Bambara credono in una sorta di metempsicosi, o trasmigrazione delle anime, un viaggio in cui uno dei segnali-guida è un albero. Questa credenza si riscontra anche presso i Fon, i cui miti raccontano di come gli uomini e le donne in tempi remoti siano discesi dai rami di un albero. Analogamente, in Africa occidentale una donna che desideri rimanere incinta spesso prega un albero di darle un figlio. Gli alberi hanno un valore religioso ancora più forte quando la natura li ha raccolti in boschetti sacri, che diventano luoghi deputati allo svolgimento di assemblee religiose e riti di iniziazione.
In Africa occidentale, dove non sono presenti vulcani, i templi legati al fuoco sono i più umili, quelli più vicini alla vita quotidiana e anche i più diffusi. Sono collegati alla parte della casa nella quale le donne preparano il cibo. Il fuoco, che trasforma il cibo, porta luce e calore e fa da mediatore tra i vivi e i morti. Se i fedeli non hanno le risorse per procurarsi una vittima sacrificale, possono usare le ceneri del focolare al suo posto. L’onnipresenza di questo tempio del fuoco è dimostrata dalla realtà della fucina in quasi tutti i gruppi dell’Africa occidentale, anche se il mestiere di fabbro è considerato di solito appannaggio dei membri di una corporazione. La fucina è più di un’officina, è anche un luogo di culto, un riparo nel quale la giustizia umana cede il passo alla mitezza dei cieli. La caratteristica più tipica della fucina è il fatto che essa costituisce un luogo di creazione paragonabile a quello del creatore stesso quando gettò le fondamenta del mondo. Ciò spiega perché il fuoco diventa un santuario nel quale la preghiera di una donna sterile che invoca la fecondità troverà, secondo le credenze dei fedeli, una risposta sicura.
In generale si può dire che la religione in Africa occidentale è affare degli uomini. Tuttavia, le donne, specialmente dopo la menopausa, spesso si specializzano in alcuni rituali (per esempio, presso i Guere, Ubi e Wobe della Costa d’Avorio, i Dogon del Mali, i Mende della Sierra Leone e soprattutto presso gli Yoruba e gli Igbo della Nigeria). Di solito è il membro più anziano del gruppo ad essere responsabile dei doveri religiosi, che sono numerosi e complessi. Tutte le pratiche cultuali hanno un elemento liturgico orale che riveste un’importanza centrale perché la parola, investita delle caratteristiche sia dell’acqua che del calore, ha un potere fertilizzante.

BIBLIOGRAFIA

J.O. Awolalu, Yoruba Beliefs and Sacrificial Rites, London 1979. Beryl L. Bellman, Village of Curers and Assassins. On the Production of Fala Kpelle Cosmological Categories, The Hague 1975.
D. Bonnet, Le Retour de l’Ancêtre, in «Journal de la Société des Africanistes», 51 (1981), pp. 133-447.
G. Parrinder, West African Religion, London 1961 (2a ed. riv.). Un classico studio sulla religione dell’Africa occidentale, che tratta principalmente di tre gruppi: gli Akan, gli Yoruba e gli Ewe.
L.V. Thomas e R. Luneau, La Terre africaine et ses religions, Paris 1974.
D. Zahan, The Religion, Spirituality and Thought of Traditional Africa, Chicago 1979.
DOMINIQUE ZAHAN

AFROBRASILIANI, LUOGHI DI CULTO

L’origine delle religioni medianiche del Brasile si può fare risalire all’arrivo degli schiavi africani nel XVI secolo, tuttavia questi culti afrobrasiliani iniziarono a svilupparsi nella loro forma attuale soltanto alla metà del XIX secolo.
Credenze e strutture organizzative. I rituali si svolgono in centri chiamati terreiros, centros o tendas. I nomi dei centri derivano dalle divinità del culto, chiamate orixas o vodun, provenienti dall’Africa occidentale. I gruppi religiosi sono organizzati secondo complesse gerarchie, che comprendono posizioni sia sacre sia profane. Il pai de santo, che può anche essere chiamato zelador (supervisore) o babalorixa (padre degli orixas), occupa il posto più alto nella gerarchia religiosa ed esercita la sua autorità sui filhos e le filhas (figli e figlie dei santi, cioè i medium), che devono obbedirgli. Spesso le questioni riguardanti i diritti di successione e di autorità tra il pai de santo e i filhos de santo generano dispute interne che portano all’apertura di nuovi terreiros.
Ciascun culto si fonda su un sistema cosmologico specifico e personalizzato. Ogni medium è consacrato a una divinità – che sia orixa, vodun, guia (guida), santo o entidade (divinità) – che appartiene al pantheon ma che assume un nuovo nome o delle particolari caratteristiche che in qualche modo lo trasformano in un orixa de fulana (grosso modo «l’orixa di tizio», cioè l’orixa di un certo individuo). A volte un medium può essere consacrato a più di una divinità. L’iniziazione dei medium è lunga e comprende varie cerimonie.
Uno dei riti più importanti dei culti afrobrasiliani è la consulta, nella quale un medium dà assistenza a coloro che sono venuti per chiedere aiuto. In questo rito si forniscono particolari spiegazioni e soluzioni per le disgrazie delle persone e spesso si usa la «logica» della stregoneria per identificare le cause di queste disgrazie: per esempio, per un appartenente al culto, la perdita del lavoro sarà stata causata non dai problemi economici del governo o dallo scarso rendimento nel lavoro, ma piuttosto dalla stregoneria di qualcuno che intende fargli del male.
Alcuni culti comprendono rituali di possessione che servono ad aiutare coloro che hanno bisogno di...

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