Messico in bilico
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Viaggio da vertigine nel Paese dei paradossi

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Messico in bilico

Viaggio da vertigine nel Paese dei paradossi

About this book

Muovendosi tra dimensioni umane e sociali e lambendo versanti politici e geopolitici, questo libro offre un biglietto per un viaggio da vertigine sulle “montagne russe” dei paradossi messicani.
Un repentino, brusco rimbalzo tra estremi di bellezza ed eccessi di violenza: viaggiare in Messico significa questo. Viverci vuol dire tutto questo. Il Paese più a sud dell’America del Nord ammalia con il suo fascino, ma è difficile muoversi da cronista per andare in cerca delle persone e delle storie vere che entrano nelle drammatiche statistiche sulla criminalità e sul narcotraffico. Quando le trovi, l’impatto è scioccante. Il Messico ti sconvolge con la nitidezza dei suoi colori, ma quasi ti assuefà agli intrecci tra smerci di droga, armi ed esseri umani. Ti risveglia al sorriso con la piacevolezza della cucina, ma ti colpisce con un pugno allo stomaco per la familiarità con la corruzione. Ti fa sentire accolto dalla giovialità della sua gente, ma ti spiazza con l’omertà. Ti porta in alto con la sua radicata spiritualità, ma ti atterrisce con la banalizzazione del valore della vita umana.
“È nel Messico che si gioca il destino delle Americhe, Stati Uniti in testa”. (Lucio Caracciolo)
“Storia, tradizioni, religione, corruzione, droga, violenze diffuse, le cruciali relazioni con gli Stati Uniti, il Nafta e la questione migratoria: tutto è riunito in questo volume che abbonda di dati e storie di vita comune. Queste ultime, in particolare, forniscono un particolare valore aggiunto”. (Paolo Magri)

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​Il Messico delle meraviglie

La memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda.
La memoria è un presente che non finisce mai di passare.
(Octavio Paz)




In Messico ogni anno 35 milioni di turisti si godono il brivido di balzi nella storia più antica, l’esclusività di paesaggi naturalistici mozzafiato, il privilegio di preziosità culturali e artistiche d’eccezione, il piacere di raffinatezze culinarie, in un’atmosfera serena e vivace che nulla sembra avere a che fare con lo strazio di così tante vite stroncate: di chi muore e di chi rimane, nel terrore di vivere nella guerra tra bande di narcotrafficanti.
I tre secoli di dominazione spagnola (1525-1821) hanno plasmato il Messico come nazione latina, ispanica, cattolica e meticcia, così come la incontriamo oggi. E l’influsso resta evidente nell’architettura, nelle festività e nella religiosità, come anche nella gastronomia. La bellezza e il fascino straordinario del Paese vengono proprio dalla mescolanza con elementi profondi delle radici precolombiane in tutti gli aspetti del vivere.
Chi arriva in Messico per uno dei tanti percorsi turistici – che sia mare, che sia regione a maggioranza indigena, che siano montagne e cittadine – attraversa il Paese senza accorgersi che in parallelo, a due passi di distanza, si consuma una guerra civile. Questo apre a molti interrogativi. Sicuramente sembra esserci un controllo serrato per tutto ciò che è vivibilità del visitatore, in una sorta di perversa assunzione di “responsabilità” a non scoraggiare il turismo da parte dei narcos: non invadere o inquinare gli spazi e i percorsi turistici.
Da giornalista è l’impatto con una dualità che colpisce e scuote. Viene da pensare che in Messico sono tante le occasioni di brusco passaggio da un’immagine al suo contrario. Un Paese che, se ti accoglie in autunno e in inverno, ti regala solo sole e che, se invece si fa avvicinare d’estate e in primavera, ti dà solo pioggia; che ti sferza con temperature tropicali durante il giorno e intorno allo zero di notte. Non stupisce considerando, ad esempio, che Città del Messico è a 2.500 metri sul livello del mare, circondata da vette di 5.000 metri. E superano i 2.000 metri anche le cittadine più interessanti dal punto di vista culturale, come Puebla, Cholula, Oaxaca, San Cristóbal de las Casas.
Il Messico detiene il privilegio d’essere uno dei Paesi con il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni mondiali dell’Umanità dell’Unesco. L’architettura messicana è un’interessantissima fusione di elementi preispanici e coloniali che, a loro volta, rappresentano una miscela di componenti moresche, ebraiche e castigliane, alle quali si sono aggiunte influenze dalla Francia del XIX secolo, elementi dell’Art Déco, dell’Art Nouveau. Fino alle geniali prospettive di architetti avanguardisti messicani di fama internazionale come Teodoro González de León, Pedro Ramírez Vázquez e Luis Barragán.
Le sorprese cominciano nella capitale, Città del Messico. Chi immagina una città caotica e inquinata, come si poteva raccontare fino a qualche anno fa, resta completamente spiazzato. Per quanto riguarda lo smog, sono state prese misure concrete per il rinnovo delle automobili circolanti e per l’ammodernamento dei mezzi pubblici, con controlli serrati ai motori due volte l’anno e con il sovvenzionamento di taxi elettrici, che si distinguono per la città perché sono rosa. E sono tantissimi. Parliamo di un’area metropolitana che raggiunge i 22 milioni di persone e che è riuscita nel giro di pochissimi anni a recuperare e valorizzare decine di parchi e 16 vere e proprie aree boschive. Chi pensa, da turista, di fare un passaggio veloce nella capitale per poi immergersi nel resto del Paese, rimane spiazzato, perché si accorge che c’è molto da vedere e assaporare. Non solo storia antica, ma anche arti moderne e tanti piacevolissimi e raffinatissimi locali da provare. Una città che nel 2018 ha meritato il titolo di capitale mondiale del design.
Certamente il gioiello più prezioso rimane il Museo nazionale di antropologia, nel bosco di Chapultepec, all’interno di Città del Messico. Come si fa a commentare 44.000 metri quadrati coperti, distribuiti in più di 20 sale, che ospitano la maggiore collezione del mondo di arte precolombiana delle culture Maya, Azteca, Olmeca, Teotihuacana, Tolteca, Zapoteca e Mixteca, tra gli altri popoli che occupavano il vastissimo territorio del Messico. Oggetti di migliaia e migliaia di anni prima di Cristo: è impossibile trattenere le emozioni. In particolare, di fronte alla Piedra del Sol, di forma circolare, di circa 3,60 metri di diametro e dal peso di 25 tonnellate. È costituita da una serie di cerchi concentrici che rappresentano vari elementi della cosmologia e della teologia Azteca. È opinione comune tra gli storici che si trattasse di un calendario, ma non è certo il luogo esatto in cui era stata collocata. È molto probabile, vista la sua funzione, che si trovasse nella Plaza Mayor di Tenochtitlán, posta sul tempio doppio, il principale, dedicato a due divinità: Tlaloc, dio della pioggia, e Huitzilopochtli, dio della guerra e personificazione del sole. Da questa Pietra del Sole venivano fatti dipendere il destino dei singoli e della comunità, i sacrifici umani e le fasi della vita quotidiana. In realtà, è un monumento dal significato molto complesso e fortemente simbolico che ruota attorno alla figura del Sole, come centro del monolito e centro dell’Universo, mediatore tra gli uomini e il cielo. Da qui si diparte l’energia che si diffonde sulla Terra e che viene messa in relazione con tutti gli altri pianeti, soprattutto Venere. È un calendario solare che definisce i ritmi stagionali e la vita quotidiana, ma è anche un compendio della cosmologia e cosmogonia del popolo Azteco; la somma di complicate osservazioni astronomiche; la sintesi delle credenze, delle conoscenze più profonde e degli usi di quel popolo, una perfetta unione di arte, religione e scienza; una pietra sacrificale: i sacrifici umani non erano una semplice offerta, ma il sistema per nutrire il Sole, che solo mediante il sangue umano poteva rinascere ogni giorno. Al cospetto della Pedra del Sol per un attimo si può avere l’impressione d’essere arrivati al centro, simbolico non spaziale, del Messico. Tra l’altro, la Pietra del Sole è una potente manifestazione di una vera e propria filosofia degli opposti: vita e morte, giorno e notte, interno ed esterno, movimento e stasi, dinamismo e conservazione. E in quest’ottica si legge anche meglio l’esaltazione della guerra come elemento creatore e innovatore, perché non si tratta solo dei conflitti tra uomini, ma anche tra divinità. E questo racconta la minaccia incombente che possa sempre rompersi l’equilibrio dell’ordine universale. L’unica speranza di ordine sembra riposta proprio nell’attribuire a ogni divinità il proprio posto e la propria funzione e dunque racchiudendoli tutti nel calendario. Le conoscenze legate ai calendari e ai misteri del cielo e la capacità di interpretare il destino degli uomini e dell’intero universo erano riservate ai sacerdoti e trasmesse attraverso l’insegnamento della scuola sacra o calmecac, che poteva essere frequentata solo dai membri di alcuni clan i quali, soli, potevano fornire i capi e i grandi sacerdoti. Ce n’è abbastanza per avere le vertigini a guardarla. Ma è solo la più conosciuta.
A offrire il senso della profondità della storia umana ci sono altri pezzi d’eccezione. Tanti e molto ben conservati. Sono tutti pregni di significato e tra l’altro si trovano in ottime condizioni nonostante le grandi dimensioni. C’è la statua di Coatlicue, che significa veste di serpenti, e che secondo la mitologia Azteca era la dea del fuoco e della fertilità, madre delle stelle del sud. È alta 2,7 metri e fatta di andesite. Ma la sua vicenda è terribile. Era sorella di Chimalman e Xochitlicue. Coatlicue fu resa feconda da una sfera piumata. I suoi figli (compreso Coyolxauhqui) la uccisero, ma Huitzilopochtli (il figlio che aveva in grembo) fuoriuscì dal suo ventre. Huitzilopochtli uccise i suoi fratelli e sorelle, compreso Coyolxauhqui.
Tantissimo ci sarebbe da dire delle meraviglie di questo museo, che ha anche un ampio spazio all’esterno (35.000 metri quadri), che sfodera senza fine, di sala in sala, interessanti collezioni archeologiche ed etnologiche, e anche un’esposizione di reperti dei popoli indigeni del giorno d’oggi.
Oltre al patrimonio sugli Aztechi, c’è quello dei Maya. E, a questo proposito, oggi, tra le mille sensazioni e percezioni possibili, ci si sente estremamente privilegiati. Per oltre 3.000 anni i simboli Maya sono stati una fonte di mistero e di meraviglia. I Maya erano una delle poche antiche civiltà a saper creare un proprio sistema di scrittura. Questo popolo nativo dell’America Centrale ne inventò i simboli, o geroglifici, mentre altre civiltà centroamericane li presero in prestito da sistemi di scrittura pre-esistenti. Lo statunitense John Lloyd Stephens e il britannico Frederick Catherwood scoprirono i primi simboli Maya nel 1839, ma il loro ritrovamento non fu riconosciuto fino al 1973. La scoperta portò a capire che questi simboli potevano essere usati singolarmente per illustrare una parola, o che pochi di essi potevano dare significato a parole singole ma dai significati molto estesi, un po’ come funziona per i giapponesi e i cinesi. È come dire che, per noi oggi, tutta la ricchezza racchiusa nel Museo parla di più.
Ma la capitale è anche un museo a cielo aperto. Anche con personaggi che rappresentano una sorta di monumenti viventi. È da raccontare l’incontro e il colloquio con un rappresentante della comunità indigena che vive a Città del Messico. Quando lo abbiamo visto sulla piazza, con vesti e ornamenti tradizionali, vicino a un braciere e archi e frecce, confessiamo di aver pensato a una rappresentazione a uso dei turisti. Ma l’impressione è stata subito diversa da quella che si ha dei centurioni che s’incontrano a Roma. L’indigeno calzava un copricapo di piume vere, le vesti erano in autentica pelle, nessuna traccia di tecnologia addosso; insomma, niente a che fare con una mascherata. Ma confessiamo comunque di aver pensato a una curata rappresentazione. Ci siamo trovati a parlare, invece, con una persona imbevuta e convinta del proprio universo storico-culturale, in grado di restituire la verità di un vissuto. Un uomo che ci ha spiegato con passione il valore di quel bracere: lo strumento per una cerimonia di purificazione dell’anima che si tramanda da 10.000 anni. Ha spiegato il valore e il ruolo del fuoco, così come il sole. Ci ha detto: «Noi crediamo nei valori del cosmo e del sentimento. Crediamo nella pioggia, nel sole, nell’acqua che dà la vita». Quando chiediamo se crede anche nell’uomo, ci risponde: «Un poco». Parla senza mezzi termini dell’arrivo degli spagnoli come della «catastrofe peggiore per il Messico». E poi indica il più grave motivo di mancanza di speranza oggi: «Non c’è spazio per la cultura: il denaro, l’economia, annientano tutto, uccidono la tradizione». Con un certo accoramento sottolinea: «Noi ce la mettiamo tutta, ma il nuovo imperialismo, le leggi dell’economia, non hanno alcuna pietà per i valori dell’uomo». Non vuole soldi, accetta di fare foto e video, anche se – ribadisce – «la tecnologia spesso ammazza l’anima». Sul governo non vuole commentare, se non ribadire: «Tutte le volte che i soldi contano di più delle persone, l’uomo ha perso». Lo dice con lo sguardo di chi sa di dire la cosa più condivisibile di tutte, ma che sembra essere il segreto dei segreti.

Città del Messico è stata costruita nel 1521 sui resti della conquistata capitale Azteca Tenochtitlán, distrutta dagli esploratori spagnoli, decretando la fine dell’Impero azteco. Sulle macerie di Tenochtitlán gli spagnoli vollero costruire quello che doveva essere il simbolo del potere: una metropoli europea. Città del Massico ebbe la sua massima espansione tra gli anni Settanta e Ottanta del 1600. Il centro storico è un’area conosciuta come la città dei palazzi: si contano circa 700 isolati e 1.500 palazzi di pregio architettonico. Per la sua preziosità è stata riconosciuta patrimonio mondiale dall’Unesco. La piazza denominata Tres Culturas presenta resti preispanici, palazzi coloniali ed edifici moderni. Nell’area attigua al Templo Mayor ci sono la cattedrale, la più grande di tutte le Americhe, e il palazzo presidenziale. Come dire che convivono radici preispaniche, istituzioni religiose, potere civile. La suggestione della memoria è massima. Il passaggio per il turista d’obbligo. Il rischio è che sia frettoloso e si perda qualcosa dell’intensità che questo posto regala. È collocata su un altopiano, il che dà alla città un clima favorevole, nonostante la sua vicinanza all’equatore.
Nell’ultimo secolo, la fortissima crescita demografica, con la conseguente crescita urbana, ha dato luogo alla nascita di fitte borgate costituite principalmente da case unifamiliari, delineando così agglomerati di abitazioni precarie e abusive, distribuite intorno alla parte centrale. Tutto ciò significa seri problemi per assicurare i servizi sociali di prima necessità. Quella capitale, cresciuta in quegli anni in modo disordinato, senza alcun piano regolatore ed estremamente degradata, è rimasta il cuore industriale e commerciale, dove hanno sede le principali attività finanziarie e produttive di tutto il Paese.
Città del Messico oggi stupisce per la sua efficienza. La città si sta rimodellando con una forma razionale e moderna, nonostante il tessuto urbano travagliato. Dopo il dramma dei 10.000 morti nel Paese per il terremoto del 1985, è stato avviato un processo di messa in sicurezza che nel 2017 ha retto a una scossa tellurica d’intensità pari a quella di 32 anni prima: 8.1 gradi sulla Scala Richter. Così si sono verificati crolli solo in alcune zone della periferia più improvvisata, nonostante che l’epicentro fosse a circa 150 chilometri di distanza dalla città.
In definitiva, oggi la capitale del Messico rappresenta una delle scene più vivaci del panorama internazionale dell’architettura e del design. L’evento da non far passare inosservato è il World Design Capital assegnato, ogni due anni, dalla World design organization a quelle città che per il loro «uso efficace del design segnano progressi in tema di sviluppo economico, sociale, culturale e ambientale». Con la nomina, di fatto, si riconosce che il design messicano, riuscendo a combinare trend internazionali con elementi e concetti locali, ha una particolare propria identità, che si estrinseca anche nella scelta dei materiali o nella simbologia storica del tratto. Non si deve pensare solo a oggetti o costruzioni; a essere presi in considerazione sono anche interventi sulla città attraverso, ad esempio, soluzioni di mobilità sostenibile e di rigenerazione urbana. La dimostrazione di questo avvio di trasformazione è la costruzione del nuovo aeroporto internazionale, progettato da architetti di spicco come Norman Foster e Fernando Romero, per un investimento pari a circa nove miliardi di euro. Dovrebbe essere concluso per la fine del 2020.
Molto prima del titolo di capitale del design mondiale 2018, la città è stata un mosaico di talenti di livello mondiale. I progettisti hanno estratto dai suoi vari processi storici elementi e materiali artigianali che hanno ispirato forme contemporanee. Questo lavoro ha reincarnato antiche civiltà e ha trasformato, in molti casi, l’immagine della Nuova Città. Si è parlato e si deve continuare a parlare di questa capitale come di un luogo di intellettuali, artisti, designer internazionali, attratti dal fermento culturale, ma anche – bisogna dirlo – dalla vivibilità, dall’amabilità della gente, dal basso costo della vita e del mercato immobiliare.
Della capitale si potrebbero dire un’infinità di altre cose. Ne scegliamo una: è sempre stata, nonostante contrasti, dissidi e profonde differenze sociali, una città tollerante che ha ospitato negli ultimi secoli esiliati e perseguitati politici provenienti da tutto il mondo.

Poco a sud della capitale, colpisce Xochimilco, una delle sedici delegazioni in cui si divide il Distretto federale messicano. Contiene uno dei più strabilianti mercati dei fiori del Messico. Un tripudio di colori e di odori che inebria. A pochi passi dal centro, c’è un parco lacustre di grandissimo fascino: è percorribile attraverso i suoi canali e si trovano le riproduzioni delle antiche imbarcazioni Azteche, molto colorate. Sopra si canta e si mangia e specialmente di sabato e di domenica è piacevole accorgersi che sono più i locali che i turisti: è meta di gioiose gite fuori porta, in particolare per compleanni e ricorrenze.
Le origini di Xochimilco risalgono all’epoca precolombiana, quando era un grande lago acquitrinoso con alcuni isolotti. Dopo la bonifica, effettuata dagli spagnoli, è diventata un’area con una grande produzione di fiori, che vanno ad approvvigionare Città del Messico. Ma anche in questo caso, lo sguardo va oltre l’apparenza turistica. Guardando a tutta la delegazione, emergono contrasti. Si incontrano 14 villaggi originari, come San Andrés Ahuayucan, San Francisco Tlalnepantla, San Gregorio Atlapulco, San Lorenzo Atemoaya, San Lucas Xochimanca, San Luis Tlaxialtemalco, San Mateo Xalpa, Santa Cecilia Tepetlapa, Santa Cruz Acalpixca, Santa Cruz Xochitepec, Santa María Nativitas, Santa María Tepepan, Santiago Tepalcatlalpan e Santiago Tulyehualco, che conservano molti segni della propria cultura tradizionale ed eredità indigena. E qui Xochimilco ha importanza per l’esistenza delle chinampa, testimonianza di un’antica tecnica agricola mesoamericana che fu sviluppata e condivisa da diversi villaggi del Valle del Messico. Dopo il disseccamento dei laghi del Valle del Messico, solo Xochimilco e Tláhuac conservano questa tecnica agricola, anch’essa tutelata dall’Unesco in quanto patrimonio immateriale dell’umanità. Particolarità e caratteristica non di poco conto è che solo in questo lago, in tutto il mondo, vive un piccolo e particolare anfibio chiamato axolotl. E anche sacche di difficoltà sociali. La zona nord di Xochimilco, invece, è pienamente integrata nell’area metropolitana di Città del Messico: ci sono distretti industriali e di servizi che rappresentano una parte importante della vita economica della delegazione.

Che la cittadina di Puebla, che dista 130 chilometri dalla capitale, sia un gioiello assoluto è noto e cercheremo di ricordare qualcosa. Ma innanzitutto vogliamo confessare l’entusiasmo per il Museo di cui la città storica si è arricchita dal 2016: quello del barocco. Non è solo un curato contenitore-percorso per quello che è stato uno stile d’eccezione, ma è anche lo straordinario veicolo di un messaggio potente: il Messico vuole aprire una pagina nuova, metabolizzando tutta la propria storia senza più voler indugiare in rancori o contrapposizioni. Il barocco tra il XVII e il XVIII secolo ha permeato i sistemi politici ed economici e ha trasformato la concezione della natura attraverso innovazioni nel pensiero, nella creazione, nella visione e nello stile della vita. Dunque, in questo caso – e lo si avverte – decantare il barocco significa esaltare la consapevolezza che qualcosa di grande e straordinario ha significato l’incontro tra la cultura spagnola e le civiltà precolombiane. Il fatto che sia stato pagato il prezzo della dominazione, del sangue e della sopraffazione è un elemento innegabile che, però, non può e non deve ostacolare, a secoli di distanza, un cammino nuovo di identità messicana in cui rette parallele sono confluite. L’intenzione è di valorizzare tutto quello che ha il valore per essere conservato e prendere le distanze da qualunque impedimento a una visione comprensiva e non faziosa degli eventi storici.
Il barocco è anche una comprensione estetica dell’esistenza. È una sensibilità che ha permesso una rivoluzione nel pensiero e nella creatività, che ha attraversato arti visive, moda, letteratura, comunicazione, scienza. Ha, dunque, la legittimità per farsi strumento di influenza di un pensiero nuovo. Il Museo è interessantissimo perché ci sono quadri, oggetti e documenti importanti, ma soprattutto perché si avvale di strumenti tecnologici di avanguardia, che permettono vivacissime contaminazioni tra immagini, video e sonori e una certa interessante interazione. Di sicuro è vincente la scelta della musica che, come nessun’altra espressione artistica, esprime pulsioni e tensioni dell’esperienza barocca.
Sono poi estremamente vincenti le scelte architettoniche. La planimetria del museo ripropone in scala quella della città, così come è stata pensata e realizzata, dagli spagnoli per gli spagnoli. Conteneva nei vari riquadri le rappresentanze militari, civili, religiose della cittadina che è stata voluta come p...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Messico in bilico
  3. Indice dei contenuti
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. ​Prima parte
  7. ​Storia, economia e società
  8. ​Le elezioni presidenziali del 2018
  9. ​Un popolo messo a dura prova
  10. ​La barriera e il business dei migranti
  11. ​La frontiera, la speranza e la solidarietà
  12. ​Il muro tra Messico e Guatemala
  13. ​Tra dipendenza economica e prove di autonomia
  14. Seconda parte
  15. ​Tra violenza, paura, omertà e donne coraggiose
  16. ​Giornalisti in guerra
  17. ​La Chiesa nel mirino
  18. ​Caccia all’attivista e al candidato
  19. ​Quando la terra trema
  20. Terza parte
  21. ​Dal Chiapas a tutte le scuole messicane
  22. ​Tra fede, santeria e magia
  23. ​Il Messico delle meraviglie
  24. ​Moctezuma
  25. ​Frida Kahlo o della dualità
  26. ​Scheletri, arte e politica
  27. ​Voci eccellenti
  28. ​A tutti voi, a tutti noi
  29. ​Collana Grandangolo